Centenario. San Francesco alla prova della misericordia

Avvenire

La ricostruzione romanzesca di Ernesto Ferrero e il saggio spirituale di padre Enzo Fortunato e Piero Damosso affrontano il tema dell’attualità dell’incontro fra il Poverello e il Sultano nel 1219

Francesco sfida il Sultano alla prova del fuoco in uno degli affreschi attribuiti a Giotto nella Basilica Superiore di Assisi (1290-1295)

Francesco sfida il Sultano alla prova del fuoco in uno degli affreschi attribuiti a Giotto nella Basilica Superiore di Assisi (1290-1295)

Differenti per genere letterario, i due libri portano lo stesso titolo,Francesco e il Sultano, perché si riferiscono al medesimo episodio storico: l’incontro, avvenuto a Damietta nell’estate del 1219, tra Francesco d’Assisi e il sultano d’Egitto al-Malik al-Kamil. La Quinta Crociata imperversa e il Poverello, accompagnato da un frate solitamente identificato con Illuminato da Rieti, si dirige verso il campo musulmano nel tentativo di convertire il «Soldano» la cui «presenza superba» verrà stigmatizzata da Dante nell’XI canto del Paradiso. Che l’incontro sia avvenuto è fuor di dubbio, quale sia stato il contenuto del dialogo tra i due uomini resta impossibile da appurare. Le fonti più antiche insistono sulla «cortesia » che al-Malik al-Kamil avrebbe riservato ai frati, mentre la Leggenda Maggiore di Bonaventura da Bagnoregio introduce il dettaglio della prova del fuoco alla quale Francesco sarebbe stato disposto a sottoporsi per dimostrare la superiorità della propria fede e alla quale, al contrario, il Sultano si sarebbe sottratto. 

La scena (molto problematica anche sotto il profilo storico, dato che simili ordalie erano state formalmente proibite nel 1215 dal Concilio Lateranense) è raffigurata negli affreschi della Basilica Superiore di Assisi, la cui esecuzione costituisce lo spunto narrativo del primo dei due Francesco e il Sultano arrivati in libreria in questi giorni. Edito da Einaudi (pagine 204, euro 18,50), è un romanzo dal forte impianto documentario, nel qualeErnesto Ferrero torna a dispiegare gli strumenti di erudizione e di invenzione che già stavano alla base del suo N, vincitore del premio Strega nel 2000. Con una bella prova di umiltà, nella nota finale Ferrero ammette di essere venuto a conoscenza dell’incontro di Damietta in tempi relativamente recenti grazie alla conversazione con padre Michele Piccirillo, l’autorevole archeologo francescano morto nel 2008. Ad accrescere l’interesse di Ferrero è stata anzitutto la possibilità di «riempire i vuoti del poco che si sa con certezza di lui [Francesco, ndr] con quello che finisce per essere orientato dagli interessi “politici” di chi lo racconta». L’obiettivo polemico coincide appunto con la Leggenda di Bonaventura, alla quale viene attribuita una funzione normalizzatrice (se non addirittura di tradimento) nei confronti dell’originario carisma francescano, del quale resterebbe traccia nelle biografie redatte da Tommaso da Celano e nella prima stesura della Regola. Sotto questo profilo, la posizione di Ferrero è molto severa e arriva a coinvolgere il piano complessivo degli affreschi assisiati, con una riflessione tutt’altro che prevedibile sul ruolo svolto da Giotto. 

Molto più possibilista sull’eventualità che la prova del fuoco sia stata effettivamente prospettata è invece il portavoce del Sacro Convento di Assisi, padre Enzo Fortunato, che insieme con il giornalista Piero Damosso firma l’altro Francesco e il Sultano (San Paolo, pagine 178, euro 16,00). Integrato dal sottotitolo «800 anni da un incredibile incontro», è un saggio ricco di spunti spirituali e giustamente preoccupato di rivendicare l’attualità di un evento in apparenza remoto. Damosso, per esempio, traccia una sicura linea di continuità fra quel che accadde a Damietta nel 1219 e le tappe più recenti del dialogo cristiano-islamico, promosso già dal Concilio Vaticano II e condotto con stili diversi ma con immutata determinazione da Giovanni Paolo II, da Benedetto XVI (molto utili le puntualizzazioni sull’ancora frainteso discorso pronunciato a Ratisbona nel 2006) e oggi da papa Francesco, al quale si deve l’iniziativa della fondamentale Dichiarazione di Abu Dhabi del febbraio scorso. Del resto, già quella messa in atto da Francesco al cospetto di al-Malik al-Kamil «non è diplomazia, è misericordia», come sottolinea con pieno convincimento padre Fortunato, che riconosce alla stessa Leggenda Maggiore il merito di individuare con precisione il punto «in cui il nemico diventa fratello attrqverso il dialogo e la stima abbatte la barriera della minaccia e della rivendicazione». 

