Antropologia. L’Ulisse che è in noi deve fare i conti con la scienza

Creare una griglia morale fissa applicabile alla ricerca forse non è possibile e neanche giusto. Diventerebbe un baluardo dell’ipocrisia e della rigidità mentale
Johann Heinrich Füssli , “Ulisse tra Scilla e Cariddi”, particolare (1794-1796)

Johann Heinrich Füssli , “Ulisse tra Scilla e Cariddi”, particolare (1794-1796)

Avvenire

Al Kunming Institute of Zoology in Cina cinque macachi sono stati ibridati con parti di Dna umano che controllano lo sviluppo cerebrale. Con inevitabili ripercussioni sul dibattito intorno alla necessità di regolamentare i limiti della ricerca nelle scienze e nel sapere umano. Al di là di buone intenzioni e legittime preoccupazioni, un argomento come questo richiede un passo oltre la generica dichiarazione d’intenti. Serve una profonda riflessione che si liberi da facili quanto vuote dichiarazioni ideologiche in un senso o nell’altro. La scienza è un campo impossibile da recintare e costringere. Tutta la storia lo dimostra e continuerà a farlo, poiché la sua natura istintiva è unicamente indagare e sperimentare. L’Ulisse che è nell’uomo non si ferma di fronte ad alcun ostacolo, pratico o etico. La collocazione nei gironi dell’Inferno della Divina Commedia di un Odisseo la cui astuzia colpevole proviene dalla medesima matrice della sua brama irrefrenabile di conoscenza, non può essere in alcun modo deterrente verso l’attraversamento costante dei confini del sapere. Creare una griglia morale fissa applicabile alla scienza non credo sia possibile e forse neanche giusto. Diventerebbe un baluardo dell’ipocrisia e della rigidità mentale privo di effetti reali, omaggio al politicamente corretto tanto falso quanto inincidente. La regola etica applicata sic et simpliciter alla ricerca può portare danni superiori a quelli della assenza di regole predefinite. Non voglio essere frainteso. È certamente necessario dare risposta ai quesiti etici che il progresso e la conoscenza portano con sé.

Ma bisogna essere pragmatici e lungimiranti al tempo stesso. Nel mondo vi sono credo e visioni anche antitetici tra loro, che hanno diritto di cittadinanza nella convivenza civile, poiché rispondono ai requisiti minimi fissati dalle comunità. Non significa che non siano perfettibili e talvolta ambigui. Significa che in un contesto così complesso è sbagliato pensare di poter arrivare con una scure tagliando ciò che è giusto da ciò che non lo è. Lo facessero i musulmani, piuttosto che i cristiani, i seguaci di Scientology, i buddhisti, gli atei, i risultati sarebbero opposti. Nella convivenza non è dato imporre un primato che non sia quello del rispetto reciproco. Figurarsi quando l’argomento è la scienza. Se più o meno tutti condividono il fatto che ci debba essere una forma di bioetica, è tutt’altra cosa stabilirne il merito. Credo che il focus dovrebbe essere spostato sulla educazione dell’uomo tout court più che sulla specificità dei settori. L’uomo porta la sua personale maturazione etica nelle azioni e nelle attività che svolge. Questo è l’unico approccio possibile e accettabile, e comunque l’unico che possa dare risultati reali.

Senza voler demarcare i confini dell’etica che in una società necessariamente laica non possono coincidere con quelli di uno stato religioso o ideologico, che tendono a fare disastri come gli stati di Videla, degli studenti islamici dell’Afghanistan o di Ceausescu insegnano, l’ambito sociale deve creare le basi perché si possa avere l’educazione che ciascuno richiede. Con una sfera di valori che necessariamente parte da quelli generali necessari allo stato di convivenza civile, e si direziona nella libera scelta, non imponibile ad altri in alcun modo, verso il proprio sistema di riferimento etico religioso o laico che sia. Regolamentare la scienza è come voler svuotare l’oceano con un cucchiaino. Per quanto legittima sia la aspirazione, non è realisticamente possibile e difficilmente proponibile in un consesso che prevede diversità di credo e vedute. L’intelligenza di una proposta etica parte dall’individuo, non dalla specificità di attività o contesti. Non esiste una scorciatoia alla formazione, aggirabile con un breviario di regole avulse ed estranee da imprimere su ogni cosa d’imperio. Se Ulisse torna a Itaca, non è certo per minacce o imposizioni, che anzi lo hanno stimolato a spingersi continuamente oltre. È per amore, per affezione alle sue radici, alla sua storia, ai suoi famigliari.