Le domande che nutrono la fede: «La Chiesa a volte le teme ma sono un esercizio spirituale, soprattutto quando non conosci la risposta»

Le domande… le domande… sono loro il cruccio di padre Maurizio. Nella Chiesa è raro avere la possibilità di porre domande. Ecco perché da giovane prete, quando nel 2008 arrivò a Roma, ebbe l’intuizione dei “Cinque passi”. Un percorso di formazione che da quattordici anni richiama più di 500 giovani a incontro, oltre alle migliaia collegate in streaming da tutta Italia. Ogni anno si tengono cinque serate, ciascuna su un singolo tema, senza un filo conduttore unico. La prima mezz’ora è una catechesi. Dopo, chiunque e in qualsiasi momento, può porre domande in maniera anonima, scrivendole su un foglietto.

Quel cretino di un cristiano. Cinque passi al mistero

«Gli argomenti dei cinque incontri li scegliamo all’inizio dell’anno insieme alle persone che frequentano l’Oratorio di San Filippo Neri», spiega padre Maurizio. «Ognuno è libero di proporre, se ne parla e poi se serve si vota. Talvolta i temi che presento vengono bocciati, vedremo quest’anno… ora stiamo scegliendo i prossimi», commenta sorridendo. Tra gli argomenti possibili si spazia dal tema del corpo ai novissimi (cioè le “cose ultime” che stanno al termine della vita: la morte, il giudizio, l’aldilà), dalla gratitudine alla vecchiaia.

Incontro padre Maurizio Botta, 47 anni, piemontese di Biella, nella comunità dell’Oratorio di San Filippo Neri a Santa Maria in Vallicella – Chiesa Nuova, in pieno centro a Roma. Mi accoglie nella sua stanza, stracolma di libri. «Questo per me è fondamentale: lo studio, l’approfondimento. Una volta i preti erano uomini di cultura, oggi questo aspetto mi sembra si stia perdendo. Ma come fai a dialogare con la gente se non sei una persona ricca di interessi, di passioni?».

MISSIONARIO DEL DIALOGO

Proprio grazie alla preparazione e alla riflessione che precede ogni incontro padre Maurizio prova a confrontarsi con ogni tipo di domanda. «All’inizio mi preoccupava il fatto di espormi ai quesiti senza conoscerli prima. Poi, ho deciso di fidarmi di quello che Gesù dice nel Vangelo: lo Spirito Santo vi suggerirà cosa dire.

Il vero problema della Chiesa mi sembra che continui a essere la mancanza di fede. Io non ho paura delle domande, non perché sappia tutte le risposte, ma perché mi fido e cerco il confronto con dolcezza. Una domanda è sempre buona, mentre secondo me nella Chiesa abbiamo un problema con le domande, non c’è uno spazio in cui porle. Sono temute, eluse, fanno paura».

Riprende: «Per me è un esercizio spirituale, sono consapevole che espormi a una domanda può voler dire anche entrare in contatto con le ferite delle persone, con chi è arrabbiato con Dio o con la Chiesa. Molte volte, soprattutto all’inizio, mi sono sentito in difficoltà, mi tremava la voce, ma ora non temo di dire che su quell’argomento non ho una risposta, che ci devo riflettere: ecco perché sono tranquillo. In pratica in questo modo ti abitui a non vincere nella risposta. Io non voglio vincere, voglio confrontarmi».

Il dialogo aperto e disarmato è anche quello che cerca costantemente con i ragazzi e le ragazze delle scuole medie e superiori in cui insegna e con cui cerca di relazionarsi con un approccio «missionario esplorativo», spiega, «facendomi accompagnare alla scoperta del loro mondo, e un atteggiamento né giovanilistico, né giudicante, ma capace di mettersi sullo stesso piano, alla pari, con sincero interesse».

Come quando, ricorda, chiese a una ragazza del liceo di chi fosse il volto ritratto sulla maglietta che indossava; da quella domanda – questa volta posta da padre Maurizio – nacque un dialogo profondo su una canzone della cantautrice Billie Eilish.

La scuola è «una palestra, un’esperienza che ti stana» perché spesso c’è distanza tra la fede e i giovani «che però hanno una visione della religione meno ideologica rispetto al passato, a volte sono indifferenti, ma anche l’opposizione è superficiale, non è radicata ideologicamente come nel passato, c’è un terreno potenzialmente fertile, disponibilità».

