Il salmo di Giona in mare

Pregare dal ventre di un mostro marino

Come Pinocchio? “Giona e la balena”: era tutto qui l’interesse per il libretto di Giona, fino a qualche decennio fa. Ora non più, per vari motivi. A parte che il libro biblico non dà nemmeno un nome al grosso pesce, altrove chiamato Leviatàn e immaginato forse come un enorme coccodrillo affamato di naufraghi, simbolo del mare ostile ai naviganti. Ma quel libretto è innanzitutto un capolavoro di fine ironia e di profonda teologia, più unico che raro nella Bibbia e negli scaffali di tutte le biblioteche. Riassumiamone il tracciato, come appare anche nell’ultima versione della CEI.

Del tutto sconosciuto altrove il profeta Giona, a parte un accenno insignificante a un «Giona figlio di Amittai» in 2Re 14,25; ignota altrove nell’AT la sua vicenda di profeta inviato da Dio ad annunciare rovina alla città assira di Ninive, crudele peccatrice e odiata dagli ebrei; ma quel profeta teme che quella città si converta ed eviti il castigo divino, perciò fugge per nave verso occidente invece che verso nord; ma la nave subisce una terribile tempesta che spaventa i marinai, mentre Giona si dà al sonno del disinteressato; quei marinai, idolatri, saputa quella sua disobbedienza diventata causa della tempesta, pregano il Dio di Giona e si oppongono alla richiesta del passeggero di gettarlo in mare per salvare se stessi: insomma quei marinai pagani fanno una bellissima figura, ma alla fine ascoltano Giona e lo buttano in mare; qui un grosso pesce ingoia il profeta e gli permette di scampare da morte tre giorni e tre notti.

 Giona e il suo Salmo

Nel turbine di paurosa morte, Giona prega con un Salmo e invoca di essere liberato da inferi, abisso, cuore del mare, correnti, flutti e onde, alghe, fossa: nessuna parola sul mostro marino! Evidentemente questo era solo un’immagine poetica del mare in tempesta. Liberato dalla tempesta marina per poter tornare al tempio di Dio, per offrire un sacrificio di lode, adempiere a un voto, e proclamare a tutti che quelli che servono idoli falsi abbandonano il loro amore vero.

La preghiera al Dio vero ottiene che il Signore parlò al pesce ed esso rigettò Giona sulla spiaggia (cap. 2). Ma sottinteso: Adesso che, invocato, ti ho salvato, ora “Alzati e va’ a Ninive la grande città e annuncia loro quanto ti dico”, perché – come appare dalla fine del cap. 4 – anche la pagana Ninive è una mia creatura. Come un cane bastonato il profeta va e annuncia.

Suo malgrado, Ninive si converte, tutta e improvvisamente, dal re ai bambini e anche agli animali (cf. invece la predicazione di Geremia a re e a gente del suo popolo inascoltata). Giona ne è desolato, anche perché privato del conforto del ricino che gli dava ombra. Il rimprovero di Dio è luminoso: Tu hai pietà per quel ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che non hai fatto spuntare… Io invece non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città anch’essa mia creatura per la quale ho faticato? In essa ci sono pure tanti bambini e tanti animali, che mi interessano… E tu, mio profeta, capisci e credi a questa mia Parola? La risposta non sta scritta: la deve dare il lettore, con l’autore della mirabile novella.

Autore e storicità

Chi può avere prodotto sia il Salmo sia il suo stupendo complesso? Ignoto a noi. Certo era un ebreo di grande fede nel suo Dio e abilissimo poeta. Su quale base ha inventato il racconto? Forse su qualche episodio significativo ma ignoto anch’esso (certo è impensabile anche una conversione come quella di Ninive), o su un naufragio scampato di qualche profeta disubbidiente (il Giona figlio di Amittai?).

L’autore è un ebreo credente, vissuto dopo l’esilio a Babilonia (586-538) e durante la restaurazione della “nazione santa”, ma critico con il suo popolo duro a convertirsi, ma anche con la linea di un’ortodossia religiosa esclusivista e nazionalistico-razziale (cf. Is 56). Per questa critica egli è ricorso anche a una finissima ironia e a immagini poetiche e fantasiose assai eloquenti per il suo contesto… e per sempre.

La successiva fortuna di Giona non dipende solo da Pinocchio, anzi innanzitutto dai richiami che ne ebbe nei Vangeli sinottici. In Mt 12, 38-41 e in Lc 11,29-30 leggiamo che Gesù avrebbe offerto alla sua gente un segno come la risuscitazione di Giona «dopo tre giorni e tre notti dal ventre del pesce», cui era seguita la conversione di Ninive. Sembra quindi che Gesù non avesse dubbi o problemi sulla storicità di quei due ricordi, anche perché gli interessava altro: lui era più di Giona.

