#CantiereGiovani – Per costruire e alimentare un’alleanza tra le generazioni

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Osservatore Romano

L’Eneide letta, interpretata, rivissuta in scena da Mariano Rigillo, Pino Maddaloni (medaglia d’oro di judo alle Olimpiadi di Sidney 2000) e dall’ex pugile Patrizio Oliva (soprannominato Sparviero, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Mosca 1980) non è solo un titolo a effetto in un programma di sala; è un modo concreto per immedesimarsi con la fatica dell’eroe, la lotta contro la paura, la stanchezza e la voglia di mollare. Un modo concreto per immergersi nel ritmo “fisico” della poesia, nel bilanciamento di voce e respiro dettato dai versi, reso possibile da «SportOpera»; non una rassegna teatrale come ce ne sono tante, ma un laboratorio atipico di cultura e un terreno fertile per ibridazioni artistiche che legano campi (da gioco, e non) del sapere solo apparentemente lontani, gemelli solo apparentemente diversi come letteratura e teatro.

Nello spettacolo Pre Ludi, ad esempio, andato in scena a Napoli nel luglio scorso, «la struttura e l’andamento di meravigliosi endecasillabi — si legge nel programma, ha senso — non tanto e non solo per raccontare dello sport all’epoca dei greci, dei ludi funebri in onore di Patroclo o di Anchise, del nuoto, delle regate o della lotta che, al tempo, erano ancora più prossime di adesso a sensibili metafore di guerra, quanto piuttosto per inscenare l’attore-atleta alle prese con il ritmo, col respiro, con le cesure della gara. E nel contempo gli attacchi, le sedi e gli schemi degli accenti non tanto e non solo per ricordare le Dionisiache o i poemi di Omero e di Virgilio, ma per scandire nel presente la remata, il gancio, la bracciata, il battito del cuore dell’atleta-attore».

E per riscoprire, nel presente «la gioia di respirare» che regalano le grandi opere d’arte, come scrive Roberto Rosano nell’articolo pubblicato a pagina 5 del nostro giornale. Ma torniamo, idealmente, a Napoli, e al festival teatrale che, negli anni, è sempre meno un appuntamento riservato agli addetti ai lavori e sempre più un cantiere culturale globale aperto al mondo. Abbiamo chiesto al curatore di «SportOpera», Claudio Di Palma (attore, autore, regista e coordinatore di laboratori, percorsi formativi e stage tematici per le scuole) di parlarci di questo progetto speciale — di nome e di fatto — nato oltre quindici anni fa e ancora presente all’interno del Napoli Teatro Festival Italia. Spettacoli come La leggenda del pallavolista volante (in scena Andrea Zorzi, due volte campione del mondo e tre volte campione europeo con la indimenticata nazionale italiana di Julio Velasco) sono un modo concreto per insegnare ai ragazzi che «senza una squadra non si può andare da nessuna parte».

Lo stesso succede se non si ha la fortuna di incontrare un maestro, e di ereditarne l’amore alla realtà e il desiderio di condividere le perle di bellezza che si incontrano lungo la strada. Di Palma questa fortuna l’ha avuta. Nella Napoli dei primi anni Settanta è stato allievo di un insegnante colto, appassionato, carismatico, che sfrecciava per la città a bordo di una fiammante auto sportiva («aveva una Ford Taunus che sembrava accrescere ulteriormente il suo mito — racconta Di Palma ad Antonio Tricomi — uno dei nostri compagni abitava vicino a lui e Striano lo accompagnava regolarmente a casa. Tra i nostri amici, era il più invidiato»). Un insegnante che voleva che i suoi ragazzi crescessero liberi e responsabili, invitandoli a custodire e valorizzare le loro passioni.

Enzo Striano, giornalista e scrittore, in quegli anni insegnava nell’Istituto tecnico-industriale di via Caravaggio; durante le sue lezione di italiano — ricorda Di Palma — non esistevano primi e ultimi banchi. «Ci invitava soprattutto a parlare di noi, delle cose che amavamo. Il calcio, per esempio: io allora giocavo negli allievi del Napoli e quella era per me una passione totalizzante. Ricordo intere lezioni dedicate a Gigi Riva o anche alle canzoni di Baglioni». I libri di testo c’erano, ma spesso rimanevano chiusi sul banco; i corsi si basavano soprattutto su testi scritti dall’insegnante. Di periti industriali, in quegli anni, dall’istituto ne uscirono pochi, tanto contagiosa fu la passione per la conoscenza e la cultura del professore di italiano.

E il desiderio di leggere e indagare le sfaccettature dell’animo umano, che qualche anno più tardi avrebbe avvicinato Di Palma al teatro, un luogo in cui non si ha paura di inoltrarsi nella complessità. Una “sperimentazione del limite” che ha molto in comune con la concreta, oggettiva conoscenza di sè (al netto di aiuti artificiali esterni, come il doping o altri modi chimici per barare) a cui porta un’attività sportiva praticata per molto tempo.

«È la vita ad essere una metafora dello sport, non viceversa — sorride Di Palma, ribaltando un luogo comune ormai dato per scontato —. Lo sport è uno stato d’animo, ha un grande coefficente passionale, con la sua compresenza di esaltazione e dolore». La letteratura si è occupata spesso di quella «conoscenza intima, inconsapevole delle leggi della fisica e della geometria» che fa la differenza tra un buon giocatore e un fuoriclasse. Sono tanti anche gli atleti (o ex atleti) diventati scrittori. Tra i molti esempi possibili, Di Palma cita l’elogio della souplesse del narratore-tuffatore Raffaele La Capria, che scrive con la precisione e la levigatezza con cui un atleta si stacca dal trampolino per entrare nell’acqua senza schizzi e senza rumore. Una gesto che ricorda quel prodigio di coordinamento e armonia che gli antichi egizi indicavano con la parola nefer (vedi box a fondo pagina).

Molti scrittori hanno giocato a calcio, molti sono stati portieri: «Camus, Musil, Nabokov… quello del portiere è un ruolo straordinario. Una linea sottile separa la vita dalla morte, la presa del pallone dal gol subito. E le foto in campo fissano la loro capacità di volare. Da ragazzino, per strada — continua Di Palma — cercavo di imitare quei voli che vedevo in fotografia. C’è una dimensione acrobatica, di leggerezza, che appartiene anche al personaggio di Arlecchino. Con le sue gambe a losanga, in realtà sta cercando di restare in bilico tra due mondi». Il successo in quanto tale è poco interessante dal punto di vista artistico; SportOpera «ricerca quei momenti dell’atleta in cui l’equilibrio è sfiorato, sforato, fallito». Luoghi in cui è di nuovo possibile «riesaminare e rianimare l’originario spirito ricreativo dello sport, profondamente falsato da quella scissione, verificatasi nel secondo Novecento, del teorico-intellettuale dalla totalizzante attività dei sensi che è il gioco».

di Silvia Guidi