Anche tra i banchi padre Maurizio si confronta ogni giorno con tematiche e domande di ogni tipo, che affronta nonostante si tenga lontano da mondi in cui i giovani sono immersi, come quello della tv e dei social media. «In questo sono molto pasoliniano. Pier Paolo Pasolini disse cose profetiche contro la tv: vent’anni di regime fascista non hanno cambiato il popolo come pochi anni di tv».

CERCASI ADULTI APPASSIONATI
Non si considera un sacerdote anti-tecnologico, ma solo contrario alla superficialità e alla dispersività di alcuni mezzi. «Non so se vale per tutti, ma a me aiuta stare lontano dai social», confida padre Botta. «Quando dico che non ho lo smartphone la gente mi guarda come se fossi il ragazzo di campagna o con la tenerezza con cui guardi un gattino – racconta prendendosi in giro – ma io ho fatto esperienza di dialoghi bellissimi a scuola, pur avendo 30 anni più dei miei studenti ed essendo un disadattato tecnologico. Vedo che si crea vera condivisione, vero interesse reciproco, in un dialogo alla pari. Invece sui social noto morbosità, assenza di realismo. Poi, il fatto che siano strutturati per creare dipendenza mi impedisce di fidarmi del mezzo in sé».

Riprende: «Il fatto di non averli mi aiuta a vivere il silenzio, da cui nasce la vera comunicazione, mi apre, non mi chiude. La capacità di comunicare non risiede negli strumenti. I giovani desiderano solo adulti appassionati, che sappiano indicarti una meta. Come quando guardi l’Everest. Io cerco di far vedere che è bello, che deve essere stupendo andarci. Ma poi provarci è un’avventura, un percorso. Il mio compito come prete non è abbassare l’Everest ma indicare la sua bellezza e risvegliare la voglia di raggiungerlo».

CHI È PADRE MAURIZIO BOTTA – L’IDENTIKIT
Età: 47 anni

Vocazione: Sacerdotale

Congregazione: Oratorio di San Filippo Neri

Fede: Alimentata dal dubbio

IL CAMMINO DEI CINQUE PASSI

L’esperienza dei Cinque Passi al Mistero si svolge ogni anno nella Chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma (Chiesa Nuova). Da quattordici anni richiama più di 500 giovani a incontro. Ogni anno si tengono cinque serate, ciascuna su un singolo tema, senza un filo conduttore unico. È possibile seguire gli incontri in streaming sul canale YouTube Oratorium.

>> L’ULTIMO LIBRO SULLE DOMANDE DELLA FEDE


Padre Maurizio Botta è un autore prolifico: ha scritto diversi libri fra cui – da ultimo – Quel cretino di un cristiano. Cinque Passi al Mistero, pubblicato da San Paolo lo scorso gennaio. Il testo, con la prefazione di Costanza Miriano, raccoglie le domande e le risposte degli incontri dell’edizione 2019-2020 del percorso dei Cinque passi. Fra i temi affrontati: il legame tra scienza e fede, la libertà e i suoi confini.

(Foto in testata: Stefano Dal Pozzolo/Contrasto)

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Educazione in campo. L’estate di oratori e parrocchie. «A pieno regime. Anche oltre»

Le iniziative avviate in questi giorni hanno visto crescere l’adesione sia tra le famiglie che tra gli animatori Pascolini (Foi): sia un’occasione per rigenerare le comunità
L'estate di oratori e parrocchie. «A pieno regime. Anche oltre»

C’è una nuovo ‘imprevisto’ nell’orizzonte della Pastorale giovanile italiana, che solo pochi giorni fa nel XVII Convegno nazionale a Lignano Sabbiadoro si è trovata a interrogarsi proprio sul tema dell’imprevedibilità, dopo che pandemia e guerra hanno profondamente cambiato i programmi e i progetti. Si tratta dell’incredibile adesione alle iniziative estive proposte dagli oratori e dalle parrocchie italiane, che da questa settimana hanno riaperto le porte alle esperienze dei Grest e dei centri estivi.