Le modalità di questo reciproco riconoscimento sono ricostruite in maniera molto credibile da Ferrero nel suo Francesco e il Sultano, nel quale la vicenda del Poverello finisce di fatto per riassumersi nelle giornate di Damietta. Centrale, in questa prospettiva, è l’assimilazione del mendicante cristiano due volte Franjis (per i musulmani tutti gli occidentali erano “francesi” e quindi “franceschi”) ai sufi, i mistici islamici depositari di una lettura sapienziale del Corano. Da loro il Francesco di Ferrero apprende l’orazione dei 99 nomi che alludono al mistero impenetrabile dell’unico Dio, in un’apertura cosmica che troverà compimento nel Cantico delle Creature. Ma nella rivisitazione narrativa di Ferrero anche l’idea di allestire il presepe di Greccio deriva a Francesco dalla memoria di una Betlemme «sfiorata e perduta», con le «greggi che apparivano e sparivano in una nuvola di polvere e di belati». E se i capitoli dedicati al viaggio verso la roccaforte crociata di Acri hanno il piglio incalzante di un romanzo d’avventure (non per niente Ferrero ha dedicato a Emilio Salgari un altro dei suoi libri, Disegnare il vento, del 2011), a risultare straordinariamente avvincenti sono le fasi della disputa teologica alla quale il Sultano partecipa solo saltuariamente, nelle ore di tregua fra una battaglia e l’altra, osservando pensoso quello strano sufi dagli occhi sempre arrossati, così ostinato nel difendere le ragioni della «Triade » cristiana a dispetto dell’intangibilità del Compassionevole. Francesco, da parte sua, preferisce insistere sulla misericordia, sulla semplicità che confonde la scienza del mondo, sulla povertà che vince la cupidigia e ogni altro affanno, compreso quello di desiderare il martirio senza ottenerlo. Francesco sfida il Sultano alla prova del fuoco in uno degli affreschi attribuiti a Giotto nella Basilica Superiore di Assisi (1290-1295)

Disabili più inclusione, via i pregiudizi verso la disabilità

Avvenire

«In questi 28 anni la Chiesa ha avuto un’attenzione particolare alla catechesi delle persone con disabilità e ogni parrocchia si è aperta per mettere in atto dei processi inclusivi. Si sono così avviati nuovi cammini in ogni diocesi. Camminando verso una maggiore e reale inclusione, abbiamo avvertito l’esigenza di ampliare questo sguardo pastorale inclusivo in ogni aspetto di vita della persona disabile. Per questo la Cei ha deciso di avviare un nuovo servizio che rispondesse a tale necessità».

Suor Veronica Amata Donatello (francescana alcantarina) è stata nominata responsabile del Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità nel corso dell’ultimo Consiglio permanente della Cei di fine settembre.

Quali esperienze mette a frutto nel suo nuovo incarico? Ho vissuto sempre accanto alle persone con disabilità sia a livello familiare che lavorativo, in quanto sono Interprete di Lingua dei Segni. Ho conseguito gli studi in ambito teologico e pedagogico-catechetico e questo mi ha fatto crescere professionalmente, umanamente e nella convinzione che l’inclusione sia possibile e occorre impegnarsi tutti (comunità, persone con disabilità, famiglie, realtà associative, etc). Non in modo assistenzialista ma nell’ottica dei diritti alla persona.

