6 Aprile V DOMENICA DI QUARESIMA – A (Domenica di Lazzaro)

LETTURE: Ez 37, 12-14Sal 129; Rm 8,8-11Gv 11,1-45
 

Cristo: risurrezione per la nostra vita

I temi delle precedenti domeniche convergono in felice sintesi nell’odierna celebrazione: Gesù, sorgente dell’acqua viva (III dom.) e della luce (IV dom.), è colui che conferisce la vita a chi crede in lui. Le tre letture sottolineano la medesima realtà: solo la forza dello Spirito fa rifiorire la speranza, scioglie i legami della morte e restituisce la vita in pienezza. L’uomo è radicalmente impotente di fronte alla forza della morte. Sintomatico è il lamento degli esiliati a Babilonia: «Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è finita» (Ez 37,11). Ma Dio rassicura il suo popolo: questi «conoscerà» il Signore, farà cioè esperienza diretta della sua potenza vivificante (cf prima lettura).

« Dalla morte alla vita… »
Il termine «vita» è un termine chiave del vangelo di Giovanni, tanto da costituirne un tema dominante. Cristo è la Vita: chi accoglie la sua Parola e aderisce alla sua Persona è in grado di spezzare il dominio della morte. Gesù lo sottolinea nella risurrezione di Lazzaro, segno profetico della sua risurrezione.
I diversi attori della scena (Marta e Maria, i discepoli, i presenti) sono condotti da Gesù a compiere il passo della fede, a riconoscere nella sua opera la rivelazione del Dio vivente. Chi ha questa fede possiede già quella vita che si manifesterà in pienezza nella risurrezione finale. Nell’attesa di essere sempre più inseriti come membra vive nel Cristo (cf oraz. dopo la com.), i fedeli invocano il «Dio e Signore della vita (che)… con i suoi sacramenti… fa passare dalla morte alla vita» (prefazio).

Battesimo: inizio della nuova creazione
Nell‘ambito dell’itinerario catecumenale, la comunità cristiana vede nella risurrezione di Lazzaro il segno profetico del mistero che si attua nel battesimo. Nella celebrazione infatti la Chiesa si rivolge al catecumeno come fa col cristiano caduto nel peccato: «Lazzaro, vieni fuori»; Cristo e la Chiesa dicono: «Scioglietelo e lasciatelo andare»; le bende del peccato cadono alla voce della Chiesa che prega con Cristo davanti all’uomo peccatore, e la sua preghiera lo rende alla vita, immergendolo nelle acque battesimali.
La risurrezione di Lazzaro è ancora segno della realizzazione della nuova creazione e della nuova alleanza promessa da Ezechiele: Gesù freme davanti alla prima creazione, piombata nel disordine, nella morte e nella dissoluzione; la sua passione, morte e risurrezione ad opera dello Spirito, lo proclamerà signore della morte e della vita. La lettura pasquale del vangelo di oggi è profetica e attuale per noi che misticamente rinasciamo nello Spirito di Cristo e perciò siamo chiamati a vivere secondo lo Spirito una esistenza nuova: morti al peccato, vivi per Dio (seconda lettura).

