«Kèrigma» di dialogo e unità

«Ripartire dall’esperienza di misericordia che ci viene offerta, sebbene abbiamo peccato, significa riformare la nostra vita con l’aiuto della grazia, di modo che la nostra libertà, invece di alienarci, ci aiuti a conformare questa vita al disegno di Dio». Il punto di partenza, pertanto, «non può essere quello di rimproverare i deboli, bensì di proporre Colui che può darci la forza per superare le nostre debolezze, specialmente attraverso i sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia». A questo proposito, «la santa Comunione non è semplicemente una “cosa” da ricevere ma Cristo stesso, una Persona da incontrare». È uno dei passaggi centrali del discorso pronunciato mercoledì scorso dal nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America, arcivescovo Christophe Pierre, in apertura dell’assemblea plenaria della Conferenza episcopale statunitense che si sta svolgendo in modalità online e la cui conclusione è prevista per oggi, 18 giugno.

Ripartire da Gesù, imparare da Cristo per quanto riguarda sia il contenuto della predicazione e dell’insegnamento (kèrigma) sia il metodo: questa la via da seguire nel processo di evangelizzazione. Monsignor Pierre cita la lettera apostolica di Giovanni Paolo II Novo millennio ineunte: «Non si tratta, allora, di inventare un “nuovo programma”. Il programma c’è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste. È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace. Questo programma di sempre è il nostro per il terzo millennio» (29). Già, la comunicazione. Il nunzio apostolico ricorda che quello di Gesù era un metodo di incontro e dialogo: «Ciò è importante per noi in questo “Anno della famiglia Amoris laetitia”: incontrare famiglie, anche quelle spezzate, e accompagnarle nel loro cammino attraverso un dialogo premuroso. Sappiamo che le famiglie stanno soffrendo, economicamente, emotivamente e spiritualmente. Sappiamo anche quanti membri del gregge faticano a vivere la fede. Vorremmo che comprendessero la fede perfettamente e che agissero secondo la giusta ragione e, coerentemente, compissero buone scelte, ma non siamo una Chiesa di persone perfette, bensì una Chiesa pellegrina bisognosa della misericordia generosamente offerta da Cristo».

Né usanza “tradizionale” né determinata “pratica sociale”: il kèrigma, ovvero la comunicazione del messaggio cristiano, la proclamazione della buona novella, spiega l’arcivescovo francese, «è l’annuncio gioioso che Gesù è una Persona viva da incontrare, che attraverso la sua risurrezione ha vinto il peccato e la morte». Da ciò, «quando il cristianesimo viene ridotto a un’abitudine, a norme morali, a riti sociali, prima o poi perde la sua vitalità e il suo interesse esistenziale per gli uomini e le donne dei nostri giorni, specialmente per quanti cercano speranza dopo la pandemia e la giustizia autentica dopo lo sconvolgimento radicale che abbiamo vissuto; o per quanti sono venuti qui alla ricerca di un futuro più luminoso e sicuro». Anche da questo punto di vista il cristianesimo «offre di più di ciò che può dare una ong o un’organizzazione che si occupa di servizi sociali», per rispondere ai bisogni materiali dei poveri: «La Chiesa offre salvezza nella persona di Gesù Cristo». E «quando la moralità cristiana si afferma senza Gesù Cristo, anche se le conclusioni teologiche e filosofiche possono essere corrette, essa non penetra nel cuore in modo tale da portare alla conversione. La moralità cristiana, la cultura cristiana e i valori cristiani» sono dunque «parte dell’azione attraverso la quale continuiamo a mostrare la “novità” della vita cristiana, che scaturisce dal nostro incontro con Gesù Cristo».

Ma è soprattutto sul modo, sul metodo della catechizzazione che insiste, nel suo discorso, il nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America. Sia nell’enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti sia nella lettera della Congregazione per la dottrina della fede Samaritanus bonus, «il modello di Chiesa proposto è quello del buon samaritano che procede con compassione e misericordia, in solidarietà con quanti soffrono, al fine di portare loro vera guarigione. Mentre usciamo dalla pandemia dobbiamo domandarci: siamo una Chiesa che risponde ai bisogni autentici della nostra gente? Penso che Gesù spesso guardasse le grandi folle e vedesse la loro sofferenza e saziasse la loro fame e i loro desideri più profondi, anche il desiderio di misericordia». Gli incontri di Gesù con il giovane ricco (Marco, 10, 17-22), con Zaccheo (Luca, 19, 1-10), con la samaritana al pozzo (Giovanni, 4, 4-42): il presule li cita per illustrare il metodo cioè «incontrare, accompagnare, amare, impegnarsi in un dialogo rispettoso, sfidare senza umiliare, nella speranza di una conversione più profonda». La strada da sempre percorsa dal cardinale Jean-Louis Tauran: «Dialogare significa andare all’incontro con l’altro disarmati, con una concezione non aggressiva della propria verità».

Il dialogo, allora, ribadisce l’arcivescovo Pierre, «non è sempre un dimostrare di avere ragione. È una mutua condivisione da parte di persone che riguarda come vivere e come mostrare solidarietà. In quanto cristiani il nostro dialogo dovrebbe esprimere l’esperienza vissuta cristiana, non come forma di moralismo, ma come una grazia che abbiamo ricevuto dal nostro incontro iniziale con Cristo». L’obiettivo «deve essere l’unità, e non meramente quella dottrinale e giuridica. Cristo stesso ha cercato di costruire l’unità, di essere un mediatore tra Dio e gli uomini, di aiutare a riconciliare i peccatori con il Padre. Ha fondato la sua Chiesa affinché fosse segno e strumento di unità, e la nostra stessa unità come Chiesa e anche come vescovi può dare una potente testimonianza del Vangelo».

