Caro fratello marziano

L’UFOLOGO GENTA: CERCANDO E.T. NASCOSTO TRA MILIARDI DI GALASSIE
L’umanità attende da tempo la prima chiamata proveniente dal cosmo, ma il telefono continua a restare muto. Per quanto si sa attualmente, la vita nell’universo esiste su un solo pianeta (il nostro), anche se pare ormai certa l’esistenza di forme prebiotiche su altri pianeti, anche del nostro sistema solare.  Però, almeno per ora, non si ha alcuna prova che si sia sviluppata in forme “complesse” o “evolute” su altri corpi celesti. Ma quando si fa riferimento alla vita nell’universo, il problema è definire cosa sia la vita. Per questa ragione, e spesso quando si specifica questo termine, se ne parla come di vita nell’universo simile a quella terrestre. Un esercizio mentale affascinante, che potrà servire il giorno in cui dovessimo avere le prove che in qualche angolo dell’universo vi sia qualche altra civiltà definita “intelligente” . A queste tematiche è dedicato un libro di recente pubblicazione, Incontri lontani. Alla ricerca delle intelligenze extraterrestri, scritto da Giancarlo Genta e pubblicato da Lindau.

«Alla domanda: “Siamo soli nell’universo?” a tutt’oggi non è possibile dare alcuna risposta certa – spiega Genta –. Le risposte della scienza sono state molto diverse a seconda delle epoche e delle mode culturali, ma anche della disciplina professata da chi ha cercato di darle. Ad esempio, i biologi da sempre sono meno possibilisti, mentre gli astronomi tendono a pensare che la vita sia più o meno largamente diffusa nell’universo». Genta è professore al Politecnico di Torino, Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale, è membro dell’Accademia delle Scienze e socio dell’Accademia Internazionale di Astronautica. Si interessa da tempo di Seti (iniziali in italiano di «Ricerca di Vita ExtraTerrestre»), tanto da diventare direttore di un piccolo Centro Seti fondato a Torino nel 1998: «Il maggior sforzo di ricerca per capire e sperare se vi siano altre civiltà extraterrestri è il Seti – precisa –, che si concentra nella ricezione di onde mediante radiotelescopi e nella ricerca tra i segnali ricevuti di quelli che presentino regolarità tali da tradire la loro origine artificiale».

 L’universo contiene miliardi di galassie a loro volta formate da miliardi di stelle: sembra pertanto assurdo pensare che non vi sia un’altra stella come il nostro Sole in grado di ospitare pianeti abitati da esseri intelligenti. Solo basandosi sul calcolo delle probabilità, potrebbero essere milioni le civiltà extraterrestri nell’universo: pare un numero enorme, ma in realtà è nulla. Se esistesse una sola civiltà ogni diecimila galassie (una stima molto bassa), questo corrisponderebbe a 10 milioni di società solo nell’universo osservabile. Quello che è certo è che finora non abbiamo mai avuto contatti concreti con qualcuna di queste civiltà. Perché non abbiamo mai ricevuto segnali “veri” di presenza? «Da almeno 60 anni, dall’invenzione delle onde radio, inviamo segnali nello spazio che viaggiano alla velocità della luce – spiega Genta –, però dobbiamo considerare che impiegano decenni a raggiungere anche solo le stelle più vicine. Un ipotetico radioastronomo su un pianeta che orbita attorno a una stella distante “soli” 50 anni-luce da noi, ascolterebbe soltanto adesso le notizie sulla seconda guerra mondiale…». Ma cosa ci aspetterebbe se arrivasse la concreta e reale conferma dell’esistenza di altre civiltà? «È molto difficile trovare qualcosa, o qualcuno. È un po’ come cercare un ago in un pagliaio di dimensioni cosmiche. Però sarebbe una scoperta di importanza enorme per l’umanità; scoprire che non siamo soli nell’universo porterebbe a sconvolgimenti sulla visione che abbiamo del mondo e della vita, e uno scambio di idee con una civiltà così diversa dalla nostra potrebbe aprire orizzonti impensabili in tutti i campi».

