Anniversario. Padre Puglisi, il dono di un uomo mite lezione di speranza

Il laico Norberto Bobbio, scrivendo di mitezza all’interno di una riflessione politica ( Elogio della mitezza, 1993), osservava che quando la società si fa violenta, quando la politica si alimenta di questa violenza e a sua volta crea divisioni, al mite si aprono due strade: o perseverare, nella mitezza, rischiando di essere sopraffatto dalla violenza; oppure combatterla e con essa i violenti. La prima opzione è quella della speranza, virtù del credente: è la speranza nella Provvidenza divina che, alla fine di tutto, farà prevalere il bene sul male. In entrambi i casi, però, la vittoria dei miti sui violenti, di Abele su Caino, sarebbe assicurata, secondo la promessa evangelica. Anche Givone e Bodei ( Beati i miti perché avranno in eredità la terra, 2013) ripresero il tema, evidenziando come essa sia spesso assimilata alla passività, alla debolezza, alla viltà, un comportamento del tutto inadeguato ad affrontare la durezza della realtà. Da prospettive diverse, ma complementari, una religiosa e l’altra laica, viene comunque rivalutato il valore etico, politico e sociale della mitezza. Ora, un saggio sulla mitezza si può sempre scrivere.

Ma forse il libro migliore, che tutti leggono, è quello di un’esistenza mite, come quella condotta da Pino Puglisi. I testimoni al processo canonico hanno attestato più volte il suo temperamento mite, tanto da paragonarlo ad Abele: «Certamente, per Puglisi non deve essere stato semplice imitare Cristo e assumere su di sé il compito, urgente e necessario di porsi a capo del suo piccolo gregge impaurito… Prima di affidargli una così importante fatica storica, il Signore lo ha munito delle nobili risorse necessarie: gratuità, umiltà, temperanza, penitenza e capacità di perdonare» ( Padre Pino Puglisi profeta e martire. Beato, 2013). E tanta, tanta mitezza. La mitezza, sul piano generale, trova il punto più alto di espressione nel Cristo sulla croce. Frère Christian, priore della comunità di Tibhirine in Algeria, uno dei sette monaci uccisi nel 1996 dai fondamentalisti islamici, in Più forti dell’odioriferisce di un colloquio tra lui e un suo amico musulmano, in relazione alla croce di Cristo. Emerge che ci sono due croci: quella di legno dove Gesù è inchiodato e quella del Suo corpo con le braccia distese.

La croce di legno è la croce offerta dall’empietà, dall’ingiustizia, dal bacio ingannevole, dai falsi testimoni; è la croce scaturita dall’accordo tra i poteri, purché Gesù venga tolto di mezzo. Ma vi è anche l’altra croce, quella del corpo di Gesù, la croce delle braccia distese sul legno per un atto di libero amore. Il crocifisso è il mite che ama fino all’estremo, che si lascia inchiodare dal male, ma continua a fare il bene. È risaputo: nelle città ci sono i profeti, come l’inascoltato Battista, ma ci sono anche quelli che non vogliono sentire. E noi, preferiremo un’esistenza lontana dal Signore, prona al potere del mondo, oppure al suo giogo (Mt 21,30)? È un interrogativo di don Pino. «Un altro dei valori emergenti – disse una volta 3P – è il potere, visto non come servizio verso gli altri, ma come mezzo per procurarsi il piacere.

Ma non è così. Il piacere non dà gioia. Cristo ci chiama a un cammino alternativo, controcorrente: ‘Cercate innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia e le altre cose vi saranno date in più’». Nel discorso della montagna, nella terza beatitudine, sono chiamati beati coloro i quali allo stile della violenza e del sopruso preferiscono – anzi oppongono – il temperamento dolce, disposto alla pazienza e alla misericordia. Costoro, non i potenti, né gli affaristi, erediteranno la terra, perché la mitezza non è solo una virtù etica, ma è un dono divino, che fiorisce nel cuore del credente capace d’amore per l’altro e di perdono.

La mitezza richiede più forza della violenza. È l’eroismo del bene. Un dato emblematico: nel corso della riunione (nel gennaio 2015) della Commissione regionale antimafia nel Centro palermitano Padre nostro, il presidente del Centro chiarì: «È un atto di solidarietà al nostro ente, dopo gli atti vandalici subiti negli ultimi tre mesi». E i ragazzi, nella loro lettera alla Commissione, scrissero: «Oggi con il martirio e la beatificazione di padre Puglisi si associa Brancaccio a speranza. Il suo esempio ci ha insegnato a opporci alla violenza, all’ingiustizia e alla prepotenza, ci ha insegnato l’amore per la nostra terra, abitata anche da uomini onesti. Noi vogliamo ribellarci alla mentalità mafiosa, vogliamo vivere la nostra cittadinanza in maniera attiva». È il dono di un uomo mite, ucciso per il suo amore per Cristo, ma che ancora parla e sorride al mondo e resta orizzonte al quale tendere, cammino da imitare, speranza che non muore.

da Avvenire