Incoraggiamento del Papa agli organizzatori della comunità di Bose. Convincenti testimoni del Vangelo

Un incoraggiamento «ad approfondire i tesori spirituali che accomunano cattolici e ortodossi, per essere convincenti testimoni del Vangelo della vita e donare speranza all’umanità in ricerca di risposte autentiche» è stato rivolto da Papa Francesco agli organizzatori e ai partecipanti al ventisettesimo Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa che si è aperto a Bose la mattina di mercoledì 4 settembre con la prolusione del fondatore della comunità, di cui pubblichiamo ampi stralci. L’incoraggiamento è contenuto in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, attraverso il quale il Santo Padre «assicura un orante ricordo ed invia la benedizione apostolica».
All’appuntamento, che si concluderà venerdì 6 settembre, sul tema «Chiamati alla vita in Cristo», prendono parte numerose delegazioni delle Chiese cristiane le cui relazioni offrono un’importante occasione di riflessione sulle scelte fondamentali dell’esistenza. Numerosi anche i messaggi e gli attestati di stima inviati agli organizzatori. «Il tema della “Vita in Cristo” — scrive il patriarca ecumenico Bartolomeo — è, davvero, di centrale importanza nella spiritualità ortodossa. Poiché spiritualità significa vita nello Spirito santo, donatoci da Cristo nei sacramenti, un’esperienza genuina della spiritualità è dunque vissuta nel seno della Chiesa. Per questo motivo — continua Bartolomeo — dobbiamo essere in comunione con la Chiesa e lavorare per l’unità dei cristiani ovunque, per essere continuamente nutriti dall’indivisa unità del Corpo di Cristo». Il patriarca ecumenico, inoltre, esprime gratitudine alla comunità monastica di Bose «per i suoi infaticabili sforzi nel promuovere i ricchi tesori della spiritualità ortodossa e per i suoi contributi in vista di coltivare uno spirito ecumenico».
Anche Hilarion, metropolita di Volokolamsk e presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del patriarcato di Mosca, nel suo messaggio sottolinea la necessità di unire gli sforzi di cattolici e ortodossi nell’annuncio del Vangelo della salvezza. «L’appello al rinnovamento della vita del mondo in Cristo Gesù — scrive — non perde mai la sua attualità, ma in alcuni periodi storici diventa particolarmente necessario. A questi tempi appartiene anche il nostro: tempo delle divisioni tra i cristiani, dei conflitti tra le nazioni, dell’acuta ingiustizia sociale e della crisi ecologica globale».
Sull’importanza dell’unità dei cristiani si è soffermato il primate della Comunione anglicana e arcivescovo di Canterbury, Justin Welby. «Se siamo uniti nella nostra professione di fede nel Signore Gesù Cristo — si legge nel testo inviato agli organizzatori — allora egli ci chiama a essere pellegrini insieme, per imparare l’uno dall’altro e per cercare insieme di crescere nella santità e nel servizio al mondo». Mentre il patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente, Youhanna x, sottolinea nel suo messaggio quanto sia importante la fede in Cristo: «Quanto più la fede di un credente è forte e la sua imitazione dell’esempio dell’amore di Cristo è radicale, tanto più la sua risposta alla chiamata di Dio sarà profonda a tal punto da produrre cambiamenti radicali nelle priorità di scelta, nei modi di vita e di interagire con il prossimo».
Il segretario generale del World Council of Churches (Wcc), Olav Fykse Tveit, ha messo in evidenza il contributo ecumenico offerto dalla comunità di Bose. «Il monastero permane come una vera fiaccola ecumenica con il suo impegno e i suoi contributi, come evidenziano le forti relazioni e amicizie della comunità con il Wcc e i suoi membri. La spiritualità ortodossa sperimentata e vissuta in questo monastero — conclude Tveit — non può essere separata dalla sua condivisione continua al di là dei muri e delle frontiere confessionali. La vita è comunione: comunione con gli altri e con Dio».
L’Osservatore Romano, 4-5 settembre 2019