Si può dire che dopo due anni siamo tornati a regime? «No, direi che siamo abbondantemente ‘oltre il pieno regime’ da un punto di vista numerico», sottolinea don Riccardo Pascolini, segretario del Forum degli oratori italiani, responsabile del Coordinamento regionale dell’Umbria della pastorale giovanile e degli oratori. «C’è stato un grande incremento, rispetto anche al pre-pandemia, sia dei ragazzi e delle famiglie che si sono rivolti agli oratori, che degli adolescenti che hanno scelto di mettersi al servizio dei più piccoli». Un’adesione così massiccia, dice il sacerdote, «era attesa e sperata ma inaspettata in questa misura, tale da obbligare a cambiare i programmi».

Tutto ciò, aggiunge Pascolini, «nasce di sicuro da un desiderio di tornare in comunità: ecco perché in parrocchia da me ho ricordato che questa estate dev’essere un’occasione non solo per tornare a organizzare cose belle (quello ci veniva bene anche prima), ma soprattutto per tornare a stare insieme, a fermarci e a stare con i ragazzi. Insomma, dev’essere il momento per offrire un tempo di qualità, che fa diventare grandi». Un tempo, quello degli oratori in estate, destinato a costruire futuro, perché per i ragazzi è un’esperienza che rimane nel cuore per sempre: «Ho chiesto a un giovane animatore, perché volesse fare questo servizio – racconta don Pascolini per esemplificare il valore delle iniziative estive – e lui mi ha risposto semplicemente che è perché ‘l’oratorio è una di quelle cose che si ricordano per sempre’».

Va da sé che questi giorni sono destinati a essere il momento privilegiato per mettere in pratica quel pressante invito all’ascolto, diventato il mantra dominante nella vita della Chiesa italiana: «Per i ragazzi, come per tutti – aggiunge il segretario del Foi – è di sicuro il momento della ripartenza, ma deve essere anche l’occasione per ripensare quello che hanno vissuto in questi ultimi due anni e per fare questo hanno bisogno di essere ascoltati ». È solo così, nota Pascolini, che quest’estate 2022 «ci aiuterà a generare e a rigenerare le comunità. Vedo in questo una ‘vocazione nella vocazione’ degli oratori, perché tramite queste esperienze offerte agli adolescenti tutte le famiglie potranno davvero ritrovare quella comunità di cui tutti sentiamo il bisogno per ripartire». Parole che sugellano con disarmante semplicità il ruolo sociale degli oratori e della pastorale giovanile in Italia. Perché in parrocchia i centri estivi non sono mai solo dei ‘parcheggi’ per minori, ma offrono un tempo di qualità fondato su un prezioso progetto educativo. L’attenzione fondamentale da avere, chiosa il sacerdote perugino, è che l’impegno messo in campo in questo periodo non si esaurisca con l’estate ma diventi «motivo per volgere lo sguardo e il cuore a una ripresa strutturata ma anche condivisa dei cammini educativi ».

D’altra parte gli oratori e la pastorale giovanile in questi due anni, in cui non si sono mai fermati di fatto, «hanno imparato a trovare soluzioni anche nei momenti difficili e a camminare sempre col passo del popolo di Dio, senza mai avere la presunzione di sapere tutto, ma cercando di intuire invece quello che serviva e serve alla comunità. Oggi ad esempio – conclude Pascolini – essi sono anche laboratori di dialogo e di pace: nei nostri oratori sono impegnati tra gli animatori anche ragazzi musulmani, ortodossi, oltre agli ucraini rifugiati». Un piccolo segno profetico per il mondo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Nella foto i giovani di Bergamo durante una gita estiva in montagna (da Facebook)

Avvenire

Ricominciare dalla preghiera dei fedeli

Nel clima di dibattito attorno alla nuova traduzione del Messale pubblichiamo un contributo comparso come editoriale sul sito della Rete delìi Viandanti (www.viandanti.org) il 29 novembre scorso. (fonte Adista)

lo ha scritto Roberto Boggiani, Medico, operatore in una comunità di accoglienza a Parma.

La preghiera dei fedeli fu ripristinata dal Concilio Ecumenico Vaticano II con la Costituzione Sacrosanctum Concilium (n. 53), riguardante la riforma liturgica. Sembrava essere il primo strumento messo in mano ai laici per dar loro voce in seno alla celebrazione eucaristica, in ossequio al riscoperto carattere sacerdotale di tutto il popolo di Dio.

