6 Ottobre. L’uomo della vita nascosta San Bruno di Colonia, fondatore dell’Ordine certosino

Osservatore

Girolamo Marchesi, «Ritratto  di San Bruno»
06 ottobre 2020

La santità nella Chiesa è stata sempre presente fin dai primi attimi della sua vita; essa è come un giacimento sotterraneo che di tanto in tanto trasuda e viene in superficie  dando  origine a qualcosa di bello e di buono. Per questo essa esce fuori dal tempo, e continuamente ci interroga e ci guida attraverso le opere di coloro che hanno saputo con la grazia di Dio rivestirsene.

San Bruno è uno di questi, un santo europeo, che ha percorso l’Europa. Nato a Colonia intorno al 1030, insegna a Reims, in Francia, e diventa rettore dell’Università. Tra i suoi discepoli, diversi sono stati tra i più grandi luminari del suo secolo: Anselmo di Laon, che sarà maestro di Abelardo, il futuro vescovo di Grenoble, Ugo, a cui dovrà il deserto di Chartreuse, e Eudes di Châtillon, futuro Papa Urbano ii. All’età di 50 anni circa, nelle Alpi, inizia una vita monastica semi-eremitica, sul modello dei primi monaci in Egitto o delle laure in Palestina. Viene a Roma chiamato da  Urbano ii, il suo ex-allievo, che tenterà invano di unirlo più strettamente al suo ministero papale, e poi scende all’estremo meridione della penisola, dove termina i suoi giorni, dopo aver ripreso la vita nella solitudine delle Serre calabresi.In una lettera scritta all’amico Rodolfo, Bruno racconta quando ricevette la prima scintilla della sua vocazione: «Il tuo affetto ricorda quel giorno. Abbiamo parlato per un po’, credo, delle false seduzioni e delle ricchezze deperibili di questo mondo nonché delle gioie della gloria eterna. Allora, ardendo di amore divino, abbiamo promesso, fatto voto, deciso di lasciare presto le ombre fugaci del secolo per cercare i beni eterni e ricevere l’abito monastico». In queste parole è condensato il suo progetto di vita solitaria, radicato in un’attrazione ardente per Dio e in una relativizzazione delle cose del mondo, siano anch’esse ecclesiastiche. Fin dall’inizio della sua vocazione l’amore bruciante lo spinge a lasciare tutto per farsi eremita, tuttavia mentre nell’austerità della Chartreuse conosce l’asprezza del deserto, nella solitudine delle Serre, invece, ne matura la dimensione nuziale.

Nel deserto si avverte l’abisso che separa Dio dalla creatura, ma, la preghiera continua ci dice che questa distanza abissale non è l’ultima parola. Si può colmare solo con l’amore. La comunione con Dio che l’eremita cerca nel deserto non lo rende lontano dagli uomini, anzi, la familiarità con Dio dilata il cuore, tanto da poter abbracciare il mondo intero.

Bruno non è mai stato solo nel suo eremo. Ci sono molti eremiti, che vivono in grotte o nei boschi; ci sono monasteri che riuniscono monaci cenobiti, ossia che condividono tutto durante la giornata, ma Bruno è un eremita che vive in compagnia di fratelli. L’esperienza di Bruno è unica nella storia del monachesimo. Fin dall’inizio la sua è una solitudine fraterna: ognuno cerca Dio nel silenzio di un eremo, ma insieme tutti formano una famiglia molto unita. Bruno sa che l’amore per Dio e l’amore fraterno vanno di pari passo, e perciò il cercare Dio solo nel deserto si armonizza con lo stabilire dei veri legami fraterni. Ha il carisma di suscitare l’amicizia con persone di ogni status ; accanto ai grandi, come Urbano ii, il conte Ruggero di Altavilla, ci sono uomini di varia provenienza che lo accompagnano nella via monastica.