Una scelta per la vita
Il Dio vivente, il Signore della vita (cf Sap 11,26) ha rivelato soprattutto in Gesù la sua potenza vittoriosa sulla morte. Il battezzato è inserito in Cristo per opera dello Spirito: questa simbiosi (= vita insieme) fa del cristiano un promotore della vita. La «carne», cioè l’uomo chiuso in se stesso, ostile a Dio e sordo alle necessità dei fratelli, non può che generare la morte e affermarne il potere nefasto. Il duello vita-morte è uno scontro che sta davanti agli occhi di tutti; e si traduce in attaccamento alla vita, perché «il germe dell’eternità che (l’uomo) porta in sé, irriducibile com’è alla sola materia, insorge contro la morte» (GS 18). D’altra parte sembra che in pari misura l’uomo avverta un misterioso istinto di morte-distruzione. Quando ideologia, interesse, sfruttamento si trasformano in odio e violenza ci sentiamo soffocare da un’atmosfera di morte. La nostra cultura rivela la sua tragica maschera là dove la vita è umiliata e offesa: i gesti del terrorismo e della delinquenza comune, la corsa agli armamenti, l’aggravata diffusione della droga, la persistente frequenza delle morti bianche, una diffusa incoscienza nella circolazione stradale, la soppressione della vita nel seno materno, l’abbandono dell’infanzia, l’emarginazione della vecchiaia ingombrante e improduttiva. E ancora, nei rapporti interpersonali, le violenze verbali, i tradimenti dell’amore e dell’amicizia, quei sordi rancori che sono veri attentati alla vita.
I battezzati, radicati in Cristo Vita nel mondo, devono farsi promotori di vita. Con le loro scelte positive contribuiscono, nell’immenso cantiere umano, a spingere la storia verso cieli nuovi e terre nuove. Se la nostra civiltà sembra un’accelerazione verso la decadenza e la dissoluzione, la speranza cristiana afferma la possibilità di un mondo nuovo perché la potenza di Dio si è rivelata vincitrice in Cristo. L’Eucaristia, che è celebrazione di una Vita fatta dono, diventa forza di risurrezione se il cristiano ne assimila i contenuti: farsi, come Cristo, pane spezzato per la vita del mondo.

Celebriamo la vicina festa del Signore con autenticità di fede

Dalle «Lettere pasquali» di sant’Atanasio, vescovo (Lett. 14, 1-2; PG 26, 1419-1420)

Il Verbo, Cristo Signore, datosi a noi interamente ci fa dono della sua visita. Egli promette di restarci ininterrottamente vicino. Per questo dice: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).
Egli è pastore, sommo sacerdote, via e porta e come tale si rende presente nella celebrazione della solennità. Viene fra noi colui che era atteso, colui del quale san Paolo dice: «Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato» (1 Cor 5, 7). Si verifica anche ciò che dice il salmista: O mia esultanza, liberami da coloro che mi circondano (cfr. Sal 31, 7). Vera esultanza e vera solennità è quella che libera dai mali. Per conseguire questo bene ognuno si comporti santamente e dentro di sé mediti nella pace e nel timore di Dio.
Così facevano anche i santi. Mentre erano in vita si sentivano nella gioia come in una continua festa. Uno di essi, il beato Davide, si alzava di notte non una volta sola ma sette volte e con la preghiera si rendeva propizio Dio. Un altro, il grande Mosè, esultava con inni, cantava lodi per la vittoria riportata sul faraone e su coloro che avevano oppresso gli Ebrei. E altri ancora, con gioia incessante attendevano al culto sacro, come Samuele ed il profeta Elia.
Per questo loro stile di vita essi raggiunsero la libertà e ora fanno festa in cielo. Ripensano con gioia al loro pellegrinaggio terreno, capaci ormai di distinguere ciò che era figura e ciò che è divenuto finalmente realtà.
Per prepararci, come si conviene, alla grande solennità che cosa dobbiamo fare? Chi dobbiamo seguire come guida? Nessun altro certamente, o miei cari, se non colui che voi stessi chiamate, come me, «Nostro Signore Gesù Cristo». Egli per l’appunto dice: «Io sono la via» (Gv 14, 6). Egli è colui che, al dire di san Giovanni, «toglie il peccato del mondo» (Gv 1, 29). Egli purifica le nostre anime, come afferma il profeta Geremia: «Fermatevi nelle strade e guardate, e state attenti a quale sia la via buona, e in essa troverete la rigenerazione delle vostre anime» (cfr. Ger 6, 16).
Un tempo era il sangue dei capri e la cenere di un vitello ad aspergere quanti erano immondi. Serviva però solo a purificare il corpo. Ora invece, per la grazia del Verbo di Dio, ognuno viene purificato in modo completo nello spirito.
Se seguiremo Cristo potremo sentirci già ora negli altri della Gerusalemme celeste e anticipare e pregustare anche la festa eterna. Così fecero gli apostoli, costituiti maestri della grazia per i loro coetanei ed anche per noi. Essi non fecero che seguire il Salvatore: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito »(Mt 19, 27).
Seguiamo anche noi il Signore, cioè imitiamolo, e così avremo trovato il modo di celebrare la festa non soltanto esteriormente, ma nella maniera più fattiva, cioè non solo con le parole, ma anche con le opere.