“Arrivò un sacerdote di nome Tonino e il paese cambiò: la domenica andavamo a messa due volte”

Don Tonino in pochissimo tempo aveva cambiato il volto del mio paese. Non era tanto il suo fascino naturale, unito a uno straordinario talento comunicativo che avevano contagiato la popolazione. Era piuttosto l’amore che traspariva da tutto ciò che faceva e diceva

Alla fine degli anni ’70 a Tricase arrivò un prete, rimase solo tre anni, ma furono sufficienti perché tutto cambiasse. Si chiamava don Tonino Bello. All’epoca ero un adolescente che abitava a Depressa, la vicina frazione che non passa inosservata per il suo nome bizzarro, e frequentavo la parrocchia per tradizione familiare e per dovere sociale. Nel Capo di Leuca si era cattolici come nella Bassa modenese si era comunisti. La chiesa, come il Pci in Emilia, era un’istituzione che non si discuteva. Durante il periodo delle elezioni a Depressa alla fine della messa era consuetudine del nostro combattivo sacerdote ricordare ai parrocchiani il loro dovere di votare “liberamente, ma che sia un partito democratico, cristiano e scudocrociato”.

Così l’importanza che il parroco dava alla vittoria dello schieramento appoggiato dalla Chiesa rischiava di fare della fede una questione d’identità politica. Questo fu uno dei motivi per cui i miei genitori decisero di frequentare anche la messa del nuovo sacerdote della chiesa madre di Tricase. Per non dispiacere l’anziano don Luigi, la domenica mi capitava di andare alla messa delle 7 a Depressa, e poi con la famiglia a quella delle11 a Tricase celebrata da don Tonino. Erano due mondi agli antipodi, entrambi affascinanti, che hanno alimentato il mio immaginario cinematografico. La vita di Depressa era scandita dai doveri religiosi che il pastore della comunità faceva osservare al suo gregge. Il giorno iniziava con il Mattutino, seguito dalla messa prima, a mezzogiorno si recitava l’Angelus, alle 15 l’Ora media, si proseguiva alle 18 con i Vespri e il rosario, subito dopo, infine, la messa vespertina. Nei giorni feriali era richiesta la partecipazione ad almeno una preghiera in chiesa, ma la domenica, giorno in cui si celebravano ben tre messe, don Luigi mal tollerava l’assenza di qualcuno dei suoi parrocchiani. Alla prima occasione, il “senzadio” sarebbe stato aspramente rimproverato.

Era uno stakanovista della religione e dell’ordine pubblico. In paese veniva rispettato e temuto come un maresciallo dei carabinieri. Dopo la messa della sera faceva il suo solito giro di ronda. Quando passava davanti al bar, gli uomini si nascondevano, i pochi che non facevano in tempo si ammutolivano davanti alla sua figura imponente – era un omone grande e grosso – temendo le conseguenze della sua ira. Le tirate d’orecchie con trascinamento per metri lungo la navata e gli scuotimenti della testa dopo aver afferrato ciocche di capelli erano generalmente riservate ai ragazzini, ma se riteneva lo meritassero, non sfuggivano alla punizione maturi contadini ubriachi o giovani molesti durante le funzioni.

A messa gli uomini e le donne erano rigorosamente separati. A sinistra del corridoio centrale sedevano i maschi: prima i bambini nei banchi davanti, poi a scalare i giovani, gli uomini sposati, infine gli anziani. Le donne si sistemavano sulla parte destra: nelle prime file le ragazze con il velo di pizzo bianco, subito dietro le signore sposate con il velo beige – in mezzo spuntava qualche audace madre di famiglia con il fazzoletto a fiori – alla fine le anziane vedove e anche qualcuna più giovane che aveva subito un lutto recente, tutte in nero integrale, dal maccaluru legato intorno al capo alle calze. A Depressa non c’era mai stato un Peppone, e il nostro don Camillo salentino era il capo assoluto del paese.

A due chilometri di distanza, a Tricase, si respirava tutt’altra aria.  Don Tonino in pochissimo tempo aveva cambiato il volto del paese. Non era tanto il suo fascino naturale, unito a uno straordinario talento comunicativo che avevano contagiato la popolazione – è qualcosa che possono anche avere le persone di spettacolo e i politici – era piuttosto l’amore che traspariva da tutto ciò che faceva e diceva. Il suo stesso volto non avrebbe avuto quella forza d’attrazione senza la luce che possiede solo chi considera un fratello ogni uomo e ogni donna, chi si meraviglia del miracolo quotidiano della natura, chi si affida a un Dio buono e misericordioso; chi è capace di amare, insomma. Da ragazzo lo ammiravo molto, ma da lontano. Abituato a un’altra figura di prete, di fronte a cui si doveva provare rispetto e soggezione, la novità di don Tonino mi toccava profondamente, ma allo stesso tempo mi rendeva incapace di articolare il vulcano di emozioni che mi trasmetteva. Solo anni dopo ho capito quanto don Tonino mi abbia influenzato nella scelta di fare l’artista. Non solo i suoi cineforum con film audaci per una rassegna parrocchiale, ma anche gli incontri nei quali le persone potevano dibattere con passione senza settarismi, e quelli più ristretti dove gli si poteva chiedere qualsiasi cosa, sono stati un’epifania di libertà.  Fino ad allora non pensavo che qualcuno potesse chiedere a un prete se avesse mai amato o addirittura provato attrazione fisica per una donna. Don Tonino era aperto a ogni domanda. Riusciva a farti innamorare di tutto, dalla grande letteratura al calcio, dalla devozione per la Madonna alla sua passione per il mare.  Poi ben presto sono stato mandato a studiare in un collegio lontano dalla Puglia, e poco a poco l’ho perso di vista, infine, definitivamente, quando è diventato vescovo di Molfetta.
Anni dopo, quando don Tonino era già morto da qualche tempo, ho scoperto con stupore quanti miei amici e sodali di quello che con retorica viene chiamato il “rinascimento pugliese”, erano stati influenzati dalla sua personalità. Personaggi come Guglielmo Minervini, Nichi Vendola, Elvira Zaccagnino, Giorgia Cecere, Carlo Bruni, Goffredo Fofi, Virginia Peluso, Andrea Facchini, Francesco Comina, Gemma D’Ambrosio, Rosa Siciliano, Carlo Montedoro, me lo hanno fatto riscoprire in modo più maturo e profondo. Chi in un modo, chi in un altro, erano tutti discepoli di don Tonino, qualcuno attivamente, qualcun altro nello spirito.
Potrei continuare a scrivere ancora su questo uomo, allo stesso tempo immenso e umile, ma vorrei solo spingere tutti a conoscerlo meglio, a chiedere di lui, a leggere i suoi libri, a farsi ispirare da una persona intelligente come poche, piena di talento e soprattutto buona. Don Tonino è stata la prova vivente che una sola persona, se innamorata dei suoi simili e, nel suo caso, di Dio, può fare la differenza. Lui l’ha fatta a Tricase e a Molfetta e ancora oggi se ne vedono i frutti, non solo in Puglia ma in tutto il mondo. Da parte mia posso dire che il suo entusiasmo per la vita, la sua passione per la letteratura e in generale per l’arte hanno avuto un ruolo importante nella mia scelta di fare il regista di cinema. Il suo era amore per la bellezza e questa va sempre insieme con la bontà. Per questo suo insegnamento io gli sono immensamente grato.

fonte: repubblica.it