Fra l’altro, la Chiesa negli Stati Uniti «si è già dimostrata capace di un compito così grande», ricorda il nunzio apostolico: «Dinanzi alla crisi degli abusi ha risposto con uno sforzo unito e concertato che ha mostrato attenzione e compassione per la sofferenza delle vittime; ha provveduto ai bisogni della comunità immigrata; è stata solidale con i nostri fratelli e sorelle perseguitati in tutto il mondo offrendo vicinanza materiale e spirituale; è accorsa in aiuto alle persone colpite da disastri naturali; ha parlato con una sola voce in difesa della dignità di tutti i popoli e contro il flagello della disuguaglianza razziale».

È in particolare dai vescovi che «dipende la dinamica dell’unità»: come successori degli apostoli — conclude Christophe Pierre — «essi hanno la responsabilità dell’unità della Chiesa particolare affidata alla loro cura pastorale. Tale unità si esprime nella comunione di fede, nella vita sacramentale e nell’impegno evangelizzatore di ogni Chiesa locale». E «un’espressione particolarmente importante di tale unità è la comunione tra le Chiese locali e la Sede di Pietro».

di Giovanni Zavatta

Osservatore

Mondo a rischio. Appello contro le armi nucleari: «L’Italia archivi l’era atomica»

Mai più atomica. Il mondo lo ha deciso il 7 luglio 2017 quando l’Assemblea generale ha approvato il bando sulle armi nucleari. «Ai nostri figli vogliamo lasciare un mondo senza testate», aveva detto nel presentare il trattato la presidente della Conferenza Onu, Elayne Whyte Gómez. Le nove potenze atomiche, però, ignorano il divieto, entrato in vigore il 22 gennaio scorso. E l’Italia con loro. Eppure è chiaro che «la pace non può essere raggiunta attraverso la minaccia dell’annientamento totale, bensì attraverso il dialogo e la cooperazione».

Da questa consapevolezza, nasce il forte appello di quarantadue presidenti e responsabili nazionali di altrettante realtà cattoliche a governo e Parlamento affinché archivino la drammatica pagina del nucleare. «Il nostro Paese non ha né firmato il trattato in occasione della sua adozione da parte delle Nazioni Unite, né l’ha successivamente ratificato.

Tra i primi firmatari di questo trattato vi è invece la Santa Sede.

In Italia, nelle basi di Aviano (Pordenone) e di Ghedi (Brescia), sono presenti una quarantina di ordigni nucleari (B61). E nella base di Ghedi si stanno ampliando le strutture per poter ospitare i nuovi cacciabombardieri F35, ognuno dal costo di almeno 155 milioni di euro, in grado di trasportare nuovi ordigni atomici ancora più potenti (B61-12)», scrivono gli aderenti.

Questa si pone in stretta continuità con le esortazioni, rivolte lo stesso 22 gennaio, dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) e dal vescovo Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi, affinché le nazioni attuino il disarmo atomico tante volte proposto da papa Francesco. Altri vescovi italiani si sono espressi pubblicamente in questa direzione e anche numerose sedi locali di varie associazioni e movimenti cattolici hanno fatto altrettanto.

«A tutti questi appelli, unendoci convintamente alla Campagna nazionale “Italia ripensaci”, che ha registrato una vasta e forte mobilitazione su questo argomento, aggiungiamo ora il nostro e chiediamo a voce alta al Governo e al Parlamento che il nostro Paese ratifichi il trattato Onu di proibizione delle armi nucleari», concludono i sottoscrittori. Ad aprire uno spiraglio in questa direzione, è stata due giorni fa la dichiarazione congiunta dei presidenti Usa Joe Biden e russo Vladimir Putin sulla stabilità strategica, al termine del bilaterale di Ginevra.

«Stati Uniti e la Russia hanno dimostrato che, anche in periodi di tensione, sono in grado di fare progressi sugli obiettivi comuni per assicurare la prevedibilità della sfera strategica, riducendo il rischio di conflitti armati e le minacce di una guerra nucleare», hanno affermato i leader, perché «la guerra atomica non può essere vinta e non deve mai essere combattuta». Il documento prosegue la strada cominciata a febbraio con l’estensione per altri cinque anni del New Strategic Arms Reduction Treaty (New Start), intesa sulla riduzione degli arsenali, firmata l’8 aprile 2010 durante le Amministrazioni di Barack Obama e Dmitrij Medvedev.

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I sottoscrittori

Il «grido» unanime di associazioni e movimenti​

Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli.

Matteo Truffelli, già presidente nazionale di Azione Cattolica.

Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale di Azione Cattolica.

Giovanni Paolo Ramonda, responsabile nazionale dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII.

Rosalba Poli e Andrea Goller, responsabili nazionali del Movimento dei Focolari Italia.

Don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi.

Don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione.

Adriano Roccucci, responsabile nazionale per l’Italia della Comunità di Sant’Egidio.

Don Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele e di Libera.

Ernesto Preziosi, presidente di Argomenti 2000.

Ernesto Olivero, fondatore del Sermig (Servizio missionario giovani).

Beppe Elia, presidente nazionale del Meic (Movimento ecclesiale di impegno culturale).

