Al Campus Biomedico. Il Papa: vaccini, le nazioni benestanti aiutino chi ne ha di meno

«Mettere il malato prima della malattia», ricordando che «prima delle opportunità di guadagno ci sono le necessità degli ammalati». Nuovo intervento di Francesco su sanità cattolica, scienza e Covid
Vaccinazioni nello Sri Lanka

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Sui vaccini «è urgente aiutare i Paesi che ne hanno di meno, ma occorre farlo con piani lungimiranti, non motivati solo dalla fretta delle nazioni benestanti di stare più sicure. I rimedi vanno distribuiti con dignità, non come elemosine pietose». Il Papa è tornato su un tema che gli sta particolarmente a cuore come la giustizia nella distribuzione dei vaccini. L’ha fatto parlando alla Biomedical University Foundation dell’Università Campus Biomedico di Roma, diretta da Paolo Arullani in un discorso centrato su un concetto al quale è ispirata l’attività dell’istituzione ospedaliera e scientifica che ha sede a Trigoria e che è stata voluta dal beato Alvaro del Portillo, successore di san Josemarìa Escrivà alla guida dell’Opus Dei: «Mettere il malato prima della malattia». Un’idea-guida che ha ispirato al Papa il ringraziamento al Campus Biomedico «perché favorite uno sviluppo umano della ricerca. Spesso, purtroppo – ha aggiunto Francesco –, si inseguono le vie redditizie degli utili, dimenticando che prima delle opportunità di guadagno ci sono le necessità degli ammalati. Esse si evolvono continuamente e occorre perciò prepararsi ad affrontare patologie e disagi sempre nuovi. Ho in mente, tra gli altri, quelli di molti anziani e quelli legati alle tante malattie rare, che non si sa cosa siano, ancora non ci sono state le ricerche per capirle bene…». Tra Policlinico, Università e Centri di ricerca, «voi aiutate chi non ha mezzi economici per sostenere le spese universitarie e affrontate costi rilevanti che il bilancio ordinario non può sostenere. Penso in particolare all’impegno già affrontato per il Centro Covid, per il Pronto Soccorso e per la recente realtà dell’Hospice». Al Campus «si punta non solo all’assistenza, ma anche alla ricerca per fornire ai malati le terapie più idonee, e soprattutto lo si fa con amore per la persona».

Ecco il punto che cambia tutto: «Mettere il malato prima della malattia: è essenziale in ogni campo della medicina; è fondamentale per una cura che sia veramente tale, veramente integrale, veramente umana. Il malato prima della malattia. A questo vi incoraggiò il beato Alvaro del Portillo: a porvi ogni giorno a servizio della persona umana nella sua integralità. Vi ringrazio per questo, è molto gradito a Dio». Infatti la «centralità della persona» aiuta «a rafforzare una visione unitaria», che «non mette al primo posto idee, tecniche e progetti, ma l’uomo concreto, il paziente, da curare incontrandone la storia, conoscendone il vissuto, stabilendo relazioni amichevoli, che risanano il cuore. L’amore per l’uomo, soprattutto nella sua condizione di fragilità, in cui traspare viva l’immagine di Gesù Crocifisso, è specifico di una realtà cristiana e non deve mai smarrirsi».

Francesco pensa alla «sanità cattolica» – per sostenere la quale ha recentemente creato una Fondazione ad hoc affidandone la guida a monsignor Nunzio Galantino, presidente dell’Apsa –, oggi chiamata «a testimoniare coi fatti che non esistono vite indegne o da scartare perché non rispondono al criterio dell’utile o alle esigenze del profitto». Non si tratta solo di erogare cure di livello: «Noi stiamo vivendo una vera cultura dello scarto; questa è un po’ l’aria che si respira e dobbiamo reagire contro questa cultura dello scarto. Ogni struttura sanitaria, in particolare di ispirazione cristiana, dovrebbe essere il luogo dove si pratica la cura della persona e di cui si possa dire: “Qui non si vedono solo medici e ammalati, ma persone che si accolgono e si aiutano: qui si tocca con mano la terapia della dignità umana”. E questa non va mai negoziata, va sempre difesa». Una struttura sanitaria, specie se ispirata al Vangelo, deve dunque «mettere al centro la cura della persona dunque, senza dimenticare l’importanza della scienza e della ricerca. Perché la cura senza scienza è vana, come la scienza senza cura è sterile. Le due cose vanno insieme, e solo insieme fanno della medicina un’arte, un’arte che coinvolge testa e cuore, che coniuga conoscenza e compassione, professionalità e pietà, competenza ed empatia».

La pandemia si è incaricata di riportare tutte le strutture e i sistemi sanitari alla realtà mostrando – ha aggiunto il Santo Padre – «l’importanza di connetterci, di collaborare, di affrontare uniti i problemi comuni. La sanità, in particolare cattolica, ha e avrà sempre più bisogno di questo, di stare in rete, che è un modo di esprimere l’insieme. Non è più tempo di seguire in modo isolato il proprio carisma. La carità esige il dono: il sapere va condiviso, la competenza va partecipata, la scienza va messa in comune. La scienza – dico –, non soltanto i prodotti della scienza che, se offerti da soli, rimangono dei cerotti in grado di tamponare il male ma non di curarlo in profondità».

Il bene, in altre parole, va fatto bene, soprattutto quando c’è di mezzo la vita umana: «Per fare del bene davvero – è la lettura di Francesco – occorre promuovere la scienza e la sua applicazione integrale: capire i contesti, radicare le cure, far crescere la cultura sanitaria. Non è facile, è una vera e propria missione, e auspico che la sanità cattolica sia in questo senso sempre più attiva, come espressione di una Chiesa estroversa, di una Chiesa in uscita».