Nel saluto ai fedeli polacchi, Papa Francesco ricorda l’inizio della seconda guerra mondiale e chiede di pregare per la pace

Vaticano

Sala stampa della Santa Sede

1° settembre 1939 – La Wehrmacht inizia l’invasione della Polonia

Durante l’Udienza generale di oggi in piazza San Pietro, al momento dei saluti in lingua polacca, Papa Francesco ha detto:
Saluto cordialmente i pellegrini polacchi.
Cari fratelli e sorelle, il primo settembre cade l’ottantesimo anniversario dell’inizio della Seconda guerra mondiale, avviata con l’aggressione nazista tedesca sulla Polonia. Mentre a Varsavia, a Wielun e in altre città si svolgeranno le celebrazioni commemorative, con la partecipazione di numerosi capi di stati di tutto il mondo, pregheremo tutti per la pace, affinché non si ripetano più le tragiche vicende provocate dall’odio, che portarono solo distruzione, sofferenze e morte. Preghiamo Dio, perché la pace regni nei cuori degli uomini, nelle famiglie, nelle società e tra i popoli! Affido tutti voi alla materna protezione di Maria Regina della Pace e vi benedico di cuore.

L’episcopato brasiliano riunito a Belém. Allarme per l’Amazzonia

L’Osservatore Romano

Mentre le fiamme continuano a divorare la foresta (il fumo ha addirittura raggiunto l’Uruguay e l’Argentina), i vescovi brasiliani dell’Amazzonia hanno deciso di riunirsi da oggi fino al 30 agosto a Belèm, capoluogo dello stato di Pará, sia per rispondere all’emergenza incendi sia per preparare il sinodo per l’Amazzonia che si svolgerà a ottobre in Vaticano. L’assemblea è promossa dalla Commissione episcopale speciale per l’Amazzonia della Chiesa brasiliana, insieme alla Rete ecclesiale panamazzonica del Brasile e alla Regionale Nord 2 della Conferenza episcopale. Partecipano i vescovi delle cinquantasei circoscrizioni ecclesiastiche del territorio amazzonico brasiliano.
Nei giorni scorsi l’episcopato aveva già fatto sentire la propria voce attraverso un messaggio nel quale si ritiene «urgente che i governi dei paesi amazzonici, in particolare il Brasile, prendano serie misure per salvare una regione chiave nell’equilibrio ecologico del pianeta». Dopo una serie di «incomprensioni e scelte sbagliate», affermano i presuli, è necessaria una grande sensibilizzazione di fronte alla «gravità della tragedia e ad altre situazioni irrazionali e avide, con grandi impatti locali e planetari». Solo sabato scorso è scattato il piano del governo per fermare i roghi con il dispiegamento di oltre 44.000 soldati affiancati da mezzi aerei, navali e terrestri. E sullo sfondo dei 72.000 roghi di quest’anno (+84 per cento rispetto al 2018) resta la pressante minaccia della deforestazione, usata per conquistare nuovi terreni coltivabili. Il Mato Grosso, dove sono stati segnalati oltre 45.000 focolai di incendio, è la regione più colpita. «Se non si prenderà questo impegno — è il monito — tutti subiranno perdite irreparabili». Il popolo brasiliano, i suoi rappresentanti e i suoi servitori, afferma la presidenza dell’episcopato, sono «i primi responsabili della tutela e la protezione dell’intera regione amazzonica».
Ma tutti i vescovi sudamericani alzano la voce: La nostra casa comune va a fuoco è il titolo del documento pubblicato dalla Chiesa boliviana a conclusione della recente assemblea pre-sinodale dedicata all’Amazzonia. Nel testo, i presuli si dicono «costernati, indignati e quasi impotenti» di fronte ai roghi divampati nel paese, soprattutto nelle zone orientali della Chiquitanía e del Chaco. «Circa un milione di ettari della nostra foresta amazzonica si consuma sotto le fiamme degli incendi; i danni sono enormi, ancora incalcolabili, e colpiscono la salute umana, le forme di vita delle comunità indigene, la biodiversità, le risorse ambientali», sottolineano accusando che «questa catastrofe è il risultato dell’azione umana».
La dichiarazione cita tra l’altro il recente decreto 3973 del governo di Evo Morales che nel luglio scorso ha autorizzato «incendi controllati» di terreni, per favorire l’avanzata degli spazi per l’allevamento, dando così ulteriore fiato ai roghi illegali. Nonostante l’orientamento del governo, i partecipanti all’assemblea affermano che anche nel loro paese si obbedisce alla «logica imperante» del «capitalismo tecnocratico e aggressivo con la sorella madre terra e di un modello di sviluppo consumista e depredatore della natura, che si manifesta in grandi progetti idroelettrici e di sfruttamento di idrocarburi, nell’ampliamento delle zone agricole, della costruzione di strade a forte impatto ambientale, e della vecchia logica estrattivista». Scelte che «attentano ai diritti dei popoli indigeni». Il documento dell’episcopato boliviano si conclude annunciando che la Chiesa intende «unirsi nella solidarietà», anche con aiuti materiali e donazioni alle popolazioni coinvolte negli incendi, mentre si chiede al governo di destinare risorse per spegnere gli incendi ed evitare che le fiamme si amplino.
In questo contesto, il ruolo del prossimo sinodo dei vescovi sull’Amazzonia, in programma a ottobre, rappresenta «un segno di speranza e una fonte di importanti indicazioni rispetto al dovere di preservare la vita, a partire dal rispetto del creato. Costruiamo insieme — concludono — un nuovo ordine sociale e politico, alla luce dei valori del Vangelo di Gesù, per il bene dell’umanità, della Panamazzonia, della società brasiliana, in particolare dei poveri di questa terra».
L’appello alla protezione della foresta è stato inoltre lanciato dai vescovi peruviani riuniti in assemblea plenaria fino a ieri: «Siamo preoccupati per l’Amazzonia, fonte di vita che comprende due terzi del territorio nazionale», sostengono i presuli, auspicando che il sinodo di ottobre in Vaticano «dia importanti apporti per scoprire nuovi cammini per un’ecologia integrale». Anche i vescovi argentini e paraguayani sono intervenuti nel dibattito, sostenendo le posizioni prese recentemente dal Consiglio episcopale latinoamericano ed esprimendo vicinanza alle popolazioni colpite dalle devastazioni degli incendi che, secondo i presuli, stanno procurando danni di dimensioni planetarie. In particolare i vescovi in Paraguay ricordano il peso che ha sul nostro pianeta la cultura dello scarto: «Crediamo — concludono in una nota — come le autorità del Celam che l’unità e la solidarietà dei governi dei paesi amazzonici, soprattutto del Brasile e della Bolivia, delle Nazioni Unite e della comunità internazionale, debbano prendere misure urgenti per salvare il polmone del mondo».
Dal Messico, infine, la Commissione per la pastorale sociale della Conferenza episcopale esorta a «unire gli sforzi» e sottolinea come il disastro in Amazzonia ci ricorda «che il nostro territorio è in pericolo, perché nella nostra casa comune tutto è interconnesso». Da qui un appello accorato al mondo intero a «correggere gli atteggiamenti egoistici e distruttivi» legati al modello tecnocratico.
L’Osservatore Romano, 28-29 agosto 2019

