Buone notizie nel tempo di sospetto e rancore. Risveglio civico: tre segnali preziosi

da Avvenire

Piccoli segnali di risveglio civico giungono dal pianeta Italia, anche in questo tempo segnato dal sospetto e dal rancore. Parlano a un Paese che fa i conti con un clima di divisione, quando non di intolleranza, e proprio per questo vanno raccontati e valorizzati. A pagare sulla propria pelle gli effetti di tante tensioni latenti, spesso studiate ad arte e moltiplicatesi negli ultimi mesi (tra italiani e stranieri, tra generazioni diverse, tra differenti categorie sociali, tra Nord e Sud) sono innanzitutto i più giovani. Ci si è mai chiesto, nell’ultimo anno, quali danni possa creare al nostro Paese la diffusione di un linguaggio ai limiti dell’odio, su bambini e ragazzi nel pieno del loro percorso di maturazione? Quali esempi e quali rischi, soprattutto, possa portare con sé la criminalizzazione di chi non è ‘nel giusto’, di chi ‘non è come te’, di chi è ‘diverso’?

L’allarme lanciato ieri da ‘Save the Children’ sulla condizione discriminatoria vissuta, almeno una volta nella vita, dal 60% dei ragazzi (catalogati, a seconda dei casi, neri, gay, islamici, poveri o obesi) la dice lunga sullo stato di salute del nostro sistema formativo, scuola in primis, e sulle difficoltà, quando non addirittura l’impotenza, provata dalle famiglie nel fronteggiare una simile emergenza educativa quando essa riguarda i propri figli. Guardare in faccia questa realtà è un passo necessario, per quanto doloroso, ma servirebbe a poco tutto questo, se non provocasse una reazione, d’istinto e d’orgoglio. Questo è quello che sta già succedendo, perché gli anticorpi alla deriva vanno trovati subito, prima che sia troppo tardi. È significativo che ciò stia già avvenendo per merito di chi, in prima linea, vive dentro questo deserto culturale e prova a uscirne: insegnanti, genitori, sindaci, volontari, sacerdoti. Si avverte il bisogno di farsi carico di queste ferite e di tornare a educare, si percepisce l’esigenza di ripartire dall’abc.

Tre esempi su tutti, per quanto piccoli, stanno segnando questo percorso di risalita. La richiesta di inserire obbligatoriamente un’ora di educazione alla cittadinanza da parte di 75mila persone, con altrettante firme in calce alla richiesta di una legge popolare in materia che si è sommata ad alcune iniziative parlamentari (non tutte chiare e lineari, ma tutte ben intenzionate), è stato il primo segnale di riscossa. Tornare a parlare di civismo, ambiente, legalità, come hanno suggerito i sindaci promotori dell’iniziativa, è un passaggio necessario, così come lo è il ‘patto per la lettura’ siglato proprio ieri dagli stessi Comuni italiani con i librai. Anche la proposta della senatrice a vita Liliana Segre di ripristinare la traccia di storia all’esame di maturità, rientra a pieno titolo in un percorso da seguire e da compiere.

C’è dunque chi prova con ago e filo a rammendare gli strappi e a chiudere le ferite aperte nel nostro tessuto sociale. È un’opera preziosa, alla quale non per nulla chiama da tempo con pazienza e speranza il presidente della Cei, cardinale Bassetti, e che magari non darà risultati nell’immediato ma comincia fin d’ora a porre le basi per una società diversa. Domani. «Non aspiro che il nostro Paese ragioni in termini di secoli, sarebbe ampiamente sufficiente e sarei pienamente soddisfatto se ragionasse in termini di decenni» ha detto ieri il presidente Mattarella in visita a Milano. Non può che essere questa la prospettiva di una comunità che vuole darsi una bussola in tempi di grande disorientamento morale e sociale. Avere il coraggio di immaginarsi tra dieci anni, di progettare a lungo termine, di sfidare le intemperie dei tempi presenti per assicurarsi un futuro a misura d’uomo. È qualcosa di impopolare, in tempi di dittatura dell’istante? Assolutamente sì. È difficile? Certamente. Però, più di una volta ce l’abbiamo fatta e l’esempio del passato può aiutare. Quanto sono vere e sempre più attuali le parole di Alcide De Gasperi, quando diceva che «un politico guarda alle prossime elezioni», mentre «uno statista guarda alla prossima generazione». Non si tratta di provare nostalgia per quei tempi, semmai è necessario lavorare perché un domani si trovi una classe dirigente all’altezza di quel compito.