Quando si avvicina l’ora del suo transito, sente il bisogno di riunire i suoi fratelli per vivere un intenso momento di comunione. Il  6 ottobre dell’anno 1101, Bruno, padre dei certosini, vive la sua pasqua insieme a Cristo Gesù, nella pace del suo eremo calabrese di Santa Maria della Torre. Bruno è il santo del primato assoluto di Dio, amato sopra ogni cosa, cercato e gustato nel silenzio contemplativo; ci insegna che alla contemplazione piena del volto del Signore non arriviamo con le sole nostre forze, ma lasciandoci prendere per mano dalla grazia. Solo il silenzio e la preghiera offrono l’orizzonte adeguato in cui può maturare e sviluppare quell’esperienza in cui si intravede la profondità delle parole dell’apostolo Giovanni: Dio è Amore . Ha tanto da impararci, innanzitutto l’umiltà, l’abbandono della ricchezza e della gloria terrena e la sua determinazione nell’attuare il suo sogno di incontrare Dio.

È stato uno dei più grandi professori del suo tempo; tanti suoi allievi hanno elogiato la sua sapienza e la sua intelligenza. Di fronte a prelati indegni, Bruno è ricercato come il candidato ideale per occupare sedi arcivescovili non facili. Ha avuto anche tutto per far carriera nell’ entourage del Papa, che lo ha stimato molto, ma Bruno sceglie una strada semplice, lontana dalle luci del palcoscenico. Lascia la cattedra dottorale e canonicale, rifiuta di divenire vescovo, fugge la corte pontificia, e si ritira in un luogo nascosto. Questa semplicità è ciò che ce lo rende vicino, accessibile a tutti noi. Come definire questa qualità? Non è facile, perché non si può definire il semplice se non opponendolo al suo contrario. È semplice colui che non fa calcolo, che ignora la duplicità, il doppio linguaggio. È semplice la fede di colui che si affida totalmente a Dio, come un bambino che si getta nelle braccia del padre o della madre.

Anch’egli si sarà chiesto: di fronte ai mali che ci sono nel mondo e nella Chiesa, cosa fare? Il suo cuore diventa simile al cuore di Dio che piange sulla sofferenza del mondo, soprattutto su quella degli innocenti. Inoltre come dice, è importante curare la purezza dello sguardo e del cuore; cos’è questa purezza, se non la trasparenza? Essere trasparenti, vuol dire che non ci sia stacco tra ciò che diciamo e ciò che pensiamo, significa non fingere davanti agli altri, non ingannarli in nessun modo.

Qual è, dunque, il segreto della sua santità? Bruno è l’uomo della vita nascosta, il santo dell’interiorità, avvolto di silenzio: nessun miracolo, nessuna prodezza sono state segnalate durante la sua vita, la sua santità non consiste nel fare cose straordinarie. Non scrive una Regola come san Benedetto, non lascia un trattato spirituale come san Bernardo né un insegnamento sulla preghiera come santa Teresa d’Ávila e san Giovanni della Croce. La sua vita nascosta e silenziosa in Dio parla più eloquentemente delle sue parole. Ha riconosciuto qual è l’unico e vero Bene, e la sua vita è proiettata in un desiderio intenso, il desiderio di vedere Dio, ci rassicura, ci sprona ad amarlo, dicendoci che è Bontà, e bontà infinita, ripetendo ciò che era divenuto in lui il grido del cuore: O Bonitas!

La fecondità della vita di san Bruno, nonostante appaia modesta, è evidente: infatti sono trascorsi 900 anni e l’Ordine certosino è ancora fiorente; anche laici, impegnati nel mondo, trovano alla sua scuola, una fonte di ispirazione, di vita cristiana e di gioia spirituale.

Papa Francesco, nella sua lettera all’Ordine certosino per i 500 anni della canonizzazione di Bruno, riconosce che: «Ancora oggi, per la densità della sua esistenza, interamente votata alla ricerca assidua di Dio ed alla comunione con Lui, rimane una stella luminosa all’orizzonte, per la Chiesa e per il mondo».

di Antonino Terzo