Perché la Cei ha avviato questo Servizio? La Cei ha sentito l’urgenza di alimentare e coordinare le ‘disabilità’ in ogni ambito della vita. Occorre allargare questa sensibilità in tutto l’arco della vita, coordinare vari processi, attraverso progetti rivolti alla vita di fede della persona con disabilità, all’accessibilità e alla leggibilità attraverso strumenti e sinergie con le realtà locali, con le Congregazioni, Associazioni, movimenti e Atenei. Quindi il nuovo Servizio intende operare nella continuità di quanto fatto finora, mettendo a frutto esperienze e diffondendo le buone pratiche in atto. Ma anche in discontinuità: allargando il discorso ad altri ambiti della vita, dai centri diurni al ‘dopo di noi’, dalle persone giovani a quelle adulte, agli anziani.

Come è cambiata l’attenzione alle persone con disabilità da parte della Chiesa? In questi anni si è avviato un processo inclusivo di sensibilizzazione con le comunità lavorando sul pregiudizio cognitivo, religioso e comunitario, passando dalla sola presenza alla partecipazione attiva in quanto soggetti. In modo specifico sostenendo la pastorale battesimale, l’iniziazione cristiana e in parte la realtà giovanile. Oggi abbiamo catechisti con disabilità intellettive, sindrome dello spettro autistico e del neurosviluppo in varie comunità. Vi è una maggiore attenzione a una pastorale integrata e a una formazione catechetico-pastorale. Tutto questo si è realizzato con una équipe di esperti del settore da me accompagnata.

Su quali aspetti occorre lavorare? Rimane ancora da approfondire la formazione del clero e dei seminaristi, degli operatori pastorali attraverso il contributo delle Università pontificie nell’ambito antropologico, pedagogico e spirituale. Approfondire la tematica per quanto riguarda la qualità di vita, di fede dell’età adulta e anziana anche nei contesti residenziali. Continuare a lavorare sui plurimi linguaggi e tutto ciò che riguarda l’accessibilità: per le Scritture, per sussidi e per gli ambienti. Utilizzare le nuove tecnologie a sostegno dell’inclusione per ‘fare rete’ e rendere le persone disabili soggetti attivi nell’ordinarietà delle comunità.

Come si inserisce il lavoro di inclusione nel rapporto con la società? Il nostro lavoro cerca di far emergere la cultura dell’inclusione pastorale che è già presente in alcune diocesi e di supportare chi sta iniziando questo processo trasformativo. «Quando la Chiesa evangelizza, sta contaminando la cultura». Come disse papa Francesco nel 2016 al 25° del Settore per la catechesi: o Tutti o Nessuno!

Commento al Vangelo Domenica 6 Ottobre 2019

Servi “inutili” cioè senza secondi fini, che si donano

di Ermes Ronchi – Avvenire

XXVII Domenica
Tempo ordinario Anno C

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Per capire la domanda degli apostoli: “accresci in noi la fede”, dobbiamo riandare alla vertiginosa proposta di Gesù un versetto prima: se tuo fratello commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte al giorno ritornerà a te dicendo: “sono pentito”, tu gli perdonerai. Sembra una missione impossibile, ma notiamo le parole esatte. Se tuo fratello torna e dice: sono pentito, non semplicemente: “scusa, mi dispiace” (troppo comodo!) ma: “mi converto, cambio modo di fare”, allora tu gli darai fiducia, gli darai credito, un credito immeritato come fa Dio con te; tu crederai nel suo futuro. Questo è il perdono, che non guarda a ieri ma al domani; che non libera il passato, libera il futuro della persona.
Gli apostoli tentennano, temono di non farcela, e allora: “Signore, aumenta la nostra fede”. Accresci, aggiungi fede. È così poca! Preghiera che Gesù non esaudisce, perché la fede non è un “dono” che arriva da fuori, è la mia risposta ai doni di Dio, al suo corteggiamento mite e disarmato. 
«Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “sradicati e vai a piantarti nel mare” ed esso vi obbedirebbe». L’arte di Gesù, il perfetto comunicatore, la potenza e la bellezza della sua immaginazione: alberi che obbediscono, il più piccolo tra i semi accostato alla visione grandiosa di gelsi che volano sul mare!
Ne basta poca di fede, anzi pochissima, meno di un granello di senape. Efficace il poeta Jan Twardowski: «anche il più gran santo/ è trasportato come un fuscello/ dalla formica della fede».
Tutti abbiamo visto alberi volare e gelsi ubbidire, e questo non per miracoli spettacolari – neanche Gesù ha mai sradicato piante o fatto danzare i colli di Galilea – ma per il prodigio di persone capaci di un amore che non si arrende. Ed erano genitori feriti, missionari coraggiosi, giovani volontari felici e inermi.
La seconda parte del vangelo immagina una scena tra padrone e servi, chiusa da tre parole spiazzanti: quando avete fatto tutto dite “siamo servi inutili”. 
Guardo nel vocabolario e vedo che inutile significa che non serve a niente, che non produce, inefficace. Ma non è questo il senso nella lingua di Gesù: non sono né incapaci né improduttivi quei servi che arano, pascolano, preparano da mangiare. E mai è dichiarato inutile il servizio. Significa: siamo servi senza pretese, senza rivendicazioni, senza secondi fini. E ci chiama ad osare la vita, a scegliere, in un mondo che parla il linguaggio del profitto, di parlare la lingua del dono; in un mondo che percorre la strada della guerra, di prendere la mulattiera della pace. Dove il servizio non è inutile, ma è ben più vero dei suoi risultati: è il nostro modo di sradicare alberi e farli volare.
(Letture: Abacuc 1,2-3;2,2-4; Salmo 94; 2 Timòteo 1,6-8.13-14; Luca 17, 5-10).