Martina Occhipinti e Lorenzo Cattaneo, presidenti nazionali della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana).

Barbara Battilana e Vincenzo Piccolo, presidenti del Comitato nazionale dell’Agesci.

Franco Vaccari, presidente di Rondine, Cittadella della Pace.

Antonio Di Matteo, presidente nazionale Mcl (Movimento cristiano lavoratori).

Antonio Gianfico, presidente della Federazione nazionale società di San Vincenzo De Paoli.

Luciano Caimi, presidente di Città dell’Uomo – associazione fondata da Giuseppe Lazzati.

Ivana Borsotto, presidente della Focsiv (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario).

Antonio Lissoni, presidente nazionale dell’Associazione Italiana Amici di Raoul Follerau.

Luciano Corradini, presidente emerito dell’Uciim (Unione cattolica italiana insegnanti medi).

Don Riccardo Battocchio, presidente nazionale dell’Ati (Associazione teologica italiana).

Cristina Simonelli, già presidente del Coordinamento delle teologhe italiane.

Lucia Vantini, presidente del Coordinamento delle teologhe italiane.

Renata Natili Micheli, presidente nazionale del Cif (Centro italiano femminile).

Vittorio Bosio, presidente nazionale del Csi (Centro sportivo italiano).

Massimiliano Costa, presidente nazionale del Masci (Movimento adulti scout cattolici italiani).

Mario Primicerio, presidente della Fondazione Giorgio La Pira.

Andrea Cecconi, presidente della Fondazione Ernesto Balducci.

Paola Bignardi, presidente della Fondazione Don Primo Mazzolari.

Agostino Burberi, presidente della Fondazione Don Lorenzo Milani.

Rosanna Tommasi, presidente del centro internazionale Hélder Câmara.

Fabio Caneri, presidente dell’associazione La Rosa Bianca.

Giuseppe Rotunno, presidente del Comitato per una Civiltà dell’Amore.

Antonio Caschetto, coordinatore dei programmi italiani del Movimento cattolico mondiale per il clima.

Suor Paola Moggi, segreteria della Fesmi (Federazione stampa missionaria italiana).

Franco Ferrari, presidente dell’associazione Viandanti e della Rete dei Viandanti.

Vittorio Bellavite, coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa.

Lisa Clark, associazione Beati i costruttori di pace.

Argia Passoni, responsabile nazionale della Fraternità francescana frate Jacopa.

Paolo Sales, segreteria nazionale delle Comunità cristiane di base italiane.

Diego Bellardone, presidente Afi (associazione delle Famiglie – confederazione italiana).

Piero Stefani, presidente del Sae (Segretariato attività ecumeniche).

Maurizio Gardini, presidente nazionale di Confcooperative (Confederazione cooperative italiane).

Paolo Tomassone, coordinatore della rete C3dem (Costituzione, Concilio, Cittadinanza,).

Gabriele Tomasoni, presidente nazionale del Mec (Movimento ecclesiale carmelitano).

Altre adesioni

Fra Fabio Scarsato, direttore editoriale Messaggero di Sant’Antonio. Aurora Nicosia, direttrice della rivista “Città Nuova”. Padre Enzo Fortunato, direttore della rivista “San Francesco Patrono d’Italia”. Alessio Zamboni, direzione e redazione della rivista “Sempre”. Pasquale Colella, direttore della rivista “Il Tetto”. Diego Piovani, direttore della rivista “Missionari Saveriani”. Alessandro Cortesi,direttore Centro Espaces “Giorgio La Pira”. Pierangelo Monti, coordinatore del gruppo Amici di Gino Pistoni. Martino Troncatti, presidente di Acli Lombardia. Ettore Cannavera, presidente di “Cooperazione e Confronto” e responsabile della comunità “La Collina” di Serdiana. Maria Gabriella Esposito, presidente Uciim della diocesi di Teramo-Atri. Gennaro Scialò, presidente del Centro Giorgio La Pira di Pomigliano d’Arco. Roberto Marcelli, presidente di Raphaël, cooperativa sociale onlus di Clusane d’Iseo. Carla Biavati, presidente dell’Associazione per la nonviolenza attiva. Maurizio Certini, responsabile del Centro internazionale studenti “G. La Pira” di Firenze. Giorgio Grillini, presidente della cooperativa sociale frate Jacopa. Davide Bertok, responsabile dell’associazione Mondo senza guerre e senza violenza. Maria Pierina Peano, responsabile dell’associazione Comunità di Mambre. Mario Metti, presidente dell’associazione Mamre di Borgomanero. Irene Larcan, presidente della Fraternità di laici domenicani “Annunciazione del Signore” di Agognate. Maria Laura Tortorella, presidente di “Patto Civico”. Giuseppe Licordari, referente di “Reggio Non Tace” e della Comunità di vita cristiana. Andrea Zucchini, presidente dell’associazione Igino Giordani. Antonella Lombardo, presidente di “Dancelab Armonia”. Paolo Magnolfi, presidente di Nuova Camaldoli APS. Fratel Antonio Soffientini, responsabile della Comunità comboniana di Venegono Superiore. Luciano Ferluga, presidente comitato Pace, convivenza e solidarietà “Danilo Dolci” di Trieste. Antonio Francesco Beltrami, presidente associazione Famiglie Nuove della Lombardia Aps.