Madagascar: il profumo di una fede fresca e vigorosa

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Fedeli del Madagascar

La visita di Papa Francesco in Madagascar, dal 6 al 10 settembre, è attesa con entusiasmo dai cattolici, il 35% della popolazione, ma anche da appartenenti ad altre confessioni e fedi religiose.Monsignore Rosario Vella, salesiano, vescovo di Moramanga, al nord dell’isola, racconta il clima che si sta respirando in attesa del Pontefice:

Una Chiesa accanto alla gente

R. – Dappertutto c’è un grande entusiasmo, una grande gioia. Tutte le persone stanno aspettando questa visita come un momento di grazia perché nella mentalità malgascia la benedizione che viene da colui che ha un contatto particolare con il Signore, con Dio Creatore, anche se magari lo conoscono in altre forme, è una cosa straordinaria. Quindi tutti stanno aspettando questo momento. Fervono quindi le iniziative; ad esempio dalla mia diocesi, nonostante la povertà e la distanza, tremila persone partiranno per andare ad Antananarivo per la veglia e la Santa Messa insieme al Papa.

Quali sono i suoi auspici? Cosa vi aspettate per il Paese?

R. -Noi pensiamo che la visita del Papa porterà la pace, che non è solo assenza di conflitto, ma è anche giustizia e soprattutto pace interiore, pace con coloro che ci sono accanto, pace per riprendere un nuovo contatto con Dio. E poi speranza, perché il Madagascar in questo momento vive una situazione difficile: la povertà aumenta tantissimo. Il solco tra i ricchi – perché ci sono ricchi che approfittano un po’ del popolo – e i poveri è larghissimo. Un’altra cosa che purtroppo aumenta – ed è un vero cancro – è la corruzione, a tutti i livelli. E’ tale per cui anche chi vorrebbe avere giustizia non può ottenerla, proprio perché altri sono pagati per avere altro.

La Chiesa locale come si sta adoperando per fronteggiare questi mali della società malgascia?

R. – Da sempre la Chiesa è stata da una parte un po’ la coscienza critica per i politici o per chi ha una responsabilità per la società; nel contempo cerca di essere vicina alla gente, con grande umiltà. Ad esempio, abbiamo tantissime scuole dove insegniamo; i preti, le suore, le famiglie religiose cercano di stare insieme alla gente. Abbiamo dei dispensari, anche dei piccoli ospedali, facciamo progetti agricoli, ci occupiamo degli anziani, di disabili, ciechi, di tutti coloro che hanno bisogno. Cerchiamo di farlo prima di tutto perché è un nostro dovere e poi perché vediamo che è questa l’urgenza concreta e il popolo si accorge che noi veniamo loro incontro in queste necessità. Noi siamo l’unico baluardo a cui la gente si rivolge quando ha bisogno di qualcosa.

Che tipo di rapporto c’è con le altre religioni?

R. – C’è una pacifica convivenza e una discreta collaborazione, ma bisogna fare ancora tanti passi avanti affinché questa collaborazione sia più fattiva e possa dare anche tanti altri frutti. Facciamo le preghiere insieme, ci raduniamo; quando c’è un lutto vengono sia i cattolici sia i protestanti o persone appartenenti ad altre Chiese; quando c’è una gioia ci invitiamo reciprocamente per condividerla. Ad esempio, anche per la venuta del Papa, nella stessa macchina, nello stesso pulmino nel quale viaggeremo ci saranno tante persone di differenti religioni, proprio perché anche loro vogliono ricevere questa benedizione e vogliono ascoltare il messaggio che il Papa porterà.

Cosa è cambiato dall’ultima visita di un Pontefice nel Paese, quella di Giovanni Paolo II trent’anni fa?