Pastorale e Nuova Evangelizzazione un lavoro da cercatori

Un semplice episodio, nella frenesia del quotidiano, per scoprire l’importanza di essere attenti ai piccoli segni.

vinonuovo.it

Da quando la zia suora è stata trasferita a Milano, ogni tanto vado a trovarla. I miei tempi, però, sono sempre più stretti e stavolta sono arrivata davvero all’ultimo. Lei mi aspetta alla stazione centrale e ci avviamo con passo svelto verso la metropolitana, faremo tardi per la cena… 

Al cancelletto mi si incastra il biglietto e mi attardo un poco, resto due o tre passi dietro di lei. Mi affianca una coppia di giovani, penso fratello e sorella perché si assomigliano molto. Lui è ancora un ragazzo, lei avrà circa ventidue, ventitre anni, è vestita total black, il trucco pesante, numerosi tatuaggi e piercing. Mi passano davanti, vedono la zia che mi precede con la sua veste nera e il velo, e la giovane si fa un ampio segno di croce. Poi superano anche lei e spariscono.
Questione di un attimo, forse solo io tra la folla ho potuto cogliere il gesto, che mi stupisce molto. L’aspetto non era certo quello di una ragazza abituata a frequentare gli ambienti ecclesiali. Di cosa si è trattato? Di un segno di rispetto? O di superstizione, scaramanzia?

Ok, magari mi sbaglio, ma di certo ho sentito risuonare l’eco di un’educazione cattolica ormai lontana, ma non del tutto sopita.
E mi sono chiesta: sappiamo intercettare queste sensibilità? La nostra pastorale è attenta a questi piccoli segni, che vanno controcorrente rispetto a tante analisi pessimistiche? Sì, controcorrente, perché dicono di un sostrato ancora presente, a cui forse sarebbe possibile attingere per quel cammino di nuova evangelizzazione di cui si avverte sempre più chiaramente l’urgenza e che oggi, oltre che come compito di seminatori, ho visto delinearsi come lavoro da cercatori.

S. Francesco 4 ottobre il mondo è mio fratello

vinonuovo.it

C’è una ragione “cristiana” per essere ambientalisti? Nel giorno di san Francesco, il più puro seguace del Vangelo, fa bene ricordare che il suo Cantico ha indicato la strada giusta.