Avvenire

Lo Spirito soffia dove vuole

Lo Spirito Santo è come un vento forte e libero, cioè ci porta forza e ci porta libertà: vento forte e libero. Non si può controllare, fermare, né misurare; e nemmeno prevederne la direzione. Non si lascia inquadrare nelle nostre esigenze umane – noi cerchiamo sempre di inquadrare le cose –, non si lascia inquadrare nei nostri schemi e nei nostri pregiudizi. Lo Spirito procede da Dio Padre e dal suo Figlio Gesù Cristo e irrompe sulla Chiesa, irrompe su ciascuno di noi, dando vita alle nostre menti e ai nostri cuori. Come dice il Credo: «È Signore e dà la vita» (Papa Francesco, Regina Coeli del 23 maggio 2021).

Il titolo è avvincente: Soffia dove vuole. Il sottotitolo intrigante: Lo Spirito Santo dal Big Bang alla liberazione degli oppressi. Il libro ha il compito di ridire il terzo articolo del Credo («Credo nello Spirito Santo»). Ne è autore Leonardo Boff, uno dei teologi viventi più noti al mondo ed esponente di punta della teologia della liberazione.

Edito in Brasile nel 2013 con il titolo Espìrto Santo. Fogo interior, doador de vida e Pai dos pobres è stato pubblicato in Italia, all’inizio dello scorso anno, dalla Editrice Missionaria Italiana di Verona con la traduzione di Pier Maria Mazzolla. È dedicato alle donne che «possiedono una connaturalità con lo Spirito Santo perché egli, come loro, è donatore di vita».

Nelle pagine introduttive l’autore presenta il saggio come «un piccolo trattato sullo Spirito Santo», presente «nel cosmo, nell’umanità, nelle religioni, nelle Chiese e in ogni essere umano, specialmente nei poveri» (p. 15).

Elaborato «dopo molti anni di ricerca e di riflessione» (p. 15), esso si pone l’obiettivo di riflettere sulla terza Persona della Santissima Trinità con il rigore richiesto dalla teologia. Non utilizzando, però, le categorie metafisiche, di derivazione greca, «di sostanza, di essenza e di natura» che rimandano a «qualcosa di statico e sempre già circoscritto in una forma immutabile», ma «tramite un altro paradigma, più vicino alla moderna cosmologia» che «vede tutte le cose in genesi, le vede emergere da un fondo di Energia Indicibile, Misteriosa e Amorosa che è prima del prima, nel tempo e nello spazio zero» (p. 16) e, quale «oceano senza confini di tutte le virtualità e possibilità di essere» (p. 92), penetra da un capo all’altro la creazione intera. «Questo Prima del prima è ciò che la teologia chiama Spiritus creator» (p. 225).

Struttura del saggio

Tredici i capitoli, preceduti da una breve premessa e seguiti da un’altrettanto concisa conclusione.

Il primo capitolo è una sorta di lunga introduzione che vede l’irruzione, a livello planetario ed ecclesiale, dello Spirito Santo in alcuni esempi di «rotture creative» a noi vicine (p. 22): dal Concilio Vaticano II alla nascita della teologia della liberazione con l’opzione preferenziale per i poveri, dalla caduta dell’Impero Sovietico ateo e calpestatore dei diritti umani ai Forum mondiali impegnati in progetti che garantiscano un futuro di vita e di speranza per tutti i poveri del mondo, dall’emergere nella Chiesa dei movimenti che rimediano all’oblio in cui lo Spirito Santo era caduto all’elezione a vescovo di Roma di papa Francesco, dall’affermarsi del femminile in tutti i contesti sociali alla sempre più diffusa coscienza ecologica fondamentale per salvaguardare la vita umana e il destino della nostra civiltà.

Il secondo è una riflessione teologica offerta per attribuire dignità ad alcune esperienze-base di vita che possono aprire la strada ad una migliore conoscenza dello Spirito di Dio: il respiro e la forza della natura, l’irruzione della vita come imperativo cosmico in ogni parte dell’universo culminata nel fiorire della vita umana, l’esistenza dei carismi come forza cosmica che afferra le persone e le trasforma in profeti a servizio della vita umana, dei poveri e della loro liberazione… Tutte esperienze-base che ci permettono di captare lo spirito e che vengono poi, nel capitolo terzo, sistematizzate sotto alcuni diversi angoli visuali e, nel capitolo quarto, interpretate teologicamente e attribuite allo Spirito Creatore.

Dal quinto al nono capitolo Leonardo Boff, nell’affrontare la complessa dottrina teologica riguardante lo Spirito Santo come terza Persona della Santissima Trinità, richiama grandi maestri e maestre del pensiero cristiano (da Gioacchino da Fiore a Giuliana di Norwich, da Friedrich Hegel a Ildegarda di Bingen, da Paul Tillich a Josè Comblin, da Yves Congar a Jürgen Moltmann) e si sofferma sulla missione straordinaria di Maria, la «pneumatofora» (“portatrice dello Spirito”) per antonomasia che ha reso possibile l’umanizzazione di Dio in Gesù di Nazaret, avendo lo Spirito Santo stabilito in lei la sua residenza permanente.

Nel capitolo decimo il teologo brasiliano illustra un tema che gli sta particolarmente a cuore e che sembra costituire la specificità del suo pensiero teologico. Che rapporto intercorre tra cosmologia e spiritualità? Come si inserisce il cristianesimo nel processo evolutivo dell’universo che ha almeno 13,7 miliardi di anni? Quali effetti producono sulla teologia le acquisizioni della scienza moderna in tema di nascita ed evoluzione dell’universo? Tematica generalmente tralasciata dai trattati teologici sulla dottrina dello Spirito Santo (“pneumatologia”) che «continua ad essere prevalentemente materialista, ossia sostanzialista» (p. 62). Trattato invece da Boff in numerosi altri suoi saggi, questo tema trova qui una più completa e aggiornata esplicitazione.