R. – La gente sta cercando di prendere sempre più in mano la propria vita dal punto di vista religioso e sociale. Ad esempio, quando Giovanni Paolo II è venuto qui ha insistito molto sui giovani e sui laici. In effetti sono queste due categorie a reggere un po’ tutto qui. Ci sono villaggi in cui la Messa si celebra una volta all’anno o addirittura ogni due! Però c’è il catechista che ogni domenica guida la celebrazione della Parola, porta avanti il catechismo. E anche i giovani si impegnano per dire: ‘Anche noi facciamo parte dell’unica Chiesa e noi, che siamo da una parte il futuro e dall’altra il presente di questa Chiesa, cerchiamo di fare ciò che il Papa ci chiede’. L’ultimo messaggio che il Santo Padre ha inviato durante il Sinodo dei Giovani, Cristo che è vivo, lo abbiamo sentito tanto rivolto ai nostri giovani e mi pare che stiano rispondendo bene.

Il laicato attivo e presente

Nonostante i disagi legati ai trasporti e allo stato delle vie di comunicazione, migliaia di persone da tutto il Madagascar si stanno organizzando per recarsi nella capitale dove sabato sera si terrà la veglia con i giovani alla presenza del Papa nel Campo diocesano di Soamandrakizay, lo stesso luogo dove l’indomani mattina sarà celebrata la Messa presieduta dal Pontefice. Un’area appositamente bonificata e attrezzata, grazie a un lavoro durato cinque mesi e supervisionato direttamente dal Presidente della Repubblica. Un luogo capace di accogliere fino a un milione di persone. Tra i pellegrini verso Antananarivo, don Simone Franceschini, arrivato sull’isola un anno e mezzo fa come sacerdote fidei donum della diocesi di Reggio Emilia. E’ vice parroco a Manakara, a sud est del Paese, così sottolinea il grande coinvolgimento dei laici nella vita ecclesiale:

R. – Nella nostra zona, la fede ha iniziato a diffondersi circa cento anni fa, quindi è una fede ancora molto giovane; è abbastanza fresca e vigorosa e al tempo stesso ha bisogno di radicarsi.

Come vengono vissute le liturgie?

R. – Sempre con il canto, partecipato da tutti. Si sente una partecipazione viva, si avverte maggiormente il senso di corpo, perché si diventa, insieme, una sola voce.

E il resto della vita parrocchiale? Che tipo di coinvolgimento c’è da parte dei laici?

R. – Le attività sono più o meno quelle presenti nelle nostre parrocchie, quindi incentrate un po’ sulla liturgia, sui sacramenti, su catechisti, formazione e carità. Ma è una struttura che coinvolge particolarmente i laici. Ci sono figure – presidente, catechista, presidenti di quartiere, rappresentanti di commissioni – che corresponsabilizzano molto i laici. Spesso non sono i sacerdoti a dover dire: ‘Facciamo questo, facciamo quell’altro’, ma sono proprio loro che invitano, che chiedono di poter fare delle cose. La pastorale è resa vivace da un forte associazionismo. Ci sono gli scout ma anche realtà che non esistono da noi, giovani cristiani agricoltori, soprattutto nelle campagne, la gioventù eucaristica… e altre, le quali hanno il prezioso compito, attraverso il legame più stringente che c’è tra di loro, di far percepire un’appartenenza più forte alla Chiesa, aiutando molto i cristiani a sentirsi uniti e attivi nella vita della parrocchia. Anche nella campagna sono molto responsabili; spesso le chiese là nascono attorno a una o qualche famiglia che chiede ai sacerdoti più vicini di poter costituire una chiesa nuova. Da noi per esempio quest’anno è nata una chiesa nuova nella zona della ‘brousse’, nella campagna. C’era una famiglia che si era insediata lì da alcuni anni, da un po’ di tempo aveva cominciato a pregare in una cappellina che aveva costruito per il vicinato. Il vescovo ha dato loro la possibilità di diventare una vera e propria chiesa; là andiamo a celebrare la Messa circa una volta al mese. Grazie a loro tante persone si sono avvicinate alla fede. Quest’anno faremo una quarantina di battesimi tra giovani, bambini, adulti grazie all’invito di questa famiglia che ama e invita alla preghiera.

