Africa, area di libero scambio. Sfide e problemi secondo p. Albanese

Africa, area di libero scambio. Sfide e problemi secondo p. Albanese

CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. L’area di libero scambio più grande del mondo sta per prendere forma in Africa. Il 7 luglio hanno sottoscritto il Trattato “African Continental Free Trade Agreement” (in sigla AfCFTA) anche Nigeria e Benin. Sono ora 54 su 55 i Paesi che hanno deciso di farne parte. L’assente, il 55° Stato, è l’Eritrea, a causa del conflitto con l’Etiopia, ma non c’è da disperare: il processo di pace avviato tra i due Paesi potrebbe indurre anche Asmara a apporre la sua firma.

L’accordo per un mercato di libero scambio, osserva il missionario p. Giulio Albanese intervistato dalla Radio Vaticana l’8 luglio, è «un’iniziativa lodevole», ma bisogna attendere «la prova dei fatti risolve poco». «Non è il primo tentativo», ricorda il missionario, «prima c’era stato per esempio il Comesa» (il Mercato comune dell’Africa orientale e meridionale) ma si tratta certamente di un passo significativo». Rimangono però, osserva Albanese, dei «problemi strutturali» che devono affronare i Paesi del continente africano. Per sempio, «la questione della crescita del Pil, finora legata fondamentalmente al terziario e alla vendita – o forse sarebbe meglio dire svendita – di materie prime, risorse minerarie ed energetiche, in primis il petrolio», ma anche, seguita Albanese, «la questione del debito, che continua ad aumentare in tutto il continente, nonostante le iniziative di 15 anni fa di Fmi, Banca Mondiale, Banca Africana di Sviluppo lo abbiano non solo ridotto, ma addirittura cancellato in alcuni casi. Ultimamente sta risalendo, siamo intorno ai 700 miliardi di dollari per l’Africa subsahariana. È un fenomeno preoccupante perché di fatto il debito è stato finanziarizzato, questo significa che il pagamento degli interessi è legato alle speculazioni di borsa, un sistema che mette in grande difficoltà i Paesi africani».

Un terzo aspetto, aggiunge il missionario, «riguarda i grandi trattati internazionali come gli Epa (Economic Partnership Agreeement) che l’Europa ha imposto ai Paesi con cui in questi anni ha intrattenuto relazioni di cooperazione per lo sviluppo sono accordi che stanno penalizzando moltissimo i Paesi del Sud del mondo, in particolare quelli africani perché le loro economie non sono in grado di reggere la competizione con i Paesi industrializzati europei».

Il Trattato insomma è sì un passo importante, ma «dobbiamo tener conto – afferma p. Albanese – che in Africa il processo di industrializzazione lascia molto a desiderare. Mancano le infrastrutture e quel poco che è stato fatto recentemente è soprattutto opera dei cinesi. Le Afriche comunque continuano ad essere una grande e sconfinata terra di conquista e il cammino è ancora lungo».

E poi legato all’Africa e alle sue condizioni economiche c’è il fenomeno migratorio. Un fenomeno «inevitabile», scondo p. Albanese, ma non così allarmante e comunque governabile: «Il tema in Italia viene raccontato molto male. Guardando i dati oggi non dovremmo essere così allarmisti, il 75% della mobilità umana rimane all’interno del continente africano. Parliamo di circa 24 milioni di persone. C’è sicuramente un movimento che spinge verso settentrione. La riflessione però dovrebbe avvenire in chiave politica tenendo conto che l’Europa sta invecchiando e quindi necessita di nuove energie. D’altra parte è anche vero che la mobilità dalla sponda africana aumenterà a dismisura nei prossimi anni. Nel 2050 le previsioni delle Nazioni Unite dicono che la popolazione dell’Africa sarà intorno ai 2,4 miliardi, nel 2100 supererà i 4 miliardi. I fenomeni migratori sono inevitabili, proprio per questo bisognerebbe cercare di governarli in modo intelligente, nella logica e nell’interesse comune».

*Alba in Africa. Foto di Jon Sullivan, tratta di Pixnio