La comunità dei credenti in Gesù come grande opera dello Spirito Santo e la loro vita secondo lo Spirito costituiscono rispettivamente il contenuto dell’undicesimo e del dodicesimo capitolo.

Nell’ultimo capitolo l’autore ci offre un breve e istruttivo commento di due importanti inni della liturgia cristiana e della pietà popolare nei quali si trova l’essenziale della teologia sullo Spirito Santo (p. 254): il Veni Sancte Spiritus e il Veni Creator.

Un libro, quello di Leonardo Boff, solo apparentemente di facile lettura. In realtà, richiede impegno e attenzione in quanto, caratterizzato com’è da argomentazioni teologiche e da riflessioni spirituali, da discorsi scientifici e da pagine poetiche, da considerazioni etiche e da sollecitazioni socio-politiche, si discosta dagli schemi generalmente utilizzati nei trattati di pneumatologia.

E non è agevole sintetizzarlo in poche pagine. Preferisco limitarmi ad esplicitare alcune risonanze che la lettura del saggio ha fatto sorgere in me.

spirito santo

Molteplicità di livelli di presenza dello Spirito

«Lo Spirito dorme nella pietra, sogna nel fiore, si desta nell’animale e sa di essere desto nell’essere umano». È un detto antico, di origine orientale sconosciuta, che Boff cita a pag. 199 per dire come lo Spirito conosca diversi livelli di presenza.

Esso «si manifesta come esplosione di energia, movimento della materia, come principio di vita e suscitatore di coscienze. Da lui vengono i grandi sogni, quelli che sospingono alla creatività, poiché egli è la fantasia di Dio, e nutre il coraggio, provoca la sacra collera contro le ingiustizie, incita al grido di liberazione e appare come forza di comunione e di comunicazione» (p. 199).

«Lo Spirito Santo è talmente unito alla storia che essa, da profana, si trasforma in storia sacra» (p. 102). Sua caratteristica, tuttavia, è quella di nascondersi e di non far rumore. Egli soffia dove vuole e non sappiamo da dove venga né dove vada (Gv 3,8). È come l’acqua «che umilmente si adatta a ogni suolo, a ogni recipiente, e che per scorrere cerca sempre la via più bassa» (p. 253).

Tipico dello Spirito è «infondersi nelle cose, penetrare segretamente nelle menti e nei cuori delle persone e delle collettività, alimentando la fiamma sacra dell’amore, della giustizia, della fraternità e della compassione»: tutti doni suoi (p. 174).

Nostro compito è quello di «disoccultarlo» (p. 17), scoprendone ovunque la presenza: nel tempo come nello spazio, nell’immensità dell’universo come nella bellezza della natura, nel mondo animale come in quello vegetale, nella società come nella Chiesa, nell’intimo di ogni coscienza come nei progetti di liberazione dei popoli oppressi.

Lo Spirito presente all’inizio quando…

Lo Spirito di Dio era presente quando, secondo la tradizione giudaico-cristiana, aleggiando sul caos originario (sul tohu-bohu), «la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso» (Gen 1,2).

Era presente quando, al momento del Big Bang, si creò quel raffinatissimo equilibrio che permise la comparsa della materia, delle grandi stelle rosse, delle galassie e delle stelle di seconda e terza generazione.

Era presente quando, 13,7 miliardi di anni fa, comparve l’universo e quando, 4,4 miliardi di anni fa, fece la sua comparsa il Pianeta Terra situato ad una distanza propizia dal Sole.

Era presente nel momento in cui la materia raggiunse una complessità talmente elevata da permettere, 3,8 miliardi di anni fa, l’irruzione della vita, momento speciale del processo cosmogenico, «la più alta fioritura di tutto il processo cosmico» (p. 68).

Era presente quando 245 milioni di anni fa si verificò la spaccatura dell’unico grande continente – Pangea – che diede luogo all’articolazione dei continenti attuali.

Era presente quando 200 milioni di anni fa irruppero sulla faccia della terra i mammiferi dotati di affettività, cura e amore o quando, essendo sul nostro pianeta Terra tutto pronto al 99,6% per accogliere l’essere umano, circa 150.000 anni fa comparve l’Homo sapiens, al quale succedette, all’incirca 100.000 anni fa, l’Homo sapiens sapiens, quello che siamo noi oggi.

Anche senza presupporre l’esistenza di una mano della Provvidenza divina, la cosmologia moderna afferma che l’universo, «sinfonia di suoni e di colori» (p. 92), non è assurdo ma piuttosto carico di intenzioni. C’è una freccia del tempo che punta in avanti e in direzione ascensionale. «Come ha affermato l’astrofisico e cosmologo Freeman Dyson: Si direbbe che l’universo, in qualche modo, sapesse che un giorno saremmo arrivati noi, e abbia preparato tutto perché potessimo essere accolti e fare il nostro cammino di ascensione nel processo evolutivo (p. 97).

