A Orano. Saranno beatificati l’8 dicembre i martiri d’Algeria

da Avvenire

Algeria: in questa immagine d'archivio, priva di data, figurano sei dei sette monaci trappisti francesi di Tibhirine rapiti e uccisi dai fondamentalisti islamici algerini nel 1996. I corpi dei frati furono rinvenuti a pochi chilometri dalla città di Medea, a sud-ovest di Algeri

A dare l’annuncio sono stati i vescovi del Paese. I diciannove martiri cristiani uccisi in Algeria tra il 1994 e il 1996 saranno proclamati beati a Orano, presso il santuario di Notre-Dame di Santa Cruz il prossimo 8 dicembre. La scelta della sede richiama direttamente la figura di monsignor Pierre Claverie, vescovo di Orano appunto, ucciso il 1° agosto 1996, assieme al suo giovane autista algerino, da una bomba il 1°agosto 1996. La storia tragicamente più nota è però quella dei sette monaci trappisti di Notre Dame de l’Atlas, rapiti nel loro monastero nel marzo 1996 e ritrovati morti due mesi dopo. Una vicenda raccontata anche in un film: «Uomini di Dio», premiato a Cannes nel 2010. I 19 martiri, tra cui sei religiose, sono volti tristemente noti di un decennio nero che insanguinò l’Algeria provocando 150mile vittime. Il decreto autorizzato dal Papa che ha dato il via libera alla beatificazione per martirio risale al gennaio scorso.

«Testimoni del dialogo che ci invitano al perdono»

di Anna Pozzi (Avvenire 28/1/18)

«Ognuno di loro è stato un’autentica testimonianza dell’amore di Cristo, del dialogo, dell’apertura agli altri, dell’amicizia e della fedeltà al popolo algerino. Con un’immensa fede in Cristo e nel suo Vangelo». Commenta così padre Thomas Georgeon – monaco trappista e postulatore della causa di beatificazione di Pierre-Lucien Claverie e degli altri 18 religiosi e religiose uccisi in Algeria tra il 1994 e il 1996 – l’annuncio ufficiale del riconoscimento del loro martirio «in odio alla fede». Saranno beatificati nel corso dell’anno, con ogni probabilità nella diocesi di Orano, proprio in Algeria, di cui il domenicano Claverie – l’ultimo a essere assassinato il 1° agosto 1996 – era vescovo. Tra di loro i più noti sono i sette monaci di Tibhirine, rapiti e uccisi tra marzo e maggio del ’96 nel monastero di Notre Dame de l’Atlas, sulle alture dell’atlante algerino. Una vicenda resa celebre anche dal film Uomini di Dio, oltre che dagli scritti di alcuni di loro, a cominciare da quello del priore Christian de Chergé. Il quale, nel suo testamento spirituale, chiedeva che la morte che vedeva incombere su di sé fosse associata alle «tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato».

«Rendere omaggio ai 19 martiri cristiani – afferma padre Georgeon – significa rendere omaggio alla memoria di tutti coloro che hanno dato la loro vita in Algeria negli anni Novanta». Sono quasi duecentomila le persone – in gran parte comuni cittadini, ma anche giornalisti, attivisti per i diritti umani, intellettuali e imam – che sono stati massacrati negli anni bui del terrorismo islamista. E che, per una politica di riconciliazione improntata al silenzio più che alla guarigione della memoria, rischiano di rimanere confinati nell’oblio. Per questo la beatificazione dei 19 martiri cristiani apre uno squarcio di luce anche sulle tante sofferenze vissute dal popolo algerino.

«È un’occasione per riscoprire il significato vero del termine “martire”, ovvero testimone – insiste padre Thomas –. Non hanno dato la vita per un’idea, per una causa, ma per Lui. Con un profondo amore per la terra dove il Signore li aveva inviati, l’Algeria. Con un’attenzione e una delicatezza evangelica verso quel popolo, specialmente nei confronti dei più piccoli e dei più umili, così come dei giovani. Con il rispetto della fede dell’altro e il desiderio di comprendere l’islam. Con un grande senso di appartenenza alla Chiesa algerina: una Chiesa “ospite”, piccola, umile, serva e amorevole. E questo, ciascuno dei 19 martiri, come tanti altri membri della Chiesa che sono ancora vivi, l’hanno vissuto profondamente. La loro vita e la loro morte sono come un’icona dell’identità della Chiesa d’Algeria. Hanno incarnato fino alla fine la sua vocazione a essere sacramento della carità di Cristo per tutto il suo popolo».

Ne è convinto anche padre Jean Marie Lassausse, prete della Mission de France che per 15 anni ha vissuto nel monastero di Tibhirine, portando avanti una testimonianza di fede e di vicinanza alla gente del posto, nel solco dei monaci trappisti. «Questa beatificazione – afferma – è straordinaria perché riconosce persone assolutamente ordinarie: uomini e donne comuni che, come molti altri membri della Chiesa, hanno scelto di restare in Algeria pur sapendo di mettere a rischio la loro vita».

I primi a essere stati uccisi, l’8 maggio ’94 nella biblioteca della Casbah, sono stati il marista Henri Vergès e suor Paul Hélène de Saint Raymond, piccola suora dell’Assunzione. Il 23 ottobre di quello stesso anno sono state assassinate suor Esther Paniagua Alonso e suor Caridad Alvarez Martin, agostiniane, nel quartiere popolare di Bab el Oued ad Algeri. Mentre il 27 dicembre a Tizi Ouzou, nella regione della Cabilia, hanno trovato la morte quattro padri bianchi: Jean Chevillard, Charles Deckers, Alain Dieulangard e Christian Chessel. Nel 1995 altri tre omicidi ad Algeri: il 3 settembre suor Bibiane e suor Angèle-Marie, delle suore di Nostra Signora degli Apostoli; quindi il 10 novembre suor Odette Prévost, piccola sorella del Sacro Cuore. L’anno successivo è segnato dal rapimento, nella notte tra il 26 e il 27 marzo, dei sette monaci trappisti di Tibhirine: Christian de Chergé, Bruno Lemarchand, Célestin Ringeard, Christophe Lebreton, Luc Dochier, Michel Fleury e Paul Favre-Miville. Le loro teste vennero fatte ritrovare a fine maggio nei pressi di Medea, poco distante dal monastero. Infine il 1° agosto un’autobomba sull’uscio della Curia provoca la morte del vescovo Pierre-Lucien Claverie insieme all’autista e amico musulmano Mohammed.

«La loro morte – commenta padre Lassausse – è stata in solidarietà con quella delle altre vittime algerine. Anche per questo la Chiesa ha intrapreso questo percorso verso la beatificazione: per favorire un processo di riconciliazione e perdono». «Il messaggio di questi 19 religiosi e religiose è chiaro – aggiunge padre Georgeon –: occorre approfondire il significato della presenza della Chiesa e dimostrare che una coesistenza fraterna e rispettosa tra le religioni è possibile».