Andrete in pellegrinaggio dalla costa fino alla capitale per partecipare alla veglia con Papa Francesco e alla Messa. Con quale state d’animo vi preparate a questo incontro?

R. – In questi mesi preghiamo quotidianamente per la venuta del Papa, l’attesa è veramente molto forte; ogni giorno nella Messa si ricorda questo avvenimento. All’incontro con il Papa parteciperanno circa settanta persone dalla nostra parrocchia. Penso che dal Pontefice ci si aspetti davvero un aiuto per sentirsi Chiesa universale. Siamo su un’isola. È vero che oggi inizia ad arrivare anche qui internet, e quindi una certa consapevolezza che il mondo è grande, ma molta gente sull’isola non si rende ancora conto di dove sia il Madagascar. Ci sono persone che non hanno mai visto il mare. La venuta del Papa qui credo faccia pensare loro che la Chiesa non è semplicemente una cosa di questo Paese, ma che la grandezza della Chiesa cattolica è universale.

Nunzio in Madagascar: l’Africa ha bisogno di pace ‘trasformante’

I preparativi per l'arrivo del Papa in Madagascar

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“La pace è una grande porta verso lo sviluppo”: è questo uno dei temi chiave emersi nel corso del briefing in Sala Stampa vaticana dove stamattina è stato presentato il 31° Viaggio apostolico di Papa Francesco che dal 4 al 10 settembre lo porterà in Mozambico, Madagascar e Mauritius. E’ il comune denominatore che lega le tre tappe. Monsignor Paolo Gualtieri, nunzio apostolico in Madagascar, commenta il motto della visita del Pontefice, “Seminatore di pace e di speranza”, alla luce della realtà ecclesiale, politica e sociale del Paese.

R – Il motto proposto dalla Conferenza dei Vescovi del Madagascar, Papa Francesco “Seminatore di pace e di speranza”, esprime in sintesi quella che è la realtà ecclesiale, politica e sociale della Grande Isola. Si tratta di un Paese dalle grandi potenzialità e la cui popolazione è in gran parte costituita da giovani. Su circa 24 milioni di abitanti il 53% ha meno di 20 anni. Il Santo Padre la sera di sabato 7 settembre presiederà la Veglia con i giovani e certamente inviterà tutti i malgasci, in particolare i giovani, ad andare avanti, a non scoraggiarsi, a percorrere il loro cammino, a non fermarsi ma a guardare al futuro, a non restare seduti sul divano, come ama dire Papa Francesco, a non avere paura, ad impegnarsi, a riscoprire il senso della loro dignità, ad essere i protagonisti del cambiamento della società malgascia, a dare il proprio contributo, a non rassegnarsi, a lottare contro la povertà (com’è noto il Madagascar è tra i 10 Paesi più poveri del mondo), contro la corruzione, contro la criminalità, a essere costruttori di pace, quella pace fatta di impegno, non pace da cimitero, pace trasformante.

Con quale spirito la popolazione si sta preparando all’arrivo del Pontefice?

