Ai Musei Vaticani l’arte dialoga con la “fabbrica dei sogni”

Michelangelo al cinema

Dall’affresco biografico di Reed ai film di Rossellini e Antonioni

di MARCO VANELLI

Il cinema si è occupato a più riprese di Michelangelo Buonarroti: dell’uomo, dell’artista, del poeta. Si può dire che lo stesso stile michelangiolesco abbia influenzato i registi per quel certo modo di guardare gli esseri umani, i loro corpi, la loro disposizione nello spazio. Le citazioni michelangiolesche sono moltissime e disseminate nel cinema alto e basso. La più evidente e celebre è quella delle dita ravvicinate di Dio e Adamo nell’affresco della Creazione: si va dai titoli di testa di Ben-Hur (1959) di William Wyler, ai richiami più scanzonati dei poster internazionali di E. T. (1983) di Steven Spielberg e di Una settimana da Dio (2003) di Tom Shadyac, senza contare gli immancabili Simpson che spesso offrono delle irriverenti variazioni sul tema.
La vita di Michelangelo è poi stata portata più volte sul piccolo e grande schermo: da The Agony and the Ecstasy (1965) di Carol Reed, con Charlton Heston, agli sceneggiati televisivi Vita di Michelangelo (1964) di Silverio Blasi e La primavera di Michelangelo (1991) di Jerry London e ai documentari (in uno, Upon This Rock, 1970, di Harry Rasky, è il grande Orson Welles a interpretarlo).
Ma per trattare dell’influenza che Michelangelo ha avuto sul cinema d’autore, conviene soffermarsi sulle opere “testamentarie” di due maestri del cinema italiano: Roberto Rossellini e Michelangelo Antonioni. Entrambi si sono occupati di Buonarroti, rispettivamente con il Concerto per Michelangelo, realizzato da Rossellini per la televisione italiana nel 1977, pochi mesi prima della sua morte, e con Lo sguardo di Michelangelo (2004) dove Antonioni, già malato e incapace di parlare, si pone a tu per tu con il Mosè della tomba di Giulio II.
Pur con i pochi mezzi a disposizione, Rossellini scruta la volta e le pareti della Sistina alla ricerca di un senso generale che trascenda l’occasione del momento.
Non è difficile riconoscere qui il mondo di Rossellini, quella capacità dimostrata sin dai capolavori del neorealismo di cogliere l’universale nel particolare, la dimensione dell’incarnazione nel vissuto quotidiano dei crocifissi della storia, il cristianesimo come paradigma per leggere la realtà attuale. Lo sguardo di Michelangelo è invece un breve film che gioca sull’omonimia tra i due artisti, ognuno nel suo campo maestro dello sguardo, come pure sulla condizione di mutismo che attanaglia tanto il vecchio regista malato, quanto la statua del Mosè, secondo la vulgata invitata a parlare dallo stesso artefice con una martellata. Non si tratta di un documentario, ma di un’opera di contemplazione, di riflessione silenziosa sulla morte, di introspezione.

(©L’Osservatore Romano 14 aprile 2012)