Vicino e lontano. Commento al Vangelo di oggi. V domenica del tempo ordinario

Is 6,1-2.3-8; Sal 137 (138); 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11

Luca 4,31 presentava Gesù già a Cafarnao, di nuovo di sabato, insegnando e suscitando stupore (v. 32) e operando una serie di guarigioni. La sua preoccupazione resta però l’insegnamento e l’annuncio del Regno (v. 43). Nell’ultimo versetto (v. 44) Luca insiste sul suo passare da una sinagoga all’altra, ma in Giudea.

Dato che in 5,1 lo troviamo presso il lago in Galilea, non possiamo pensare che a una sineddoche: un nome solo – e il più conosciuto – per la complessità del territorio. Quanto al guarire e insegnare di sabato può essere una conferma di autorevolezza e, nello stesso tempo, di legame con la gente, che ha nella sinagoga un luogo non solo per l’insegnamento e la preghiera, ma anche di incontro e di aggregazione.

A un certo punto sembra che la sinagoga non basti più. La gente si affolla sulla riva del lago di Gennesaret «per ascoltare la parola di Dio» (v. 1), non solo l’insegnamento di Gesù, ma tutto quello che esso evoca come promessa di salvezza e di giustizia. 

Gesù trova allora un modo originale per essere contemporaneamente vicino, a portata di voce, e lontano, per non essere travolto. 

Nel complesso il racconto si articola in tre momenti, avendo sempre Gesù al centro: il primo è sulla riva del lago, appunto, dove egli è con la folla; il secondo è sulla barca di Simone con alcuni discepoli; il terzo è di nuovo sulla riva del lago con Simone e alcuni suoi koinonoi (v. 10) – termine che indica qualcosa di più di un semplice socio d’affari, bensì qualcuno con cui si ha comunanza in qualcosa, un compagno di vita e di esperienze –.

L’atteggiamento di Gesù è di costante autorevolezza, anche se per gran parte del racconto tace: siede e insegna (v. 3), ordina a Simone di prendere il largo e gettare le reti (v. 4), lo chiama alla sequela in forma indiretta (v. 10). Egli è sempre vicino e lontano, contemporaneamente presente e assente.

Parallelamente cresce la figura di Simone. All’inizio ci sono semplicemente dei pescatori (alieis, v. 2), e tra questi anche lui che è il proprietario di una delle barche in secca (v. 3). Proprio sulla sua sale Gesù. La barca si allontana dalla riva gradualmente: prima è a portata di voce, poi al largo su ordine di Gesù stesso (eis to bathos, v. 5, «la profondità», «gli abissi») e udiamo la voce di Simone per la prima volta: la sua è una considerazione professionale negativa seguita da una sorta di professione di fede, una via di mezzo tra pescatore e discepolo.

Infine lo vediamo buttato in ginocchio (il verbo prosepesen del v. 8 dice un moto di caduta repentino, quasi violento), pronunciando parole che denunciano la sua condizione di uomo e di peccatore (oti aner amartolos eimi, kurie, v. 8), rivolte a Gesù col titolo pasquale di Kyrios. Non a caso il Quarto Vangelo colloca l’episodio sempre sul lago di Galilea, ma dopo la risurrezione (cf. Gv 21,1ss). 

Simone confessa in tal modo di aver ricevuto una doppia rivelazione: ha capito chi sia Gesù, del quale già aveva colto l’autorevolezza chiamandolo epistates, «maestro» (v. 5), dalla parola particolarmente credibile, e ha capito chi sia lui stesso: un uomo bisognoso di perdono e di misericordia.

Come in analoghi racconti del Primo Testamento, Gesù risponde con la frase tipica di quando Dio affida una missione: «Non temere» (v. 10). Non si allontanerà come Pietro gli ha chiesto, sarà sempre lontano e vicino come Dio con il popolo d’Israele. 

Dice un midraš più volte citato da Wiesel che un idolo è o vicino o lontano. Dio invece è contemporaneamente vicino e lontano. In questo breve episodio Gesù obbedisce a questa logica. Certamente non si tratta di una prematura affermazione di divinità, ma può essere l’indicazione di uno stile di Chiesa: in mezzo agli uomini eppure altra.

Presumibilmente la folla di Lc 5,1 è ancora presente in gran misura, talché l’incarico che Gesù affida a Simone e ai suoi koinonoi non è dato nell’intimità di un colloquio, ma sotto gli occhi di diverse persone che possono cogliere come il diventare «pescatori di uomini» sia, a un tempo, un’arte per loro conosciuta e del tutto nuova. 

Pescheranno «uomini vivi» traendoli dall’abisso e rendendoli alla luce e alla vita (Deltombe).