Infatti, durante una tempesta sul mare di Genezaret, lui “dorme” e, risvegliato-risuscitato dai suoi impauriti marinai, domina su vento e mare, senza bisogno di invocare Dio! (Mt 8,23-27; Mc 4,35- 41; Lc 8,22-26).

Giona e le religioni

L’autore di Giona voleva un ebraismo più aperto anche ad altri uomini religiosi. In ciò era in linea, per esempio, con Is 2 e più ancora con il cap. 24 del Siracide. Questo libro, composto intorno al 200-150 a.C., è molto giudaico, eppure afferma che la Sapienza/Parola di Dio, pur presente in modo eccellente in Israele, è però diffusa dappertutto: nelle creature celesti e terrestri (cf. Gen 1) e «su ogni popolo e nazione ha preso dominio». Come dire che anche fuori di Israele si potevano trovare segni della Sapienza o Parola di Dio.

Ciò trova conferma nel prologo di Giovanni: «Il Verbo-parola di Dio sta all’origine di tutte le creature e illumina ogni uomo», benché abbia come sede privilegiata la storia di Israele e più ancora la «carne» dell’ebreo Gesù di Nazaret. Eloquente anche Col 1, 15-17: «tutto fu creato in, per mezzo di e in vista di Cristo».

Antichi Padri e scrittori cristiani parlavano di “semi del Verbo” diffusi dappertutto, con una visione del creato e della storia umana molto più positiva di quella poi prevalsa anche nelle Chiese. Oggi, specialmente dopo il Vaticano II e insieme a teologi come Teilhard de Chardin, ricuperiamo quella visione, che abbiamo intravvisto già nel libro di Giona. Cristo è la vera via-verità-vita, ma illumina, guida, giudica e ama ogni sua creatura, per tutti diede anche il sangue e lo Spirito.

Conseguenze: come guardare alla nostra storia umana, con tutte le sue luci e ombre? con tutti i suoi incerti passi? Come considerare il pluralismo religioso e il suo dialogo pur faticoso? In che senso parlare della “missione alle genti” e come pensarla?… Problemi in parte nuovi, discorsi ormai avviati e in progresso. Sotto la guida anche di papa Francesco (cf. in particolare la sua Evangelii gaudium). In cammino anche con Pinocchio – uno dei libri più tradotti nel mondo – e il suo antico e mirabile… predecessore.

Questi però scrisse anche un bel salmo per tutti i pinocchi della terra, piccoli o grandi che siano, credenti tranquilli o magari in mezzo a ondate e burrasche come lui e tanti di noi. E con il “mio” cuore lo rileggo in umile preghiera.

settimananews

Giovani increduli: la maggioranza silenziosa

Settimana News

I giovani non religiosi non sono ai margini, sono la maggioranza. Non si tratta di una nuova religione, ma di un nuovo soggetto sociale fra le religioni e le credenze giovanili. È una delle rivoluzioni silenziose che sta cambiando il panorama delle nostre società occidentali.

Le nuove generazioni hanno un’identità religiosa “altra”, ancora difficilmente definibile. Nella coscienza giovanile confessioni e religioni sono ormai marginali, anche se non in tutte le nazioni. Quelli che le ricerche sociologiche della religione chiamano i nones (da no religion) potrebbero diventare la più forte “religione” in Occidente. La provocazione intellettuale è di Guillame Cuchet (su Études, settembre 2019, pp. 79–92).

La discussione sull’orientamento religioso o non religioso dei giovani è assai vivace anche in Italia. Si possono ricordare i volumi di Armando Matteo (La prima generazione incredula, Rubettino 2009) e di Franco Garelli (Piccoli atei crescono, Mulino 2016).

Quello ipotizzato da Cuchet è il rovesciamento della lettura ancora prevalente: i non-religiosi non sono ai margini, sono ormai il centro. Da settore periferico sono diventati la coscienza comune delle generazioni giovanili dell’Occidente. Ciò che è ancora difficile decifrare è l’identità di questo corpo sociale che veleggia fra ateismo, agnosticismo, indifferenza, credenza libera. Se è chiaro l’abbandono della pratica e dell’identità confessionale cristiana, molto meno comprensibile è la “pasta” di cui i nones si alimentano.

Da decifrare

Si possono identificare alcune radici nelle tradizioni storiche attive in Europa dalla fine dell’800, come i liberi pensatori, i positivisti o gli spiritualisti non cristiani. Diversamente dagli USA in cui la frattura sarebbe più netta.