R – Il Santo Padre Francesco è sentito particolarmente vicino dal popolo malgascio, anche dai non cattolici, per la sua vicinanza ai poveri che esprime continuamente sia nel suo Magistero che nel suo stile. Ricordo ancora che quando ho presentato le Lettere Credenziali come Nunzio al Capo dello Stato, questi mi disse che mi accoglieva con grande gioia perché riceveva l’Ambasciatore di Sua Santità Francesco.  C’è una grande attesa in tutto il Paese. Dovunque la gente mi chiede su come vanno i preparativi, i lavori sul terreno dove il Santo Padre celebrerà la Messa. Alla fine di ogni Messa, in tutte le parrocchie delle 22 diocesi, i distretti, i villaggi, anche quelli più remoti, si recita una Preghiera in preparazione della Visita. I vescovi hanno insistito molto perché la visita del Santo Padre sia un avvenimento spirituale. Inoltre in tutte le diocesi si stanno svolgendo delle catechesi che hanno come tema Gesù Cristo e la Chiesa. Un elemento molto bello che mi piace rilevare è che il Santo Padre è atteso da tutti, non soltanto dai cattolici. Anche le altre Chiese e Comunità cristiane (anglicani, evangelici e calvinisti) e devo dire non solo, anche le Comunità musulmane. Tutti sono interessati alla visita del Pontefice. I responsabili del Consiglio Ecumenico delle Chiese Cristiane sono venuti in Nunziatura a esprimermi il desiderio di voler salutare il Santo Padre, perché mi hanno detto: ‘Papa Francesco non è solo il Papa dei cattolici ma anche il nostro Papa’. I responsabili del Consiglio Ecumenico della Chiese Cristiane, saluteranno il Santo Padre in Cattedrale, dopo l’incontro con i Vescovi. Ed anche i leader delle Comunità musulmane hanno manifestato il desiderio di salutarlo, ed infatti saluterà anche loro. Anzi, dico di più, molti musulmani ci stano aiutando nei preparativi. E’ una cosa davvero edificante.  Il Presidente della Repubblica Andry Rajoelina sta curando anche personalmente la visita, recandosi spesso sul terreno (a pochi minuti dalla sede della Nunziatura) dove il Santo Padre incontrerà i giovani per la Veglia la sera del 7 settembre ed il giorno dopo presiederà la Santa Messa. Durante la Plenaria della Conferenza Episcopale dello scorso mese di maggio, ha voluto visitare il luogo insieme con tutti i Vescovi.

In quale contesto sociale opera la Chiesa locale?

R – La Chiesa cattolica gode nel Paese di grande rispetto, stima ed autorità morale anche da parte dei non cattolici. Il motivo è anche perché la Chiesa in Madagascar è molto impegnata socialmente, in particolare nel settore nel settore dell’educazione (gran parte delle scuole del Paese sono gestite da Congregazioni Religiose, soprattutto femminili), impegnata nel settore della sanità (con cliniche, ospedali, dispensari, centri per i diversamente abili, lebbrosari disseminati in tutto il Madagascar sia nelle città sia nelle campagne e pure nelle zone molto difficili da raggiungere per la mancanza di strade) ed è anche molto impegnata nel settore caritativo (gestisce orfanotrofi, mense gratuite per i poveri, ecc.). I Vescovi, i Sacerdoti, i Religiosi, le Religiose, spesso svolgono il loro ministero in situazioni disagiate: in molte zone la popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, con un alto tasso d’analfabetismo (che raggiunge il 40% degli adulti), con insufficienza d’acqua potabile, con strade non percorribili, in particolare, nel periodo delle piogge, dove l’unico collegamento è rappresentato dalla Radio diocesana o nazionale. In tale contesto, la Chiesa rappresenta un importante fattore di sviluppo della società.  Circa il futuro, la Chiesa da una parte è chiamata a creare le condizioni perché si aprano nella società processi di trasformazione della società e dall’altra ad accompagnare la società malgascia – non esente dall’influenza della globalizzazione – nel suo cambiamento, salvaguardando alcuni valori che la caratterizzano come quello della solidarietà (in malgascio fihavanana), il senso della condivisione, il rispetto delle persone, la cultura ancestrale della reciprocità, aprendo nello stesso tempo processi di autentico sviluppo.

Una peculiarità del programma della tappa malgascia è la preghiera per i lavoratori al centro di Akamasoa (Villaggio dell’Amicizia) gestito da Padre Pedro Opeka, C.M. Ci offre qualche dettaglio?

