Annunciare la teologia del matrimonio

Nelle scorse settimane a Bologna si è svolto un convegno, organizzato dalla Rete dei Viandanti, sul tema sinodale della famiglia, come è scritto nella parte introduttiva dell’ ‘Instrumentum Laboris’: “L’Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo è chiamata a riflettere sul cammino da seguire, per comunicare a tutti gli uomini la verità dell’amore coniugale e della famiglia, rispondendo alle sue molteplici sfide.

La famiglia è una risorsa inesauribile e una fonte di vita per la pastorale della Chiesa; pertanto, suo compito primario è l’annuncio della bellezza della vocazione all’amore, grande potenziale anche per la società”. Partendo da questo punto don Andrea Grillo, professore di Teologia Sacramentaria presso la Facoltà Teologica del Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma e docente di Teologia presso l’Istituto di Liturgia Pastorale di Padova e l’Istituto Teologico Marchigiano di Ancona, ha incentrato il suo intervento sulla ‘forza’ dell’Eucarestia come alimento per i deboli:

“Il tema del Sinodo non riguarda anzitutto le ‘patologie’ matrimoniali. Ma è chiaro che la bontà delle categorie che interpretano la fisiologia del matrimonio cristiano, il suo fiorire e il suo dare buona testimonianza, sono messe a dura prova nel momento in cui debbono affrontare le crisi e le condizioni problematiche della vita dei cristiani separati, divorziati e risposati”. Analizzando l’esperienza dei matrimoni falliti nello scorso secolo ha affermato che la Chiesa è sempre stata vicina a chi sperimentava questo ‘fallimento’:

“Per comprendere la questione dei ‘divorziati risposati’ dobbiamo dare corpo ad una ‘teologia del matrimonio’ che annunci il Vangelo della grazia di Cristo in modo non autoreferenziale, che non si perda nelle ‘mistiche nuziali’ utilizzandole come ‘alibi’ per non fare i conti con la realtà”. Questo è il compito della Chiesa: restare in continuità con la propria tradizione. Mentre don Giannino Piana, docente di etica cristiana presso la Libera Università di Urbino e Etica ed economia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino, ha spiegato il significato teologico-morale dell’indissolubilità del matrimonio, commentando il capitolo 19 del Vangelo di Matteo:

“La regolazione introdotta dalla legislazione mosaica è una forma di mediazione, che fa proprio il criterio del male minore, in una situazione compromessa dalla presenza del peccato. La condizione nuova creatasi con l’ingresso di Gesù nella storia e la venuta del regno di Dio rende possibile l’adesione all’ordine creazionale. Grazie alla redenzione, l’amore umano gode di una nuova condizione di grazia; è reso partecipe dell’agape divina.

La situazione escatologica è tuttavia, nello stesso tempo, più e meno dello stato protologico; è più perché la redenzione pone l’uomo in uno status di piena figliolanza divina, figli nel Figlio; è meno perché le cicatrici del peccato sono ancora presenti, e la liberazione è data all’uomo come inizio e caparra. Il ritorno all’in principio, al paradigma originario, va dunque letto nella prospettiva del ‘già’ e del ‘non ancora’, come qualcosa con cui si ha già a che fare fin d’ora, ma che costituisce anche il fine cui tendere, qualcosa dunque che avrà il suo pieno compimento solo nel futuro assoluto”.

Invece don Basilio Petrà, professore di Teologia morale fondamentale e di morale familiare presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale di Firenze, e professore associato di morale ortodossa presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma, ha incentrato il suo intervento sul confronto della pastorale con le Chiese ortodosse: “La tradizione greca ha due presupposti fondamentali che spiegano (teologicamente/canonicamente) tutta la sua evoluzione nei confronti della questione del divorzio e delle seconde nozze.

Il primo presupposto fondamentale è l’accettazione delle eccezioni matteane (Mt 5,32; 19,9: il caso di porneia) come reali eccezioni: il Signore avrebbe ammesso la possibilità di nuove nozze per il coniuge innocente nel caso di adulterio. Si può dire che nella storia greca (orientale) questa eccezione della ‘porneia’ è sempre stata accettata, con tutte le sue conseguenze: innanzitutto, la possibilità che un comportamento umano potesse determinare la fine di un vincolo coniugale aprendo a nuove nozze valide (cioè non adulterine).

Non a caso Asterio di Amasea (+410) porrà sullo stesso piano la morte e l’adulterio come cause di scioglimento del matrimonio. L’indissolubilità in questo orizzonte ha sempre mantenuto un fondamentale connotato morale (il dovere di non sciogliere più che l’impossibilità di non sciogliere), configurandosi come il comandamento di non sciogliere il legame e di conformarsi al principio, al progetto genesiaco originario: Adamo, Eva,̧ un uomo, una donna per sempre. La tendenza dominante in Oriente è quella dell’eternità del matrimonio vero”.

Il secondo presupposto riguarda l’equivalenza teologico/liturgica tra matrimonio dei divorziati e matrimonio dei vedovi: “Perciò, l’accettazione di tutte le seconde nozze, a cominciare dallo stesso caso evangelico di porneia che è considerata come una divina condiscendenza, è sempre anche un atto di condiscendenza ecclesiale a imitazione di quella divina, un atto di abbassamento sull’uomo e sulla sua debolezza, di economia, secondo un linguaggio tipico dell’Oriente ecclesiastico. Per questa fondamentale comprensione la liturgia delle seconde nozze è identica tanto per i vedovi quanto per i divorziati risposati ed include sempre alcune preghiere penitenziali”.

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