Si possono anche porre dei dubbi sull’affidabilità delle ricerche. Il Pew Research Center parla, ad esempio, di una permanenza religiosa in Europa per il 71% degli abitanti. Si può sottolineare la diversità di appartenenza che emerge dalle inchieste fra i giovani musulmani europei. Il loro consenso alla fede ha caratteristiche assai diverse da quello dei cristiani.

Rimangono tuttavia i dati che certificano un addio alla religione dei padri o dei nonni. Negli USA i nones sono il 21%, in Europa il 54%. E, all’interno del continente europeo, sono il 70% nel Regno Unito, il 64% in Francia, il 75% in Svezia, l’80% in Estonia, il 91 % in Cechia. Molto meno in Polonia, il 17%. Essi sembrano confermare l’ex-culturazione del cristianesimo. Si giovano della crescente fluidità delle identità personali (sessuali, politiche, culturali) e della psicologizzazione massiccia delle mentalità, come delle nuove forme di ascesi (alimentari, sportive o neo-orientali).

In tale contesto va collocata l’emergenza della presenza musulmana. Se, dal punto di vista della pratica e del consenso, è ormai la seconda religione dei giovani europei, non sembra tuttavia in grado di risultare suggestiva o di riferimento per la grande maggioranza.

Nella vasta area dei non religiosi (nones) emerge una disponibilità ad aprirsi ad un’altra storia. La domanda di senso e di spiritualità che li attraversa difficilmente potrà accontentarsi di una posizione critica alla tradizione. La semplice rottura non è indefinitivamente trasmissibile. Ed è su questo fronte che è possibile aprire i tesori della tradizione cristiana, rendendoli comprensibili in un contesto “non religioso”.

Cuchet chiude il suo saggio identificando nei nones tre aree prevalenti.

La prima è quella dei secolarizzati. Atei e agnostici cresceranno e difficilmente entreranno in dialogo con il cristianesimo.

La seconda è quella transizionale: quanti cioè non fanno della loro area non credente il punto di arrivo.

Infine, gli spiritualisti che, pur estranei a un credo e alle istituzioni ecclesiali, hanno una forte domanda di interiorità e una spiccata ricerca di senso.

Preti sposati documento della Congregazione Clero del Vaticano: aperta la possibilità che i preti dispensati possano riprendere l’esercizio del ministero e, naturalmente, insegnare religione

La Congregazione del clero ha recentemente introdotto alcuni cambiamenti sostanziali nel rescritto per ottenere la dispensa dallo stato clericale. I preti che lasciano il ministero potranno, ad esempio, servire le loro comunità e insegnare nei collegi e nelle università della Chiesa. L’articolo di José Manuel Vidal è stato pubblicato lo scorso 23 settembre 2019 sul sito Religión Digital. Traduzione italiana a cura di Lorenzo Tommaselli.

Da «traditori», quasi appestati ed esiliati a fratelli dispensati.  Cambiamento assoluto e radicale nella procedura che devono seguire i preti che lasciano il ministero e richiedono la dispensa. Cambiamento nel tono e nella sostanza del documento, tecnicamente chiamato «rescritto». Era uno degli argomenti in sospeso di papa Francesco, che solo pochi mesi fa ha appena approvato tramite la Congregazione del clero, presieduta dal cardinale Stella.

Questo cambiamento sostanziale o svolta totale nella procedura per ottenere la dispensa dal celibato e dall’esercizio del ministero sembra essere parte di un movimento più ampio, che contempla l’ordinazione di uomini sposati e la possibilità che i preti dispensati possano riprendere l’esercizio del ministero e, naturalmente, insegnare religione e teologia nei collegi e nelle facoltà ecclesiastiche.

Il primo cambiamento sostanziale è quello del linguaggio utilizzato dal nuovo rescritto. Non si parla più di «secolarizzazione» del prete o della sua «riduzione allo stato laicale» (che comprendeva una chiara sottovalutazione del laicato), ma di «dispensare» o «chierico dispensato».

Diamo un’occhiata ad alcuni di questi cambiamenti fondamentali. Se al prete che lasciava il ministero prima non era permesso neanche continuare ad essere in contatto con la sua parrocchia, ora si chiede che gli si faciliti lo svolgimento di «servizi utili» alla comunità. In particolare, il numero 5 del rescritto recita come segue: «L’Autorità ecclesiastica si adopererà per facilitare che il chierico dispensato svolga servizi utili alla comunità cristiana, mettendo al suo servizio i propri doni e i talenti ricevuti da Dio» (n. 5).