R – Akamasoa, che significa Villaggio dell’amicizia, gestito da Padre Pedro Opeka, C.M., accoglie circa 23 mila famiglie ed 8.000 bambini poveri. Ha scuole, dispensari e offre posti di lavoro: cava, posa di mattoni, falegnameria, agricoltura, arte e artigianato. 14.000 bambini sono iscritti a scuola. Il Villaggio è stato fondato nel 1989 per aiutare i poveri di Antananarivo che vivevano in una discarica e nelle strade della Capitale. L’associazione mira a far venire fuori le persone fuori da questi luoghi inumani perché vivano una vita dignitosa. Padre Pedro ripete continuamente che la dignità della persona è fortemente legata a tre cose: un tetto, un lavoro e un’educazione, basata sulla preghiera e sulla disciplina.  Akamasoa rappresenta un vero e proprio gioiello di carità della Chiesa in Madagascar. Padre Pedro, deve acquistare ogni settimana tonnellate di riso per sfamare la gente che accoglie ad Akamasoa. Durante l’anno dedica alcuni mesi a viaggiare in Europa e in America Latina, in particolare in Argentina, solo per la raccolta di fondi destinati a questo scopo. La visita che il Santo Padre farà ad Akamasoa e la preghiera con lavoratori della cava di pietra rappresentano un grande ringraziamento al Signore per aver ispirato e suscitato questa grande opera di amore e di carità della Chiesa che è in Madagascar. Sono opere di amore che aiutano a rendere credibile la Chiesa e che mostrano ai bambini il suo volto materno.

Una mamma per gli orfani del Mozambico

 Olinda con l’arcivescovo di Maputo, monsignore Francisco Chimoio

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Inizi degli anni 90. Olinda Mugabe, infermiera di formazione, con lunga esperienza di lavoro in una organizzazione mozambicana di sviluppo e sostegno alla famiglia, si accorge che l’AIDS sta prendendo il sopravvento nel Paese. Ma la gente sembra non reagire a questo flagello, è molto più preoccupata per la guerra civile.  Olinda allora prova a scuoterla. Con alcuni malati crea un’associazione – “Quiquimuca” (Svegliatevi), e li incoraggia a comparire sui media per convincere la gente ad agire.

Raggiunto l’obiettivo, Olinda cerca di fare altro. A colpirla sono i tanti bambini rimasti nel frattempo orfani e di restare indifferente non ne vuole sapere. Chiama alcune sue amiche, che in passato come lei avevano aspirato alla vita religiosa, e insieme creano la “Reencontro”. Oggi questa onlus assiste circa 10 mila orfani di genitori uccisi dall’AIDS nelle Provincie di Maputo e Gaza, nel meridione del Paese, dove l’incidenza della malattia è la più alta del Mozambico: 22,9% e 24,4% (la media nazionale nel 2017 era del 13,2%).

Nuovi parenti per i bambini orfani

Reencontro ha sede nel quartiere Mahotas, periferia sud di Maputo. È intitolata alla Beata Maria da Paixão, fondatrice delle Francescane Missionarie di Maria, della cui Congregazione le creatrici di questo “Centro per l’Accoglienza di Bambini Orfani e Vulnerabili” in passato hanno fatto parte e alla quale rimangono legate da un rapporto di fiducia e collaborazione.

Ragazze della Reecontro a Namaacha con una cartolina di Francesco con il Papa Emerito, Benedetto XVI
Ragazze della Reecontro a Namaacha con una cartolina di Francesco con il Papa Emerito, Benedetto XVI

Da adolescenti Olinda e le altre compagne volevano diventare religiose, ma per diversi motivi non hanno potuto coronare questo sogno, così ognuna ha seguito la propria strada. Nel loro cuore però la spiritualità francescana ha continuato a spandere il suo profumo evangelico, a irrobustire il desiderio di essere di aiuto agli altri. Diversi anni dopo l’invito di Olinda le ha riunite e ha permesso loro di incanalare la spinta di donarsi, in questo caso gli orfani.

