Arte e tradizione. Il divino e l’umano: nel presepe quell’inaudito incontro

«L’incontro di due protagonisti, il divino e l’umano: è questa la ‘storia’ che il presepe racconta. Un racconto di cui c’è bisogno oggi almeno come ce n’era quando nel 1223 Francesco d’Assisi, per la prima volta, riprodusse nella grotta di Greccio la scena della Natività. Oggi come allora l’uomo ha bisogno di Dio: oggi, forse ancor più che allora, c’è sete di un amore che vinca la ‘folla delle solitudini’ e stemperi l’accanirsi dei conflitti. ‘Fare il presepe’ è perciò oggi più che mai un messaggio di pace e di speranza, un gesto d’amore, che può parlare al cuore di tutti ». Così l’arcivescovo Bruno Forte, che non a caso all’arte del presepe ha dedicato bellissimi saggi. E al dialogo tra artisti e natività sono dedicate numerose mostre e iniziative anche grazie a Fondazione Crocevia con il progetto ‘Presepe Presente’.

A Milano, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, per il terzo anno consecutivo una mostra di presepi d’artista è stata inaugurata ieri dal vescovo Claudio Giuliodori. Nel primo chiostro del Bramante sono esposte, fino al 27 gennaio, le opere di grandi maestri: l’Annunciazione di Arturo Martini, una splendida terracotta del 1927; un presepe degli artisti Anselmo Bucci e Francesco Nonni, maiolica del 1949; le straordinarie terrecotte dedicate alla storia della salvezza dell’artista campano Marcello Aversa. Di quest’ultimo il vescovo di Carpi Francesco Cavina ha inaugurato il 9 dicembre presso il Duomo la grande mostra «Marcello Aversa. Storie di cielo in terra», che resterà aperta fino al 29 gennaio. L’esposizione si tiene in contemporanea anche nel Museo diocesano di Salerno, dove sarà inaugurata dal vescovo Luigi Moretti il 16 dicembre. E poi il grande presepe di Francesco Artese a Firenze di cui parliamo altrove in questa pagina. L’arte si confronta con il grande mistero: la divinità assume l’umano facendosi volto, carne, ossa. L’umanità accoglie il divino per ritrovare l’unità perduta e la pienezza di gioia, di vita, di amore, di bellezza. Il mistero è l’Eterno che si piega alle coordinate spazio-temporali nella notte di Betlemme. Solo Matteo e Luca raccontano le vicende legate alla nascita di Gesù: 48 versetti il primo, 132 il secondo. Poche parole per descrivere il mistero più grande. Ecco allora il desiderio di mostrare, di far vedere, di raccontare. E questo è il presepe, come nota Davide Rondoni: «Il presepe non è un simbolo, che per alcuni può essere anche una semplice idea, un’astrazione. Il presepe è un racconto, la narrazione di un evento, di un fatto storico. Non è un’ideologia, ma contemplazione e memoria».

Tra i contemporanei Marcello Aversa al presepe dedica quasi tutta la sua arte. Scrive di lui Bruno Forte: «Aversa ‘plasma’ così i suoi presepi: col tocco dell’artista, trasforma la creta in racconto, rendendo visibile l’incontro che cambia il cuore e la vita. Il divino è rappresentato dalla scena che dà senso a tutte le altre: ‘il mistero’. Essa comprende le figure del Bambino, di Maria e di Giuseppe, affiancati dal bue e dall’asinello, e la mangiatoia (praesepium), che dà il nome all’insieme. Che si sia di fronte al luogo in cui l’Eterno sta entrando nel tempo è indicato dal roteare degli angeli, impegnati a cantare la gioia del cielo che viene ad abitare la terra. L’umano è presente nella varietà delle sue espressioni: dai pastori, i poveri aperti alle sorprese di Dio, ai magi, figura di tutte le ‘genti’ raggiunte dalla luce della stella, all’umanità indifferente e distratta, rappresentata dagli ospiti della locanda». «In realtà è tutta la terra ad accogliere il Redentore del mondo: le intuizioni della più antica teologia cristiana, per la quale il Cristo è il centro e il fine del cosmo, sono così presenti in questi presepi, diventando anche un invito alla spiritualità ecologica. È così che questi presepi possono assolvere efficacemente al compito per cui nacque il presepe: dire il Vangelo ‘in dialetto’, in un modo, cioè, che sfidi le nostre paure e le chiusure del cuore, e sia annuncio di una gioia e di una speranza possibili, dischiuse oggi, per tutti, da quell’umile nascita».

da Avvenire