Anticipazione. Ken Follett: «Perché io, ateo, adoro andare in chiesa»

Anticipiamo di seguito alcuni stralci di Cattiva fede, il volume appena uscito per Edb (pagine 80, euro 7,50) e che propone al pubblico italiano la riflessione affidata da Ken Follett alla rivista britannica Granta qualche mese fa, di cui Avvenire aveva dato notizia in anteprima lo scorso dicembre con l’articolo «Le confessioni di Follett, ateo (quasi) pentito» di Alessandro Zaccuri. Lo stesso Zaccuri è il traduttore del testo proposto nel volume con testo inglese a fronte e l’autore dell’ampia prefazione nella quale, tra l’altro, ricostruisce il contesto della gioventù di Follett tra i Fratelli di Plymouth e contestualizza il nuovo testo all’interno della sua produzione letteraria.

Nel nostro ambiente, ci chiamavamo la Congregazione oppure, a volte, la Chiesa di Dio, ma il mondo ci conosceva come i Plymouth Brethren, i Fratelli di Plymouth. Il movimento si era separato dalla Chiesa d’Inghilterra nel XIX secolo. Gruppi di questo genere hanno la stessa natura fissile dei trotzkisti e le divisioni, di conseguenza, si erano susseguite alle divisioni. Ero nato nei Confratelli della Verità Necessaria […]. In casa non avevamo televisore, né radio o giradischi. Erano tutte cose «mondane », termine che per noi rivestiva grande importanza. Mi sentivo spesso dire: «Non siamo cittadini di questo mondo», un’espressione che riprende la Lettera di Paolo ai Filippesi, dove si legge: «La nostra cittadinanza infatti è nei cieli». La frase era interpretata nel senso che non dovessimo iscriverci a partiti politici o sindacati, né arruolarci nell’esercito o entrare in associazioni di qualsiasi tipo […]. I Fratelli erano troppo importanti per mescolarsi con il resto dell’umanità, che vaga nell’errore.

Guidati da un sovrintendente, un gruppo di adolescenti della nostra assemblea cominciò a visitare un ricovero per anziani una volta alla settimana, il mercoledì sera. Giocavamo a scacchi con i residenti, li ascoltavamo raccontare dei vecchi tempi. Gli anziani ci aprivano la mente e noi forse portavamo un po’ di luce nelle loro vite. Incredibilmente, questa attività fu ritenuta dagli altri sovrintendenti un esempio di «giogo ineguale » e venne perciò proibita. All’epoca avevo sedici anni ed ero perfettamente in grado di capire che si trattava di una totale assurdità. Lasciai la Congregazione e non tornai mai più […].

I pilastri della Terra racconta la costruzione di un’immaginaria cattedrale medievale, e di come questo progetto cambi la vita di tutti coloro che vi si accostano. Fin dal principio mi è stato chiaro che, se non altro per questione di realismo, nella trama ci sarebbe dovuto essere almeno un personaggio ammirevole di cristiano autentico. Ho stretto i denti ed è nato il priore Philip, un monaco molto concreto, che si prende cura del benessere spirituale e materiale della sua gente qui sulla terra, senza mai incitare a soffrire pazientemente in vista della felicità nei cieli. Si tratta, probabilmente, del miglior personaggio che abbia mai creato. È un libro davvero lungo, di oltre mille pagine. Ho impiegato tre anni e tre mesi a scriverlo ed è stato straordinariamente difficile. Quando l’ho ultimato, per la prima volta ho avuto la sensazione che la mia immaginazione fosse allo stremo. Ma anche il risultato si pone a un livello del tutto differente rispetto a qualsiasi cosa abbia scritto in precedenza, e ha goduto di enorme popolarità. Non mi è sfuggita l’ironia insita nel fatto che fosse un ateo a scrivere un best seller ispirato a una chiesa. Da quando ho incontrato Barbara, la mia seconda moglie, mi sono attivamente impegnato nel Partito laburista e sono rimasto sorpreso dallo scoprire che parecchi dei nostri alleati erano cristiani devoti. È venuto fuori che nel mondo reale ci sono molti priori Philip, angosciati dalla povertà materiale e spirituale del loro prossimo proprio come lo sono gli attivisti del Partito laburista. Il mio sprezzante rifiuto giovanile dei credenti ha iniziato a provocarmi un certo imbarazzo «L’architettura, la musica, le parole della Bibbia e il senso di condividere qualcosa con chi mi sta accanto: tutto questo conta. Andare in chiesa consola la mia anima. E questo è esattamente ciò che si suppone debba fare. Quanto tempo ci occorre, spesso, per capire le verità più semplici» […].

Le mie visite alle cattedrali sono proseguite anche dopo la conclusione dei Pilastri della Terra e alla fine ho dovuto ammettere che era qualcos’altro ad attirarmi in quei posti. Dopo che Barbara è stata eletta deputata nel distretto di Stevenage, ho iniziato a frequentare le funzioni religiose, come previsto nei doveri del coniuge di un parlamentare britannico, ma mi sono accorto di apprezzarlo, e ho continuato a farlo anche quando non ero obbligato. Adesso mi considero un ateo non praticante. Continuo a non credere in Dio e non faccio mai la comunione. Ma andare in chiesa mi piace. I vespri cantati sono la mia funzione preferita.

A mezzo secolo di distanza dalla mia fuga dalla Congregazione, oggi sono di nuovo uno che va in chiesa, non regolarmente, ma neppure in modo troppo discontinuo. Nel 2015 il nostro tredicesimo anniversario di matrimonio è caduto nella Domenica della rimembranza, e con Barbara l’abbiamo celebrato partecipando a una funzione nella cattedrale di St. Albans. Perché ci vado? L’architettura, la musica, le parole della Bibbia di re Giacomo, e il senso di condividere qualcosa con chi mi sta accanto: tutto questo conta. Quel che ne deriva, per me, è un sentimento di pace spirituale. Andare in chiesa consola la mia anima. E, come alla fine sono riuscito a comprendere, questo è esattamente ciò che si suppone debba fare. Quanto tempo ci occorre, spesso, per capire le verità più semplici.

da Avvenire