Inoltre, il numero 6 aggiunge che «il chierico dispensato sia accolto dalla comunità ecclesiale in cui risiede, per continuare il suo cammino, fedele ai doveri della vocazione battesimale» (n. 6). Si elimina quindi alla radice il riferimento precedente all’«esilio» del prete, che recitava come segue: «Il prete dispensato dal celibato e a maggior ragione il prete che si è sposato deve stare lontano dal luogo o territorio in cui è conosciuto il suo stato precedente» (n. 5f).

Si è anche totalmente eliminato l’obbligo prescritto dal precedente rescritto di imporre una penitenza al prete dispensato, perché si presupponeva che avesse commesso un peccato e avesse violato i suoi obblighi. Per questo stabiliva: «Verrà imposto all’interessato una qualche opera di carità o di pietà».

D’altra parte, se il prete che chiedeva la dispensa voleva sposarsi (cosa abituale nella maggior parte dei casi), il precedente rescritto prescriveva che «l’ordinario deve prestare la massima attenzione affinché la sua celebrazione venga effettuata con discrezione, senza pompa o sfarzo» (n. 4). Cioè, nascondendo il sacramento del matrimonio del prete alla comunità. Come se ricevere un simile sacramento fosse, in questo caso e solo in questo, una vergogna o, peggio ancora, uno scandalo per i fedeli. Ora invece si dice solo che si celebri il matrimonio «rispettando la sensibilità dei fedeli del luogo» (n. 4).

Oltre ai cambiamenti di linguaggio, di tono e di normativa, il nuovo decreto scende ancora di più nel pratico e consente ai preti dispensati di poter continuare ad essere pastoralmente attivi. Infatti, il precedente rescritto prevedeva quanto segue: «Il prete dispensato è escluso dall’esercizio dell’ordine sacro… e non può fare omelie o ricoprire alcun incarico di direzione nell’ambito pastorale, né gli si potrà conferire alcuna responsabilità nell’amministrazione parrocchiale» (n. 5b) e «non può esercitare in nessun luogo la funzione di lettore, di accolito, o distribuire o essere ministro straordinario dell’eucaristia» (n. 5f). Sebbene contemplasse la possibilità che l’Ordinario della diocesi potesse derogare ad alcune o anche a tutte queste clausole (n. 6).

Il nuovo rescritto proclama: «Il chierico dispensato può esercitare gli uffici ecclesiastici che non richiedono l’ordine sacro, con il permesso del vescovo competente» (n. 5a).

C’è anche un cambiamento sostanziale nelle funzioni che un prete secolarizzato può svolgere in istituti dipendenti o meno dall’autorità ecclesiastica. Il rescritto precedente diceva che «non può svolgere l’incarico di direttore in istituti di studi superiori che in qualche modo dipendano dall’autorità ecclesiastica» (n. 5c), senza eccezioni. Ora, «tale proibizione può essere rimessa dalla Congregazione del clero, su richiesta del vescovo competente e dopo aver consultato la Congregazione per l’educazione cattolica» (n. 8).

Inoltre, il rescritto precedente diceva che «negli istituti di studi superiori, dipendenti o meno dall’autorità ecclesiastica, non può insegnare nessuna disciplina teologica o con essa strettamente connessa» (n. 5d), senza eccezioni. Ora «tale divieto potrà essere rimosso dalla Congregazione per il clero, su richiesta del vescovo competente e dopo aver consultato la Congregazione per l’educazione cattolica».

Il rescritto precedente diceva che «negli istituti di studi inferiori dipendenti dall’autorità ecclesiastica non può esercitare un compito direttivo o di insegnamento di discipline teologiche. Il prete dispensato è tenuto dalla stessa norma per quanto riguarda l’insegnamento della religione negli istituti similari non dipendenti dall’autorità ecclesiastica» (n. 5e), sebbene contemplava il fatto che l’Ordinario della diocesi potesse derogare a questa specifica clausola (n. 6).

Nell’attuale rescritto si dice semplicemente che può farlo, «considerando le circostanze concrete, secondo la prudente valutazione del Vescovo competente» (n. 7).

Il rescritto precedente diceva che «non può svolgere alcuna funzione in seminari o istituti equivalenti» (n. 5c); ora si parla solo del fatto che «non può svolgere funzioni formative» (n. 10).

Inoltre, se di questo essere dispensato da alcuni dei punti prima si diceva che «dovrà essere concesso e comunicato per iscritto» (n. 7), ora nulla viene esplicitamente detto al riguardo, sebbene si faccia capire che dovrebbe essere così. Inoltre, è stato espressamente aggiunto l’obbligo del prete dispensato di confessare il penitente in pericolo di morte (5b).

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