Lo Spirito di Dio presente nella vita di Gesù di Nazaret quando…

Il “culmine” dell’azione dello Spirito di Dio lo si è avuto con l’irruzione in forma permanente nella vita di Maria (Lc 1,35), la nuova Eva (Ap 12,1), che ha reso possibile l’umanizzazione di Dio in Gesù di Nazaret, il nuovo Adamo datore di vita (1Cor 15,45). Maria è la «pneumatofora» che è stata «pneumatizzata dallo Spirito Santo» (p. 112).

Nei vangeli sinottici il Gesù storico parla poco dello Spirito Santo e non insegna nessuna dottrina su di esso (p. 105), ma nello Spirito vive, agisce, parla, si relaziona e prega (p. 106). Quando usa la parola Spirito, lo fa per suscitare vita e liberazione.

Nella sua prima apparizione nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,18-19), dopo che lo Spirito Santo era sceso sopra di lui in occasione del battesimo ricevuto da Giovanni Battista, Gesù fa un richiamo diretto allo Spirito per presentare il suo programma: portare l’evangelo ai poveri, proclamare la liberazione dei prigionieri, dare la vista ai ciechi, rimettere in libertà gli oppressi, proclamare l’anno di grazia del Signore (p. 106).

Gesù prospetta un modo di stare davanti a Dio (Abbà), davanti agli altri (tutti sono prossimo), davanti alle leggi (libertà), nel contesto di un grande sogno: l’instaurazione del Regno di Dio che sta venendo, Regno destinato a liberare il creato dalla sua decadenza e a riconciliare il mondo con Dio (p. 163). Ma soprattutto Gesù, nel liberare gli uomini e le donne da immagini false di Dio, annuncia un Dio-Padre, la cui caratteristica principale è di essere buono e misericordioso anche con gli ingrati e i malvagi (p. 234). Una vera rivoluzione, quella di Gesù: non solo annunciata, ma in fase di costruzione grazie a coloro che tentano di vivere secondo il suo stile (p. 164).

Lo Spirito Santo presente nella Chiesa quando…

Dopo la terribile e ignominiosa morte di Gesù e lo scioglimento del gruppo dei suoi seguaci, è lo Spirito Santo che fa risorgere il Crocifisso a vita nuova. La risurrezione di Gesù è il grande segno che lo Spirito Santo è in azione e sta inaugurando l’era dello Spirito (p. 120).

È lo Spirito Santo che a Pentecoste fornisce ai discepoli timorosi e frastornati una forza straordinaria grazie alla quale essi potranno testimoniare l’evangelo di Gesù «fino agli estremi confini della terra» (At 1,8) e annunciarne il contenuto «a tutte le genti» (Lc 24,47) con modalità tali che ognuno è in grado di recepirlo nella propria lingua (At 2,6).

Senza Pentecoste, la Chiesa non sarebbe concretamente sorta. Come nacque per l’irruzione dello Spirito Santo, così essa vive grazie all’azione dello Spirito Santo. La Pentecoste, quindi, «si prolunga per tutta la storia, nella sua ampiezza e nella sua durata, e ci raggiunge anche in questi giorni in cui ci tocca vivere e soffrire» (p. 17).

La Chiesa non può irrigidirsi nella sua dottrina, nei suoi riti, nella sua liturgia o nel suo ordinamento giuridico. «Deve cogliere le situazioni dove lo Spirito emerge, al di là dello spazio ecclesiale, nell’evoluzione e nella storia, e crescere con esse, con il coraggio di perfezionarsi e rendersi più funzionale agli inevitabili mutamenti. Queste situazioni nuove non sono al di fuori del raggio d’azione dello Spirito, perché la storia della salvezza non è alternativa alla storia umana, si attua in essa» (p. 212).

Lo Spirito Santo anima una forma specifica di organizzazione ecclesiale decisamente diversa da quella classica articolata attorno a una sacra potestas distribuita tra poche mani maschili: papa, vescovi, presbiteri e diaconi. Se la Chiesa è veramente popolo di Dio, il concetto di “gerarchia” non dovrebbe neppure essere nominato. Ciò che va valorizzato è l’insieme delle diverse funzioni esercitate a vantaggio di tutti, all’interno di una uguaglianza fondamentale di tutti i figli e di tutte le figlie di Dio, in un contesto di vera fraternità e sorellanza. Tutti godono di pari dignità. Non c’è spazio per privilegi che destrutturino la comunità (p. 213).

È lo Spirito che «crea la diversità dei doni (1Cor 12,7-11) e, al tempo stesso, una relazione di servizio da parte di tutti in vista del bene di tutti. Egli è una forza di differenziazione e, al contempo, energia di comunione e relazione che dà forma a una unità complessa (p. 200). Il carisma specifico di chi svolge una funzione di guida, di coordinamento e di animazione non è quello di cumulare ma di integrare (p. 216).

Soprattutto vivere secondo lo Spirito significa impegnarsi per tutelare e affermate il diritto del povero alla vita e alla vita dignitosa. Una spiritualità insensibile alla passione dei poveri per liberarli dalla povertà sarebbe falsa e si farebbe sorda agli appelli dello Spirito. Preghiere, liturgie, celebrazioni, canti e danze non attente allo Spirito Pater pauperum non giungono a Dio (p. 229).

Un moderno tentativo di ripensare la Santissima Trinità

Un tentativo, quello di Boff, di moderna teologia trinitaria che «legge i termini della Tradizione (il Padre come fonte, il Figlio come generazione e lo Spirito Santo come espirazione) come analogie e descrizioni, più che come realtà oggettive. Fermo restando il dato di fede incontestabile: Dio non è la solitudine dell’Uno, ma la comunione dei Tre» (p. 147).

