BERRY, poeta e contadino: scrivere è coltivare (e viceversa)

Non possiede telefono. Non usa la posta elettronica. E non concede spesso interviste: protegge con cura la privacy nel suo buen retirodi PortWilliam (nel Kentucky), l’epicentro fisico e culturale dei suoi romanzi. Wendell Berry è uno dei più letti, acclamati e appassionanti scrittori americani d’oggi, erede di quella grande tradizione di narratori- attivisti alternativi al mainstream commercial-letterario: in questo deve aver giocato un ruolo anche la sua amicizia con Thomas Merton, il celebre scrittore-monaco.

Wendell Berry, classe 1934, sta conoscendo in Italia – grazie all’editrice Lindau – una seconda giovinezza di notorietà (negli anni passati fu tradotto dalla Libreria editrice fiorentina). Proprio lui, che negli anni Settanta assorbì in Italia (era venuto a Firenze per insegnare inglese) il gusto della bellezza del paesaggio e di un’agricoltura in armonia, e non in alternativa, con l’uomo. Di lì la sua decisione di tornare nel natio Kentucky e di portare avanti un modo di coltivare i campi non più intensivo né predatorio, ma in simbiosi con il creato. Lui, che ha più volte manifestato la sua adesione al cristianesimo, per quanto non in maniera confessionale, bensì esistenziale: «Sono una persona che prende sul serio il Vangelo» ebbe a scandire un giorno durante un talk show. E proprio in questa visione religiosa della vita si inscrive la sua scelta radicalmente «verde».

Per Berry, che ha all’attivo oltre 40 libri, saggista, poeta, scrittore, agricoltore, docente di letteratura all’università del Kentucky, e che in carriera ha ottenuto 25 tra riconoscimenti e premi, vale la definizione con cui il presidente Barack Obama lo premiò nel 2010 con la National Humanities Medal, una sorta di Nobel Usa per la letteratura: «Wendell Berry ha speso la sua carriera esplorando la nostra relazione con la terra e con la comunità». Queste due parole – terra e comunità – sono infatti i nodi espressivi intorno ai quali si muovono i suoi romanzi e saggi: il più recente è La strada dell’ignoranza e altri saggi su economia, immaginazione e conoscenza(pagine 144, euro 12,50).

Ma per conoscere a fondo questo autore, che non disdegna per sé la qualifica di «narratore cristianamente ispirato», sono imprescindibili i suoiHannah Coulter e Un posto al mondo: il contrasto tra moderno e antico, l’assurdità del dolore assorbita grazie alla solidarietà del vivere comune, il sentimento di una religiosità naturale come il vivere dentro la natura vista quale dono di Dio, rendono Berry prova vivente di quanto la definizione di Carlo Bo fosse vera: «La letteratura coincide con la vita». Wendell Berry ha accettato di rispondere in esclusiva ad alcune domande, offrendo anche una piccola, gustosa notizia: la sua fascinazione per papa Francesco potrebbe portarlo a diventare cattolico, lui di appartenenza battista.

Berry, nei suoi romanzi si rintracciano diverse «spie» del fatto che lei ha sentimenti religiosi, in particolari ancorati al cristianesimo. Per questo le si potrebbe applicare la definizione di «scrittore cristiano». Tale appellativo le garba?
«Ho una grande riverenza per i Vangeli, che capisco in parte e che mi aiutano a cercare di essere una persona qualche volta migliore di quello che di solito sono. Non mi preoccupo granché se questo mi renda uno ‘scrittore cristiano’. Di certo mi rallegrerà la compagnia dei nomi che appartengono a questa categoria».

È molto interessante il fatto che lei mescoli valori culturali molto differenti. Alcuni di essi, usando categorie conosciute, sono «di sinistra», come l’attenzione all’ecologia; altri (parlo di un certo atteggiamento contrario al progresso scientifico e ad alcuni aspetti della modernità) potrebbero essere identificati come «di destra». In realtà, leggendo i suoi romanzi e saggi, tutto ciò affiora come il segno di una grande libertà di giudizio e una notevole autonomia di coscienza. Si ritrova in questa descrizione?

«In verità attribuisco poca importanza alle parole ‘sinistra’, ‘destra’, ‘conservatore’ o ‘progressista’. Io sostengo la necessità di prendersi cura della terra e il fatto che ci si debba sottrarre alla passività dei beni. Considero tutto ciò come il minimo buon senso, non come una questione di scelta politica ‘di parte’, e non voglio reclamare nessun vanto per queste mie posizioni».

«Ciò che ho imparato come agricoltore l’ho appreso anche come scrittore, e viceversa. Ho coltivato da scrittore e scritto da agricoltore». In cosa l’ha aiutato a diventare scrittore il fatto di essere stato contadino?
«Proprio come fanno gli scrittori, anche gli agricoltori devono risolvere complessi problemi formali: cosa mettere in certi posti, quando immettere certe cose. Tutte le arti sono simili in questi aspetti, e così la conoscenza in un certo ambito può aiutare in un altro aspetto della vita. Inoltre uno dei miei argomenti in quanto scrittore è appunto l’arte dell’agricoltura, cioè di coltivare la terra».

Oggi abbiamo un pontefice che spende quotidianamente la sua parola in difesa del creato. Come valuta l’operato di papa Francesco, in particolare alla luce della sua enciclica Laudato si’?
«Ammiro moltissimo papa Francesco. Egli dà l’impressione di aver veramente letto i Vangeli, di credere che l’insegnamento di Cristo possa davvero essere messo in pratica e applicato alla vita di questo mondo! Da quando Bergoglio è papa sto meditando che potrei considerare l’idea di diventare cattolico, se ci fosse una Chiesa cattolica nella comunità dove abito, e se egli mi permettesse di frequentare i riti liturgici solo quando c’è cattivo tempo (perché altrimenti sono dedito al lavoro nei campi…)».

Nel suo romanzo più denso, Hannah Coulter, lei parla dell’importanza dell’amore, non solo delle persone a noi care ma anche dei luoghi che abitiamo e della cultura cui apparteniamo. Oggi sembra che questo attaccamento non sia così diffuso. Come riscoprire questo affetto per le nostre radici?
«Per amare un luogo e la sua cultura (dando per scontato che la sua cultura sia amabile) è necessario ovviamente conoscerli entrambi. E per conoscerli, è necessario che ci si abiti, facendo causa comune con essi, con la sua comunità di persone e anche con le altre creature che li vi risiedono, per tutta la nostra vita».

Avvenire