Per questo non poteva esserci nome migliore per l’Associazione: “Reencontro” (Ritrovo), “ritrovo tra noi stesse, ritrovo di nuovi parenti per gli orfani, ritrovo con la nostra missione: amore, carità, aiuto reciproco”.  Era un’opportunità, raccontano, che Dio ci dava ancora una volta per seguirLo e, ognuna, con questo spirito, ha cominciato a contribuire con il poco che aveva (un piatto, una sedia, un tavolo, un bicchiere di riso o di zucchero) per aiutare i bambini. Finché, quattro anni dopo, nel 2002, l’Associazione è stata riconosciuta formalmente e ha cominciato a crescere.

Assistenza materiale, umana, spirituale ai bambini orfani

In queste due Provincie al confine col Sudafrica – Maputo e Gaza, dove la Reencontro svolge le sue attività – l’Aids ha devastato intere famiglie e molti bambini, a volte sieropositivi, sono rimasti solo con i nonni anziani, con lontani parenti o addirittura completamente soli.

Con l’aiuto di vari organismi come USAID, il “Global Fund for Children”, “Cross International”, ma anche commercianti e benefattori locali, la Reencontro aiuta questi bambini a ogni livello di esigenza: alimentare, educativo, di salute, per ciò che riguarda il bisogno di una casa, di vestiti, di accompagnamento, di ricerca di “padrini e madrine” per l’adozione a distanza, ma anche per la trasmissione di valori religiosi, morali e civili, o semplicemente di un po’ di affetto… Il tutto grazie ai servizi offerti dai centri presenti nelle due provincie meridionali e, soprattutto, attraverso un significativo numero di volontari, donne e uomini, che per Olinda sono “l’occhio della Reencontro” nelle comunità, cioè in quell’ambiente domestico e naturale in cui la stragrande maggioranza dei bambini assistiti trascorre le sue giornate.

Olinda con altre co-fondatrici della Reencontro
Olinda con altre co-fondatrici della Reencontro

Segni di apprezzamento e il sogno dell’autosussistenza

In poco più di vent’anni di attività, la Reencontro, fondata nel 1998, “è cresciuta molto” e segni che molto di buono è stato fatto sono gli apprezzamenti che la onlus riceve sia dal Governo che dalla Chiesa, “e questo ci rallegra” racconta la fondatrice. Tuttavia, prosegue, “le difficoltà sono molte e riguardano in larga parte la sussistenza dell’Associazione in quanto istituzione”. Olinda mostra il suo sorriso più bello quando parla dei tanti successi registrati nel lungo lavoro di questi anni. Uno delle storie che ricorda con commozione è quella di un giovane che oggi ha 19 anni. Da piccolo era un bambino irrequieto, che soffriva molto per l’assenza dei genitori. Viveva con la nonna e altri fratellini sieropositivi. Ha smesso di andare a scuola e ha cominciato a prendere brutte strade. La Reencontro lo ha preso sotto la propria ala, lo ha consigliato, inserito in alcune attività, e ora lavora, studia e mantiene la nonna e i fratelli. Un altro ragazzo ha potuto diplomarsi e ora fa l’insegnante di inglese. Molti sono già in grado di sostenere se stessi e le proprie famiglie e non hanno più bisogno di aiuto. E ogni volta che qualcuno/a si sposa, per la Reencontro è una grande gioia.

nipotini orfani con la nonna
nipotini orfani con la nonna

JOLUSI e sostegno a distanza

Sin dall’inizio delle sue attività, la Reencontro ha voluto coinvolgere i giovani orfani nella lotta contro l’AIDS. È nato così il progetto JOLUSI, che negli anni ha visto molti giovani impegnarsi con grande entusiasmo. Alfredo Carlos Changale, orfano di padre, attivamente impegnato nel progetto, usava alzarsi presto la mattina per vendere bibite e dolci così da poter aiutare la mamma e i fratelli. Poi raggiungeva i ragazzi di JOLUSI. Le difficoltà erano tante, ma tanti erano anche i giovani felici di fare parte del gruppo.

