Appunti di viaggio – Magia del cinema e aiuti anti-covid nei fiumi dell’Amazzonia

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Gaia è una tipica imbarcazione dei fiumi amazzonici, dipinta di giallo,  tutta di  legno, due ponti, amache per dormire la notte sotto il cielo equatoriale che si riflette nelle acque scure o ascoltare l’inquietante canto delle scimmie. È diventata leggenda, in questa terra di meraviglie naturali e di sofferenze umane, grazie ad un sognatore di nome Oliviero Pluviano. Giornalista oggi in pensione, musicista giramondo e già corrispondente dell’Ansa dal Brasile, un bel giorno Pluviano ha deciso che Gaia, ormai giudicata inadatta per il soccorso ai malati nell’area di Santarem, poteva essere lo strumento per trasformare in realtà un sogno: quello di portare il cinema alle popolazioni indigene più lontane, povere e isolate dell’Amazzonia, in villaggi sulle palafitte dove nessuno aveva mai visto un film e in molti nemmeno immaginavano che potesse esistere una simile occasione di stupore e meraviglia.  Portarlo fin nelle comunità più isolate, la cui  identità — e spesso la stessa sopravvivenza — sono minacciate dalla deforestazione, dalla violenza dei coloni, dai devastanti incendi dolosi che, per creare spazio alle coltivazioni speculative,  distruggono il polmone del pianeta. Pluviano — sangue genovese e viso incorniciato da morbidi capelli, barba e baffi bianco candido — voleva che la sua Gaiola (gabbietta) colorata, dall’andatura un po’ storta ma velocissima, diffondesse cultura e allegria tra gli indigeni.  «Non è giusto vivere solo di manioca e pesce».  Sulle orme di Fitzcarraldo, l’uomo che sperava di  costruire un teatro per l’Opera lirica in Amazzonia e ispiratore di un grande film di Werner Herzog,  nel 2011  Oliviero  salpò con le prime pellicole, rimediate grazie all’ambasciata italiana. C’era anche «La vita è bella» di Roberto Benigni che, ricorda ancora oggi Pluviano, divenne un immediato successo tra le comunità indios. Da allora al 2020, Gaia vaga nel cuore dell’Amazzonia per ricostruire la magia del cinema in luoghi dimenticati da tutti: dal Rio Tapajós, un affluente del Rio delle Amazzoni, a corsi di acqua come l’Arapiuns, con le sue caraibiche spiagge bianche e tramonti di fuoco, o come il misterioso Rio Paru, un fiume dalla bellezza struggente, circondato dagli alberi più alti dell’Amazzonia, che svettano a quasi 100 metri.   Ad ogni tappa, l’equipaggio del Gaia allestisce, durante il giorno, lo spazio del cinema. Si appende il telone del grande schermo là dove si può, si piazzano il proiettore e gli altoparlanti, si controlla che il generatore elettrico funzioni; i bambini seguono incantati i preparativi, mentre tutto intorno è un tripudio di scimmie, tucani, pappagalli colorati.   La cuoca di bordo, Lucineide, cuoce i popcorn: non possono certo mancare in un cinema che si rispetti. «La felicità negli occhi di un bambino non ha prezzo», spiega il pilota di Gaia, Dinho, abituato a timonare in acque insidiose, dove non mancano nemmeno i pirati.
Poi però è arrivato il coronavirus. Lungo le vie fluviali, sulla scia delle malattie portate secoli fa dai conquistatori europei, il covid-19 ha infettato città e villaggi, trasformando l’Amazzonia nella regione più colpita e indifesa del Brasile. Gaia è salpata nuovamente, stavolta per consegnare oltre 30 tonnellate di aiuti alimentari alle comunità indigene. «La gente ci accoglie con stupore quando arriviamo — nota Pluviano — perché nessun altro si occupa di loro».  Tanti vecchi stregoni e capi di villaggio sono morti nella pandemia: sono così scomparse intere “biblioteche” di conoscenze, spiega Pluviano. Per questo, quando l’emergenza sanitaria sarà terminata, vuole tornare a navigare non solo per diffondere il cinema ma anche per raccogliere le storie e il sapere degli anziani sopravvissuti, prima che sia troppo tardi. «E poi ho un altro sogno. Posso dirlo? Costruire un Tempio di Dio, in legno e ferro, ad Alter de Chão, uno dei luoghi più belli dell’Amazzonia, per tutte le fedi, nel cuore di una regione dove si gioca  la salvezza  del pianeta».

di Elisa Pinna

Osservatore