E’ addirittura “biblico” il pregiudizio attraverso il quale la Chiesa ha troppo spesso guardato alla natura: quel “riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente» di Genesi che ha dato fondamento a una teologia non solo nettamente antropocentrica, ma – diremmo – antropo-esclusiva. E non bastano le pur numerose esperienze di buona convivenza e tutela del creato, allineate nella storia della Chiesa (dal monachesimo che risanò le campagne, al francescanesimo del cantico), per far dimenticare che la teoria cattolica ha sdoganato per secoli la relazione tra uomo e natura come rapporto o scontro di potere.
Ma c’è una differenza fondamentale: fino a poco più di un secolo fa, fino alla rivoluzione industriale affermata, la “natura” era dominante e – dunque – doveva essere vinta, imbrigliata, domata perché l’uomo potesse garantirsi (se non la sopravvivenza stessa) almeno una qualità di vita più accettabile; oggi invece, e ormai da decenni, essa è diventata minoranza rispetto alla schiacciante superiorità dei mezzi tecnico-scientifici e – come tutte le minoranze – deve pertanto essere tutelata, difesa, salvata.
Un cambiamento culturale di cui anche la teologia e ora (grazie a Laudato si’) la divulgazione pastorale cominciano a prendere atto. Ma – a dispetto delle aggressive proteste dei tradizionalisti, per i quali la “svolta verde” della Chiesa sarebbe un ritorno eretico al paganesimo panteista o almeno un cedimento in senso “materialistico” del fine eminentemente spirituale del cristianesimo – non si tratta a mio parere di rinnegamento del vero antropocentrismo, quanto del tentativo per riequilibrare in senso evangelico il rapporto con il creato e sottrarsi all’interpratazione della natura come puro “strumento” nelle mani dell’uomo.
Non è un caso che Papa Francesco abbia intitolato la sua enciclica con l’incipit del Cantico delle Creature. A ben guardare, infatti, quel testo – composto da un santo la cui esemplarità cristiana è indiscutibile, sia “da destra” che “da sinistra” – è la reiterata definizione degli esseri (animati e no) come “fratelli” e “sorelle”. Non sudditi, sottoposti, oggetti, servitori e così via. No: “fratelli”, come “fratelli” per il Vangelo sono i nostri pari in umanità. Il creato è nostro “prossimo”: ecco, a parer mio, la novità, il punto di vista diverso dal quale dobbiamo cominciare a guardare la natura.
Non si tratta dunque di puro ambientalismo, di sola preoccupazione di “sostenibilità”, di responsabilità ecologica – come, e giustamente, viene sempre più richiesto in ambito laico. Il cristiano può fare un passo oltre Greta e recuperare una spiritualità del creato che colloca l’uomo (unico e centrale, certo, ma nello stesso tempo infinitamente piccolo), all’interno di un cosmo di cui ci sfugge il mistero, il fine, ma che esiste in sé e non solo a nostro uso e consumo. Il cosmo che “Dio vide che era cosa buona”: tutto, mica soltanto l’uomo! 
Questa è la ragione “cristiana” per cui non possiamo non dirci ambientalisti: il mondo è nostro prossimo, nostro fratello.

Le 217 domande di Gesù

Settimana News

di: Roberto Mela

«A dare risposte sono capaci tutti, ma a porre le vere domande ci vuole un genio» (Oscar Wilde). E Gesù un genio lo era. E ha posto domande vere, tante.

Ludwig Monti, quarantacinquenne forlivese, monaco di Bose, ne ha individuate ben 217, presenti in 136 brani, rivolte ai discepoli (111), agli uomini religiosi (51), alla folla (20), a persone malate (9), ad altri (25), a Dio (1).

L’elenco completo delle domande si trova alle pp. 251-262.

Le domande di Gesù

Senza analizzarle tutte, le ha suddivise secondo i vangeli sinottici, lasciando forzatamente da parte l’evangelista Giovanni (solo una domanda). Nel caso le domande riguardassero un tema molto simile, Monti le ha raggruppate in un “grappolo”, da poter esaminare in modo complessivo. L’autore riporta le domande, con un brano più o meno lungo che le contestualizzi brevemente. Il commento è sobrio, due o tre pagine per domanda. Le domande sono stampate in grassetto.

A partire da un precedente lavoro dedicato alle “parole dure” di Gesù, Monti commenta i testi biblici entro i quali compaiono le varie domande, fornendo in tal modo al lettore un prezioso commentario sintetico a una parte importante degli scritti evangelici.

Le traduzioni dei testi biblici ed extrabiblici, nelle svariate lingue di provenienza, sono sempre curate personalmente dall’autore.

Le spiegazioni di Monti mi trovano pressoché sempre d’accordo, tranne l’interpretazione del regno di Dio supposto «dentro di voi».