Altri 32 chilometri di barriere mentre altri fondi saranno stornati dalle emergenze ambientali per rimpatriare i richiedenti asilo. Si allunga il muro voluto da Trump

Stati Uniti

L’Osservatore Romano

Il muro voluto da Donald Trump al confine con il Messico si allunga. L’amministrazione ha infatti comunicato al giudice a cui fanno capo le varie azioni legali avviate contro la barriera che costruirà altri 32 chilometri di barriera in Arizona e in California. A finanziare la costruzione saranno i fondi avanzati dai precedenti lavori per il muro, costati meno del previsto.
Ieri l’amministrazione ha anche reso noto che 155 milioni di dollari del fondo di emergenza per catastrofi naturali sono stati destinati all’esecuzione del provvedimento che prevede il ritorno in Messico dei richiedenti asilo che attraversano il confine senza permesso.In particolare, 116 milioni saranno destinati ad aumentare il numero di posti letto nei centri di detenzione per immigrazione gestiti dal Servizio immigrazione e controllo doganale, secondo quanto riferito dal locale dipartimento per la sicurezza. Al momento, il servizio immigrazione gestisce circa 54.000 immigrati privi di documenti, secondo quanto ha rivelato il Washington Post, per lo più adulti appena arrivati negli Stati Uniti, la cui unica colpa è stata l’attraversamento irregolare del confine. I 155 milioni, nelle intenzioni, saranno utilizzati per «stabilire e gestire (…) strutture temporanee pubbliche lungo il confine meridionale».
La decisione dell’amministrazione Trump arriva proprio mentre negli Stati Uniti è alta l’allerta in vista dedella stagione degli uragani e del già annunciato arrivo della tempesta tropicale Dorian sull’isola di Puerto Rico.
In una dichiarazione inviata all’emittente televisiva Cnn, lo stesso Fondo di emergenza per le catastrofi naturali ha comunque precisato che, nonostante lo storno dei fondi e in considerazione dell’andamento storico delle spese, è anocra presente una somma di denaro «sufficiente a soddisfare le esigenze operative» e ha affermato che il recente provvedimento non influenzerà neanche gli sforzi per la ripresa a lungo termine dell zone degli Stati Uniti colpite da eventi catastrofici l Paese.
La decisione riguardante lo storno dei fondi è stata fortemente criticata dall’opposizione democratica. Il piano dell’amministrazione Trump di dirottare denaro dal Fondo di emergenza per le catastrofi naturali proprio all’inizio della stagione degli uragani, «per continuare a separare e imprigionare le famiglie di migranti è crudele», ha dichiarato il leader della minoranza democratica in Senato, Chuck Schumer. «Prendendo questi fondi», ha aggiunto Schumer, «fondamentali per la prevenzione delle catastrofi e gli sforzi di ricostruzione minaccia la vita e indebolisce la capacità del governo di aiutare gli americani».
L’Osservatore Romano, 28-29 agosto 2019.