Il progetto JOLUSI andrebbe rivitalizzato, anche perché pur avendo paura dell’AIDS, i giovani continuano a esporsi a rischi. “Questa è una preoccupazione. Dobbiamo continuare a combattere finche le persone si mettano bene in testa che per porre fine all’HIV dobbiamo cambiare il nostro comportamento”, dice Olinda. Felice, peraltro, di far notare che l’attitudine discriminatoria nei confronti dei malati di AIDS è diminuita. Oggi si tende a considerare questa malattia un problema sociale che tutti devono combattere. Con il cambiamento di comportamento e l’accesso più facile ai farmaci antiretrovirali, garantiti dal governo, le cose possono migliorare.

volontaria del progetto JOLUSI
volontaria del progetto JOLUSI

La Reencontro è molto impegnata anche nella ricerca del sostegno a distanza per i bambini più bisognosi. Un’attività che porta avanti anche in collaborazione con la Child Fund International.

Ottimista e donna di fede, Olinda Mugabe, nel suo stile pacato, si rallegra con i recenti accordi di consolidamento di Pace, firmati tra il Governo e la Renamo. Prima, con l’aria di tensione e conflitto che si respirava, i volontari della Reencontro temevano di non potersi spostare nell’entroterra per assistere i bambini.

Anche i cicloni Idai e Keneth che hanno distrutto il centro-nord del Mozambico nei mesi di marzo e aprile scorsi, provocando centinaia di morti, hanno avuto, paradossalmente, un effetto positivo: un rafforzamento della solidarietà fra le persone. Pur nel loro piccolo, i membri dell’Associazione hanno fatto una raccolta di cose successivamente inviate alla popolazione stremata di Beira.

Adesso Olinda aspetta con ansia la visita del Papa. Per lei, Francesco è un “modello vivo di Cristo” che renderà tutti più forti nel donarsi agli altri, specialmente ai bambini, ai malati, alle persone diversamente abili. Olinda confessa che, per quanto la riguarda, si accontenterebbe di sfiorare il mantello del Papa, come l’emorroissa del Vangelo. “Saranno sicuramente molti con lo stesso desiderio” gli fa notare, sorridendo, una suora che si occupa dei paramenti liturgici per la messa papale.

Mentre i membri dell’Associazione collaborano nelle rispettive parrocchie alla preparazione per la visita pontificia, la Reecontro offrirà alloggio nella sua sede a dodici pellegrini venuti da province più lontane.

Un regalo nel volo papale

Nel volo papale c’è un regalo per i bambini della Reencontro: materiale scolastico, sportivo, vestiti, giocatoli e un piccolo contributo economico. Il tutto, frutto di una raccolta fatta dall’Associazione D.VA, Donne in Vaticano, tra le socie, colleghi e persone di buona volontà. È un segno di amore e solidarietà tra due associazioni femminili che hanno in comune i valori cristiani e l’attenzione verso l’altro, specialmente i bambini.

Costruire e preservare la ricchezza antropologica

Olinda e le sue compagne lavorano affinché i bambini crescano sani e integri, liberi dalla minaccia di una futura povertà antropologica, conseguenza di una povertà materiale. Lo fanno innanzitutto con i mezzi che possiedono ma, dicono, “l’aiuto degli altri è benvenuto. Abbiamo bisogno della vostra forza e questa forza può venire anche dalle preghiere”.

Olinda con Flora, infermiera della Reencontro, una nonna e la nipote orfana
Olinda con Flora, infermiera della Reencontro, una nonna e la nipote orfana