Nella vita sono importanti le risposte, ma ancor di più le domande, se ben poste. Avanzando delle domande, Gesù illumina l’animo degli ascoltatori, amplia i loro orizzonti mentali e spirituali, raddrizza sentieri sbagliati di pensiero, pone spesso una controdomanda che spiazza l’interlocutore e lo costringe a rivolgere lo sguardo su se stesso, sul proprio desiderio, sulla propria ricerca del senso del vivere…

Per parlare del regno di Dio o di altre realtà profonde, Gesù usa immagini concrete tratte dalla vita quotidiana (p. 76), direi anzi di più, impiega delle storie fittizie (parabole) che costringono a pensare e a rispondere, per poi applicare la risposta personale data alla propria vita concreta da vivere.

Le domande poste da Gesù intercettano il campo della vita di fede, del volto di Dio, del modo di intendere la Legge, su come porsi di fronte al male, alla malattia e al dolore, agli uomini e alle donne impantanate nel peccato e per questo emarginate… Affascinanti le pagine dedicate da Monti alla “donna peccatrice” che incontra Gesù (pp. 208-218, il commento più lungo del libro).

Profonde sono anche le domande sulla paura da scacciare e sulla fede da coltivare e custodire. Non bisogna aver paura dei dubbi, ma abbandonarsi a chi ci ama e ci sostiene.

Il male (diabolico) che si infiltra nell’animo umano può sfigurare il volto delle persone («come è il tuo nome? Legione!»). Occorre interrogarsi sul nome che portiamo!

Gesù interroga sui pani a disposizione per la condivisione, sulla disposizione al perdono, sull’interpretazione corretta delle sacre Scritture (come leggi?), che devono assolutamente prevalere sulla «tradizione degli uomini». Dalla superficie della vita occorre andare alla radice, prendendo posizione di fronte a Gesù, “spada” di divisione, disporsi a farsi prossimo, sapendo discernere i tempi e le proposte che vengono dagli uomini.

Gesù interroga inoltre sulla necessitas passionis (il dei del piano del Padre che passa attraverso la violenza degli uomini), spendendo parole forti contro l’interpretazione giuridica, forense e sostituzionista della passione e morte di Gesù “per” gli uomini, spinta fino a fornire un’immagine sadica del Padre.

I vari brani evangelici presi in considerazione come contesto delle domande, offrono lo spunto a Monti di commentare con profondità (e talvolta con vera originalità) il senso complessivo del brano e la risposta esplicita e implicita presente nelle parole di Gesù (di domanda e di risposta).

Piace molto a chi scrive l’attaccamento di Monti al gusto della vita concreta, alla «fedeltà alla terra» (cf. Bonhöffer), all’anticipare già qui nella vita umana la possibilità di godere della salvezza cioè – dice l’autore –, la vita pienamente umanizzata), dell’anticipare in un autogiudizio intramondano quello che si pensa essere il giudizio ultimo. Lo sforzo dell’autore è sempre quello di riportare le domande poste da Gesù alla concretezza della vita personale del lettore, incitando a rispondervi e a mettersi in un cammino liberato, custodito, amato da Gesù.

«Che cosa vuoi che io faccia per te?», è domanda fondamentale rivolta a ciascun lettore di tutti i tempi, affinché interroghi la propria esistenza e la verità del proprio desiderio, per andare da Gesù e trovare vita.

In conclusione, la domanda fondamentale è posta all’inizio e alla fine del Vangelo di Giovanni (l’unica commentata da Monti): «Che cosa cercate?». Il cammino della fede porterà a interrogarsi su «Chi cercate?». «Difficilmente si cerca Gesù per Gesù/Vix queritur Jesus propter Jesum», annota s. Agostino. La risposta a questa domanda è però quella decisiva. Il cammino di tutta la vita sta qui: «Dove, cercare, dimorare, venire, vedere, piangere» (p. 257).

A p. 245 r -3 leggasi «Se uno viene a me e non odia suo padre…».

La breve bibliografia sulle domande di Gesù si trova alle pp. 283-284, chiudendo un libro davvero appassionante e utile per la comprensione di testi evangelici fondamentali. Si ricordi sempre che «L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo» (s. Girolamo).

LUDWIG MONTI, Le domande di Gesù. Prefazione di Enzo Bianchi, Edizioni San Paolo, Cinisello B. (MI) 2019, pp. 288, € 19,00, ISBN 9788892219588.