In Perù, la Giuria Nazionale delle Elezioni ha infine approvato, il 19 luglio, i risultati della competizione che il 6 giugno, al secondo turno (il primo era stato l’11 aprile), ha fatto confluire su Pedro Castillo oltre 44mila voti in più rispetto alla sua avversaria, candidata della destra, Keiko Fujimori. I ricorsi di quest’ultima che gridava alla frode elettorale sono stati tutti analizzati e respinti. La proclamazione è avvenuta solo una decina di giorni prima del cambio presidenziale previsto per il 28 luglio, giorno in cui il Perù celebrerà 200 anni di indipendenza. Castillo succede quindi a Francisco Sagasti che era stato nominato presidente ad interim dal Parlamento nel novembre del 2020.

Castillo eredita un Paese messo in ginocchio dalla pandemia e dalle diseguaglianze, dove tre persone su 10 vivono in condizioni di povertà e oltre il 70% dei lavoratori appartiene al mercato informale, nonostante la sua economia sia stata considerata un “miracolo economico” per via della sua rapida crescita negli ultimi due decenni e una gestione prudente delle finanze pubbliche che le ha consentito di mantenere l’equilibrio fiscale e di attrarre investimenti.

La vittoria di Castillo, presentatosi come politico di sinistra, alimenta il timore dei poteri forti, malgrado abbia moderato assai i suoi discorsi rispetto a quando, sconosciuto maestro ci campagna, che difendeva i postulati di un sedicente partito marxista-leninista. A fine giugno ha dichiarato: «Non siamo chavisti, non siamo comunisti, non porteremo via le loro proprietà a nessuno, ciò che è stato detto è totalmente falso, è sigillato: siamo democratici, rispettiamo il governo e le istituzioni peruviane».

Secondo la BBC-Mundo (20/7), sono due le mosse che potrebbero tranquillizzare il clima di incertezza sul futuro economico del Paese: la nomina di Pedro Francke, un uomo che gode di rispetto negli ambienti imprenditoriali e accademici, come suo principale assistente economico; e la conferma di Julio Velaverde alla presidenza della Banca Central, incarico che ricopre da molti da anni, per garantirne l’indipendenza.

Il piano per risollevare le sorti del Perù pensato da Castillo è ormai noto come “economia popolare con mercati”, una via di mezzo fra l’esperienza di Evo Morales in Bolivia e Rafael Correa in Equador, un “evocorreismo”. Intervistato da BBC-Mundo, Francke spiega che si tratta di «un modello di libera azione delle imprese private, come abbiamo avuto fino ad ora, ma con una maggiore componente redistributiva da parte dello Stato», perché «dobbiamo ridistribuire la ricchezza, in particolare quella mineraria». I fondi delle politiche di redistribuzione della ricchezza saranno destinati a un aumento della spesa sociale per la salute e per l’istruzione e a un maggiore sostegno ai microimprenditori in città e nelle campagne.

«C’è paura – ha ammesso – per quella che potremmo chiamare quell’altra sinistra, una sinistra che ha una proposta più statalista nello stile di Cuba o Venezuela, con una molteplicità di controlli sui prezzi, un’economia fortemente pianificata, un’enorme presenza statale», ma «non è quello che vogliamo».

«Castillo – dice sempre alla BBC-Mundo Sinecio López, sociologo e docente alla Pontificia Università Cattolica del Perú e alla Nazionale Università di San Marco – si è reso conto che deve governare per l’intero Paese e il suo attuale team tecnico rappresenta una sinistra moderna, non una sinistra primitiva».

Ciò non toglie che molti investitori e uomini d’affari siano preoccupati e, dato che una delle maggiori fonti di reddito del Paese proviene dal settore minerario, c’è chi teme nazionalizzazioni nel settore. Castillo ha anche detto che intende rinegoziare i contratti con le società transnazionali che operano nel Paese in modo che l’80% dei profitti rimanga in Perù e il resto rimanga nelle mani delle imprese. Insomma, dopo il 28 luglio si saprà qualcosa di più, chi rimarrà soddisfatto e chi deluso.

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