Per esprimere tale concetto la teologia trinitaria utilizza il termine pericoresi, che letteralmente significa «ruotare e danzare intorno»: completa reciprocità delle Divine Persone. Il Dio rivelato da Gesù per opera dello Spirito Santo è un Dio-in-Comunione, un Dio-in-Relazione. Il ricorso alla pericoresi – scrive Boff – «mostra meglio l’interrelazionalità delle Divine Persone ed è più conforme alla comprensione della moderna cosmologia, che vede tutto in rapporto con tutto, in una intricatissima rete di inclusioni e di reciprocità» (p. 149). «Dio è comunione di amore e non solitudine di una sola natura. E questa comunione nell’amore è così intima e radicale che i Tre Divini si unificano in un solo Dio-comunione-amore-dono-relazione» (p. 126).

Sant’Agostino – nel De Trinitate VI, 10, 12 – ha coniato questa bella formula: «Ciascuna di esse è in ciascuna delle altre, tutte sono in ciascuna, ciascuna in tutte, tutte in tutte e tutte sono una cosa sola» (p. 148).

settimananews

Cristianesimo tra tempio e sentieri della storia

cristianesimo

Quando, quotidianamente, assistiamo alle tensioni tra chi si preoccupa del Vangelo e chi vive nella paura di perdere l’identità cattolica, rileggere e reinterpretare il nono capitolo della Dei Verbum può essere un’iniziativa autocritica terapeutica.

Ciò che è disputato è il rapporto tra Tradizione e Scrittura, unite nella stessa matrice spirituale e “accettate e venerate con pari sentimento di pietà e riverenza”. In gioco, rileggendo con lessico latino-americano, è la tensione, ancora attuale, tra cristiani del Tempio e cristiani del Cammino.

Tradizione nelle tradizioni
Anzitutto è necessario sintetizzare quello che tutte le teologie – Magistero compreso – ci dicono della tradizione. C’è una Tradizione con T maiuscola, immutabile e irriformabile – che può, però, crescere attraverso ermeneutiche ed esegesi – e la tradizione-tradizioni con t minuscola, frutto di contesti storici che le suggerirono e che possono e a volte devono essere modificate e scartate per fedeltà al Vangelo.

Lo stesso Ratzinger, in un articolo giovanile, arrivava ad affermare che l’unica Tradizione con T maiuscola è la persona di Gesù e la sua Parola. E questa è una interpretazione che si mantiene cattolica, lontana dal principio protestante, considerato eretico e pericoloso, della sola Scriptura.

Non è possibile ignorare che furono le Chiese a definire il canone, o meglio, i canoni della Bibbia, in processi lunghi, diversi e complicati.

Considerando ciò che accadde nella Chiesa cattolica, possiamo affermare che la prima indiscutibile Tradizione è la decisione ispirata della Chiesa che riguarda la canonicità dei libri ispirati della Bibbia. Questa trasmissione dei libri canonici ci mostra la stretta relazione tra la parola di Dio e la Parola Apostolica, ma la definizione di questa innegabile compenetrazione non dovrebbe postulare una identificazione – “esse formano in certo qual modo un tutto e tendono allo stesso fine” – eliminando qualunque gerarchia tra i due eventi.

Forse i teologi potrebbero considerare questa interpretazione come una semplificazione riduttiva, ma certamente il rapporto Scrittura-Tradizione non può ignorare la priorità della Parola di Dio come norma normans e, in secondo piano, la Tradizione come norma normata. In questo senso, solamente Gesù e la sua Parola riletta e interiorizzata, in permanente legame con la vita e la storia, orientano la prassi evangelica dei seguaci.

La priorità tradita della Parola
Sarebbe tutto più semplice se questa affermazione della priorità normativa della Parola rispetto alla Tradizione fosse sufficiente. Infatti, non possiamo ignorare che questa dialettica tra Evangelo e Tradizione è ampiamente presente nel Nuovo Testamento, al punto di stabilirsi anch’essa come norma normans della complessa fedeltà alla comunione ecclesiale.

Può servire come esempio la tensione, presente nella comunità di Roma, già negli anni 65-70, tra la radicalità pericolosa dei martiri e la “prudenza” dei difensori del cristianesimo come religio licita, che troviamo descritta nel Vangelo di Marco (Mc 3,21). In questo versetto Gesù è definito pazzo dai suoi parenti. E questo succede molto prima del pacifismo di Clemente Romano, negli anni 90, e anticipa la definitiva alleanza della Chiesa con gli imperatori Costantino e Teodosio, nel IV secolo.

Troviamo nell’epistolario paolino un’ulteriore testimonianza di questa dialettica normativa tra due stili di interpretazione della Tradizione: per esempio, le lettere ai Colossesi, agli Efesini, la seconda ai Tessalonicesi, la prima e la seconda a Timoteo, la lettera a Tito optano per un inserimento pacifico delle comunità nel contesto sociale, culturale e politico dove vivono, mentre nelle lettere ai Romani, ai Galati e perfino nelle lettera a Filemone prevale la sfida profetica nei confronti di un cristianesimo eminentemente giuridico, più preoccupato della dottrina che della fede, contrapposto a quello ispirato dalla profezia.