Di spontaneo è sortito ben poco

Si tratta di una sequenza di invocazioni, di richieste di aiuto, di ispirazione, di grazie, posta giusto al termine della Liturgia della Parola e appena prima della Liturgia Eucaristica.

Essendo, almeno in linea di principio, a disposizione dei fedeli poteva assumere il carattere della spontaneità come, per fare un paragone un po’ ardito, l’omelia è a discrezione del singolo celebrante o comunque del presbitero o del diacono demandato. Come per l’omelia, ancor più per le preghiere dei fedeli è naturale che esistano delle linee guida.

Le intenzioni di preghiera seguono uno schema fisso, cui possono essere aggiunte altre a discrezione, spazio di solito poco utilizzato, se non in circostanze particolari. Lo scopo è di pregare per le necessità della Chiesa e del mondo e la successione di solito è la seguente: la Chiesa universale nella varietà dei ruoli e dei carismi, i governanti che presiedono alle sorti degli abitanti della terra, le categorie di persone in circostanze particolarmente critiche, l’assemblea eucaristica particolare e la comunità locale.

Come possa essere successo che, in oltre cinquant’anni, di spontaneo sia sortito ben poco e che le varie assemblee particolari preghino solitamente seguendo delle formulazioni preconfezionate diffuse mediaticamente, seppur da più fonti, lascia allibiti ma è nella realtà dei fatti.

Le preghiere dei “foglietti”: aride acrobazie linguistiche

Una generazione come la mia non riesce tanto a digerire le formulazioni auliche, prolisse, con sintassi spesso articolata, a contenuti sempre molto elevati, che ci propinano i foglietti distribuiti fra i banchi, i quali hanno sì lo scopo di favorire una migliore partecipazione personale, soprattutto alle letture, e di poterne fare memoria lungo la giornata o magari lungo la settimana, ma nessuno ripeterà le preghiere dei fedeli ivi riportate.

Sentirsi esclusi dall’esternazione orante personale è forse per la maggioranza una rassegnazione: è sempre stato così. Alla faccia dei segni dei tempi che vedono l’Eucaristia, fonte e culmine della vita cristiana, sempre meno frequentata e, fuori, una società sempre più secolarizzata.

La posta in gioco è la vita di fede dei fedeli stessi. Se essi vedono così contratta la loro possibilità di espressione dentro l’Eucaristia, come potranno prorompere nell’annuncio alla gente di fuori, in mezzo a chi non conosce, non accetta, non può godere della bella notizia che i cristiani non annunziano più, che si tengono gelosamente per loro, che non ha più attrattiva, specialmente per le giovani generazioni?

Liberare la preghiera dei fedeli

Esprimendo se stessi nella preghiera, arricchirebbero pure la visuale del pastore sui fedeli affidati alle sue cure. Ciò fungerebbe di verifica di quanto da essi raccolto dall’ascolto della Parola di Dio, dentro e al di là dalla sua personale predicazione, e della risonanza da essa provocata.

Si pensa che il pastore conosca già le sue anime nella confessione. Nulla di più vero. O forse no? Ma le anime poi si conoscono spiritualmente fra di loro? Ho l’impressione che le espressioni di fede, con tutto il corteo verbale e gestuale che comportano, restino troppo confinate allo spazio intimo pastore/fedele. Mi pare che all’interno della comunità, e nella celebrazione eucaristica in particolare, non si riesca ad apprezzare quello spirito di apertura reciproca che dovrebbe sommamente rappresentarla. Le relazioni tra i fedeli sempre riguardano più il da farsi che l’essere autentici testimoni.

Non sarà certo la preghiera universale restituita ai fedeli a riempire di nuovo le chiese per la messa, ritengo, però, che la restituzione al popolo della preghiera dei fedeli sarebbe già una notevole conquista.

Condividere anche la Parola

Nell’ottica di una rivitalizzazione della celebrazione eucaristica, bisogna pensare anche ad ulteriori spazi partecipativi, senza possibilmente stravolgere l’attuale assetto.