IL TEOLOGO SEGATTI: ANCHE GLI UFO (SE ESISTONO) SONO FIGLI DI DIO
L’esistenza di forme di vita, anche intelligenti, fuori dal nostro pianeta è compatibile con una visione religiosa del cosmo. Anzi, la presenza di vita extraterrestre e la visione di un universo ricco di vita sono più in accordo che in contrasto con la visione religiosa del mondo. Uno dei capitoli più controversi tocca la teologia. Ne parliamo con don Ermis Segatti, conoscitore di problematiche legate a scienza e fede e docente di Storia del cristianesimo presso la Facoltà Teologica di Torino.

Oggi si discute sul fatto che l’universo sia o non sia infinito, ma si è comunque raggiunta la certezza che la sua estensione è tale da trascendere la dimensione umana al punto da essere inimmaginabile. In realtà, si può affermare che, anche se fosse finito, l’universo è a tutti gli effetti infinito per quanto riguarda l’uomo e le prospettive spirituali con cui egli si dirige alla sua osservazione e interpretazione: «Dobbiamo iniziare a pensare in modo diverso – esordisce il teologo –, con stupore nei confronti delle straordinarie scoperte legate all’universo sia nell’infinitamente grande, sia nell’infinitamente piccolo. Di fronte a tale visione e alla nostra consapevolezza di far parte dell’universo andrebbero evitate molte parole di basso tenore, aprendo piuttosto i nostri discorsi all’idea biblica di “gloria” e di stupore. Come fa peraltro Galileo nel suo Sidereus Nuncius, quando spesso si apre con uno slancio davvero straordinario alla narrazione di ciò che andava svelando della pluralità di corpi celesti mai prima osservati».

E l’approccio della fede? «Si dovrebbe iscrivere in una prospettiva mentale e spirituale di naturalità, così come è stato in passato quando al cristianesimo si affacciavano nuove civiltà e si scoprivano nuovi mondi umani. Quando Colombo raggiunse il Nuovo Mondo, si pensava a Dio solo dall’Europa e forse anche dal Vicino Oriente; invece il pianeta era molto più vasto e solo ora, si spera, cogliamo pure la vastità di universi umani da integrare nella reciproca visione di sé e dell’altro».

«Per l’universo – aggiunge il teologo – l’approccio è analogo: nuove civiltà extraterrestri, nuovi fratelli; perché non potrebbero anch’essi essere creature di Dio? Impossibile da parte sua o da parte nostra pensarlo? Ma se non ci fossero, quanti essere viventi già siamo e quanti potremmo diventare nel futuro ci dovrebbe, credo, bastare. Come dire: non sorprenderebbero spazi nuovi e inediti per noi. Questa ragionevole possibilità però da sola non rende tali spazi reali, finché non siano verificati esistenti». Un altro aspetto è quello del peccato originale, uno dei fondamenti della fede cristiana: quale problema solleverebbe a questo riguardo la scoperta di intelligenze extraterrestri, peraltro non nuovo nella storia della Chiesa? «Quando Cristoforo Colombo sulla terraferma nel suo primo viaggio incontrò indigeni che gli parevano capaci di retta coscienza e bontà, come testimonia il diario di Bartolomeo de las Casa, sorse certo il problema del riferimento al peccato originale; lo discussero vivamente le facoltà teologiche più prestigiose del tempo, specie in Spagna. Ma la reazione preminente all’interrogativo fu che comunque alla creatura, compresa quella che ora per la prima volta si conosceva, non era mai mancata la luce della ragione naturale e della provvidenza, insita nell’atto creativo di Dio in ogni essere umano. Dunque non era stata compromessa dal peccato originale la possibilità per l’uomo di recepire una via di salvezza “naturale”».

 

Antonio Lo Campo – avvenire.it