A ottobre la Chiesa riflette sulla missione, che significa portare agli altri Cristo e il volto materno della Chiesa, è testimoniare come la fede in Gesù sia l’esperienza più bella che possa capitare

Lo si “dice” con le maniche della camicia arrotolate, costruendo ospedali, insegnando dentro scuole senza banchi in villaggi sperduti. Ma “tacere” non si può, chi crede davvero ha dentro di sé vita che straripa, che chiede di uscire, che vuole regalare felicità. Lo ripete tante volte il Papa, quando, citando Benedetto XVI, spiega che la Chiesa cresce non per proselitismo ma per attrazione. Il primo missionario di cui ho ricordo veniva dall’Amazzonia e denunciava la decimazione del popolo Yanomami, cioè i discorsi di oggi fatti decenni prima. Aveva un camiciotto a quadri e al collo una croce di legno che toccava spesso, quasi a ripetersi inconsciamente il motivo per cui si trovava lì. Da allora nell’immaginario la “divisa” del missionario è quella, comprese le carezze al segno del suo servizio. Rigorosamente di legno, materiale umile e resistente, proprio come dev’essere chi non porta se stesso ma la Persona che gli riempie il cuore. A condividere, insieme a sofferenza e povertà, la speranza che l’angoscia di oggi sarà rovesciata in gioia mille volte più grande nella vita per sempre.

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