Ultimamente un accorato intervento di Enzo Bianchi su Jesus del marzo scorso si domandava: “Quanti presiedono l’eucaristia dovrebbero porsi una domanda: l’assemblea che sta loro di fronte, di quale azione liturgica ha bisogno per potervi partecipare? Come quest’assemblea può riconoscere in ciò che celebra la Pasqua del Signore e la sua presenza viva di Kýrios, di Signore su di essa? Le domande sono molte, a partire da quella che ripeto spesso: quando la chiesa permetterà a dei fedeli, uomini e donne, preparati, scelti e riconosciuti nel carisma di spezzare la Parola, di intervenire con ordine nell’omelia presieduta dal presbitero?”. Personalmente lo vedo un traguardo lontano, stando così chiuse e sedimentate le cose.

Penso piuttosto al dopo-comunione quale momento opportuno, vorrei dire, di Condivisione della Parola (ma ben più forte è lo “spezzare la Parola” di Enzo Bianchi!), ben spaziato temporalmente dal Ministero della Parola (l’omelia presbiterale). Si potrebbe dare seguito al silenzio (spesso troppo breve) di preghiera intima individuale che segue la comunione con più voci che comunicano ai fratelli il proprio messaggio di entusiasmo personale, di incoraggiamento, di vita, in un particolare momento in cui forte è l’ardore di fede, l’anelito di speranza, il vigore di carità che la comunione suscita.

Muti in chiesa, loquaci sul sagrato

Ciò potrebbe creare una bella aspettativa nell’assemblea, che altrimenti opta per una conclusione rapida e il passaggio alle esternazioni sul sagrato. Quel che di empatico e informale, di faceto e – perché no – di profano, che fa seguito ad una scena sostanzialmente muta durante la celebrazione. Che resta ordinariamente muta nel seguito.

Al più si indugia in apprezzamenti generici della performance omiletica del celebrante, dove fra la mitizzazione e la squalifica solitamente non esiste nulla. Forse si sovrapporrebbero dei preziosi richiami a quel che l’uno o l’altro ha espresso, spunti anche di meditazione che poi emergerà nella condivisione successiva, con un’auspicabile progressione sia qualitativa che quantitativa della partecipazione.

Due pratiche (la spontanea preghiera dei fedeli e la condivisione della Parola) che, credo, sarebbero di aiuto per essere lievito che fa fermentare tutta la pasta, per renderci capaci di dare sapore a questa società spiritualmente scipita.

Lettera ai Parrocchiani di don Daniele Casini… saluto a Sr. Christa, Lunedì 29 agosto 2016

Reggio Emilia 18 Agosto 2016

Cari Parrocchiani,

                                alla festa dell’Assunta abbiamo annunciato, dopo 9 anni esatti dal suo arrivo in Italia (era il 16 agosto 2007), il rientro definitivo in India di Sr. Christa, il martedì 30 agosto p. v.

Negli ultimi due anni l’abbiamo vista solo a Natale, Pasqua, in estate, perché era stata inviata dalla precedente Madre Superiora a studiare a Roma per diventare Maestra delle Novizie. Con il cambio della Madre nell’aprile scorso, anche per Sr. Christa sono cambiati i progetti in una maniera impensata: dovrà occuparsi della formazione delle Novizie sì, ma in Etiopia, non in India. Peraltro adesso ritorna in India non sapendo ancora con certezza la data dell’invio nella missione africana…

Le è chiesto comunque di fare un bel salto nella sua vita e promettiamo fin da ora di accompagnarla con la preghiera!

Abbiamo pensato anche di darle un saluto che stavolta appunto sarà…. definitivo e vi annuncio che la data scelta è la sera di lunedì 29 agosto alle 19, alla vigilia della partenza (a dire il vero è l’unica data rimasta perché vogliamo attendere il rientro di Sr. Sneha dalla sua vacanza in Kerala: rientrerà appunto la sera di venerdì 26; il sabato 27 io e mons. Gazzotti abbiamo due matrimoni a testa, domenica 28 non si può fare….).

Quindi l’invito è per tutti voi il lunedì 29 alle 19 in Santa Teresa con la Messa di saluto presieduta dal Vescovo Adriano e, a seguire, cena a base di sapori e ingredienti della tradizione del Kerala, grazie ai rinforzi che verranno dalle Suore di Montecchio e Bibbiano.

Sarà anche un’occasione spero per salutarci dopo due mesi almeno in cui non ci siamo visti, E ri-.cominciare con una Messa e una festa mi sembra una bellissima cosa! E vi prego di non rispondermi come gli invitati alle nozze della parabola odierna del Vangelo…

Un caro saluto a tutti…

don  Daniele Casini

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