Albino Luciani: un buon sacerdote vive la Parola e si fa servo


da Avvenire

Il primo atto di Albino Luciani come vescovo eletto di Vittorio Veneto, la sera del 9 novembre 1958, fu la visita a un parroco colpito da infarto. Iniziò così il suo episcopato, visitando un sacerdote ammalato. In diocesi si premurò subito di conoscere direttamente il suo clero, mostrando stima per le doti di ciascuno, accogliendoli spesso in vescovado e incoraggiando le udienze. Era facile avvicinarlo. Non chiedeva mai informazioni sui preti al segretario. Aveva una grande memoria e ricordava bene il volto di ciascuno, le mansioni e anche le informazioni sui loro familiari. Il suo ultimo segretario a Vittorio Veneto, don Francesco Taffarel, ricorda che non pochi ricorrevano alla sua guida spirituale. Metteva così in pratica la raccomandazione che gli aveva fatto papa Giovanni XXIII, quella di «essere hospitalis et benignus». Nel luglio 1966 pubblicò un ampio intervento su «Il sacerdote diocesano alla luce del Concilio Vaticano II», in cui insisté molto sulla collaborazione tra i presbiteri e con il vescovo, sul sacerdote vicino ai fedeli «che incontra, serve gli uomini», a «disposizione della gente in tutti i momenti» e «si disfà per gli altri». Ne è testimonianza anche questa omelia inedita, che qui riportiamo, pronunciata da Luciani il 29 giugno 1968 per l’ordinazione del vittoriese don Giuseppe Nadal. E che sarà fatta riascoltare dalla registrazione originale in occasione dell’incontro a Canale d’Agordo per l’apertura al pubblico della sua Casa natale domani 2 agosto. (Stefania Falasca)

Cerimonie come questa, di solito, si fanno nella Cattedrale ma, la parrocchia di Santa Maria del Piave è stata così brava, ha fatto sforzi così meritevoli di lode e di plauso, innalzando questa chiesa a quasi una Cattedrale. Il Vescovo è molto contento di fare qui la consacrazione di don Giuseppe.
Il mio primo pensiero va a i suoi parenti: alla mamma – il papà poverino è morto, lo ricorderemo insieme, il Vescovo e il suo figliolo, nella santa Messa – i suoi fratelli, la famiglia; perchè, miei cari fedeli, sinceramente io crederei di mancare a un mio dovere se, consacrando un sacerdote, non pensassi, prima di tutto ai sacrifici che per lui ha fatto la sua famiglia. Intanto l’ha messo a disposizione del Signore. C’è stato uno scrittore francese che ha detto: «Ci sono delle mamme che hanno un cuore ‘sacerdotale’ e lo trasfondono nei loro figlioli». Mia madre non mi ha mai detto di andare prete, però era così buona, amava tanto il Signore che, al suo contatto, io spontaneamente ho preso questa strada; mi pareva che per me non c’era altra strada. Oltre all’ambiente religioso, ci sono dei sacrifici che le famiglie devono fare lungo tanti anni. Sono sicuro che le famiglie dei sacerdoti non rimpiangeranno di aver fatto questi sacrifici. E neanche i sacerdoti, se sono fedeli alla loro vocazione e alle grazie del Signore, non si pentiranno mai di ciò che hanno fatto, accettando questi poteri sublimi. Poteri che importano pesi, sacrifici, e specialmente spirito di grande dedizione. Spero veramente che il Signore aiuti il nuovo sacerdote e lo faccia dedito al popolo, capace di servire. Voi sentite che si dice ‘ministri di Dio’, ministri vuol dire ‘servi’, servi di Dio e servi del popolo. Un sacerdote è bravo quando è servo degli altri. Se è servo di sé stesso non è a posto. C’è stato un santo sacerdote che ha scritto: «Il sacerdote deve essere pane, deve lasciarsi mangiare dalla gente, deve essere a disposizione della gente in tutti i momenti».
Il sacerdote ha rinunciato ad una sua famiglia per essere a disposizione delle altre famiglie. Qualcuno dice che i preti non si sposano perché la Chiesa non apprezza il matrimonio, ha paura di mettere il matrimonio ac- canto a queste cose sante. Non è vero, non è vero! San Pietro era sposato. Noi pensiamo invece che la famiglia è una cosa sublime e grande e, appunto per questo, se uno è padre di famiglia ne ha basta per fare il suo dovere: figlioli da educare, figlioli da crescere…: è tutto impegnato per la famiglia. È troppo grande la famiglia perché uno possa essere con una famiglia e poi avere anche un incarico così grande come il Sacerdozio: o una cosa, o l’altra.
Quindi, ripeto, il Sacerdote sia servo di tutti: è questo specialmente il suo compito, servire. E il popolo sa capire, e vede se il sacerdote è veramente un servo che si disfa per gli altri. Allora dice «Abbiamo un bravo sacerdote!». Allora il popolo è veramente contento.
Durante il Rito, ho detto che questo sacerdote leggerà la Bibbia: bene! Bisogna che quello che ha letto lo creda dopo; bisogna che quello che crede lo predichi alla gente; bisogna che quello che predica alla gente lo faccia lui prima. La prima missione del prete è predicare la Parola di Dio, una parola che prima dovrebbe essere vissuta. Io non posso dire agli altri siate buoni se prima non sono io buono. E se sapeste, alle volte, che rossore, anche per il Vescovo, presentarsi davanti alla gente e dire: Siate buoni, se io non sono buono, non ho fatto abbastanza! Sarebbe bellissimo se io, prima di predicare agli altri, ho fatto tutto quello che dico di fare. Non sempre è possibile, dovete accontentarvi dello sforzo; abbiamo anche noi il nostro temperamento, la debolezza. Però il sacerdote, se vuol essere sacerdote, non si presenti a predicare agli altri se prima lui stesso, non ha almeno cercato, con tutti gli sforzi, di fare quello che domanda agli altri che facciano. E poi ci sono i sacramenti, la confessione, la s. Messa celebrata. E poi c’è il governo. Io dico sempre ai miei preti: «Cari fratelli, la gente bisogna trattarla bene; se è vero che siamo servi bisogna trattar bene la gente». Non basta dedicarsi alla gente, ma essere soavi con la gente, anche se qualcuno, a volte, è ingrato. San Francesco di Sales, diceva: «Noi dobbiamo essere un po’ come le mamme. Qualche volta c’è la mamma che allatta, e il piccolo morde la mammella; la mamma deve continuare a dare il latte».
Così deve essere il sacerdote. Qualche volta ci sforziamo di fare il bene e non sempre c’è la giusta riconoscenza, ma non dobbiamo lavorare per la riconoscenza. Il Signore ci aspetta a vedere se, nonostante tutto, siamo capaci di continuare a fare un po’ di bene alla gente.
Io auguro veramente che il nuovo sacerdote, sia compreso di questi sentimenti, sia una nuova acquisizione preziosa per la diocesi, possa far tanto del bene alla gente, perché è ordinato non per me, ma per voi. In aiuto al Vescovo, sicuro, ma anche il Vescovo non è per sé, ma per gli altri. Con questa nuova consacrazione abbiamo acquistato una ricchezza per il popolo, per la nostra diocesi. Che il Signore ce la conservi e faccia sì che possiamo avere sempre una comunità di sacerdoti veramente santi, veramente servi del popolo di Dio.
vescovo di Vittorio Veneto, futuro papa Giovanni Paolo I