“Campanili” e “trombe”: tra radici e crudeltà di fatti

«La rivolta dei campanili contro le nuove province». Titolo forte in grande, ieri, su “Repubblica” (p. 10). Ma c’è anche il “Corsera” (p. 6): «L’ombra del campanile nella scatola dei ricordi». Ma che c’entrano “i campanili”? Per essi ci sono le “diocesi”, ben altra cosa! E già… Quando serve qualcosa che indichi un fondamento antico, una base solida, insomma una “radice”, ecco che – e non solo su “Repubblica” e “Corsera” – viene a galla quella “radice”, che magari da decenni nella pagina precedente, e anche in quella successiva, veniva non dico negata, ma almeno messa in dubbio, presentata come ormai d’altri tempi. E non basta: sempre “Corsera”, sempre ieri (p. 42), come un rovescio della medaglia: «Quanto il campanilismo italiano fa sopravvivere gli Enti inutili». Insomma: sempre “i campanili”, qui con accusa… acclusa, ma stavolta per fortuna senza l’asprezza superba della “tromba” con la quale (31/10) sempre “Corsera” Michele Ainis sentenziava che tutti i ritardi italiani si spiegano così, testualmente: «Qui ha messo radici (ancora “radici”! Ndr) una cultura papalina, oscurantista, nemica del progresso». E già: occorre accontentarsi. Ma per caso sempre ieri – crudeltà della “realtà effettuale”! – e stessa pagina 42, trovi l’eco di una bella riflessione di Goffredo Fofi sulla “grandezza” di Giovanni Guareschi pubblicata il giorno prima su “Avvenire”, e per illustrarne il senso ecco, nel profilo di Gino Cervi, la celebre silhouette di Don Camillo. Che ci volete fare, cari amici vicini, e soprattutto cari amici lontani, la storia non si fa con i pregiudizi, e neppure facendo finta che tutto ciò che non ci piace – chiunque possiamo essere “noi” – per il fatto stesso sia un fenomeno negativo…
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