Queste contraddizioni non dovrebbero scandalizzarci, perché fanno parte dell’insieme normativo della Parola di Dio in tutte le epoche della storia della Chiesa e ci faranno compagnia fino alla Parusia. In altre parole, si tratta della tensione costitutiva tra carisma e istituzione, che, sorprendentemente, in alcuni momenti, convivono profeticamente nella Chiesa e nella stessa gerarchia.

Ad esempio in Giovanni XXIII, in Medellín, in settori significativi dell’episcopato latino-americano nel periodo delle dittature militari. Ricordiamo, altresì, che lo stesso Concilio Ecumenico Vaticano II rivela questa duplicità, ove l’ispirazione evangelica e la fedeltà alla Tradizione si fanno presenti negli stessi documenti. E questo dilemma può essere certamente descritto, non risolto, dalla riflessione teologica, quindi dovrebbe essere vissuto fraternamente nelle comunità.

È opportuno, poi, ricordare la rivoluzione mistica di Francesco e Chiara, ispirata dal Vangelo letto e obbedito sine glossa e scelto come unica norma della vita comunitaria, in alternativa al diritto canonico. Da notare che fin dall’inizio del francescanesimo la dialettica tra Vangelo e organizzazione giuridica fu la causa della separazione tra spirituali (il movimento) e conventuali (l’ordine).

Nonostante questo, gli eredi di Francesco e Chiara convissero dialetticamente senza rompere la comunione ecclesiale, ma questa attitudine non aveva funzionato con gnostici e catari dei primi secoli e non funzionò più tardi con Ockham, albigesi, hussiti, fino a Lutero, che bruciò, insieme alla bolla che lo condannava una copia del Corpus Iuris Canonici.

Le vittime della sana dottrina
È una tensione che permane nelle posizioni antigiuridiche, radicali o moderate, del post Concilio. Pensiamo, per esempio, alla teologia di Leonardo Boff, nel libro Chiesa, Carisma e Potere. E ricordiamo la condanna inflitta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.

E con Boff, è necessario ricordare il lungo elenco dei processati e condannati: Hans Küng, José María Castillo, Gustavo Gutierrez, Juan Antonio Estrada. Jacques Dupuis, Ivone Gebara, Lavinia Byrne, Jon Sobrino, Bernhard Häring, Charles Curran, Marciano Vidal, Charles Curran, Roger Haight, Eugen Drewermann, Tissa Balasuriya, Yves Congar, Edward Schillebeeckx, Piet Schoonenberg…

Non si trattò solamente di teologi: furono Chiese e popoli, con i loro sogni di vita in pienezza e giustizia, ad essere rinnegati e occultati.

Dopo decenni caratterizzati dalla difesa della dottrina, sembra che qualcosa con Papa Francesco stia cambiando, ma sarebbe ingenuo credere che coloro che, nella storia della Chiesa, rappresentano il carisma, la profezia, la novità perenne del Vangelo, come opposizione ai poteri di questo mondo, non siano minoranze soggette alla persecuzione e alla morte.

L’attualità ci mostra nuovamente questa perenne tensione tra Papa Francesco e i difensori della tradizione giuridica e dottrinale, alla quale suppostamente il vescovo di Roma starebbe disubbidendo.

La nostra storia ci insegna che questo conflitto costitutivo, normativo, può essere amministrato nell’ambito della fraternità e sororità ecclesiali o, nella peggiore delle ipotesi, può provocare dolorose e antievangeliche soluzioni scismatiche. Dove – è prioritario non dimenticarlo – la fraternità passa necessariamente per la Croce di Gesù e dei suoi testimoni; Croce che è vittoria definitiva sulla morte e sulle prepotenze del Tempio e del Palazzo.

Una guerra civile per la vita e per la morte
Ma c’è un “però”, ed è stato l’amico Sandro Gallazzi a richiamare l’attenzione su questo: non possiamo ridurre il conflitto all’ambito ecclesiale. La tensione tra carisma e istituzione si riproduce nella storia. Prima degli avvenimenti di questi ultimi anni, non avevo ancora percepito quanto è tagliente la spada della Parola e come Essa divide anche dove pensavamo che regnasse qualche unanimità in difesa della vita.

Si moltiplicano le incomprensioni, le divisioni, le profonde inimicizie tra di noi, in famiglia, nella Chiesa, con i vicini e, ovviamente nella società e nella politica. E non si tratta dello scontro classico tra destra e sinistra, perché viviamo in un contesto ben più radicale, creato dalla violenza capitalista e dal ritorno del fascismo, che si appropria nuovamente della Tradizione.

È una guerra civile mondiale tra chi difende la vita e chi è a servizio della morte. Lo scenario non è ad intra, nella Chiesa Cattolica. L’unico teatro in cui “passa il teatro di questo mondo” (1Cor 7,31) è la storia. E non è necessario uscire come “Chiesa in uscita”, perché, da sempre, anche se non ce ne rendiamo conto, siamo “fuori”, nell’unica “città”, nell’unica storia, nell’unica sacra corporeità dei sofferenti, fratelli e sorelle del Crocefisso, che vince la morte e i suoi scagnozzi.

Il testo potrebbe essere letto in un’ottica intra-ecclesiale, ma sarebbe una riduzione codarda davanti alle dimensioni della barbarie che minaccia la vita. Lo stile, apparentemente moderato, è suggerito dal timore che l’odio possa dominare la mia vita e tradire l’agape. Quando affronto fratelli e sorelle che si lasciano sedurre dalla morte, prego: “perdonali, Padre, perché non sanno quello che fanno” (Luca 23.34).