Quale incentivo alle vocazioni? E a quali?

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La crisi delle vocazioni al ministero ordinato dipende maggiormente dalla crisi di fede delle ultime generazioni o dalla struttura ministeriale/gerarchica stessa che svilisce l’umanità del presbitero, come diceva quell’anonimo giovane teologo nell’articolo “Un ministero ordinato dal volto umano” ospitato su Settimana News il 7 luglio 2018?

Oppure piuttosto deriva dall’incertezza sociale che disincentiva scelte definitive e di lungo periodo (contratti anche di governo, matrimoni, costruzione della casetta dei sogni, stabilitas loci, l’agognato posto fisso seppur noioso, ideale tradizionale dell’ostrica anziché inseguire i propri desideri) imponendo precarietà, liquidità e flessibilità?

È vero, i preti sarebbero più incarnati nella vita umana se lavorassero senza godere di quello che l’anonimo definisce il «privilegio sociale» del sostentamento del clero; ma ciò dovrebbe essere forse un incentivo o non sarebbe piuttosto l’ennesimo disincentivo al servizio presbiterale?

Vocazione: la gioia del Vangelo

Realisticamente, sarebbe pensabile invece una forma di “flexsecurity” – innanzitutto di fiducia, di incoraggiamento e di accompagnamento spirituale adulto – estesa a tutti gli operatori pastorali, laici inclusi, che non li costringa in un unico contesto per sempre, ma che permetta di vivere un ventaglio di opzioni meno stereotipato rispetto a quello parrocchiale totalizzante del Curato d’Ars. Penso allo studio, a esperienze in altre diocesi del mondo, alla vita in famiglia, a periodi di silenzio e ricerca spirituale, alla predicazione itinerante/digitale, e ovviamente anche a quel «lavoro per la sussistenza, per il bene altrui e per la vita pastorale» che l’anonimo invoca. Ciò che importa è ricucire la scollatura con la vita delle persone ordinarie, sempre più ampia: non tanto quella tra clero e laicato, quanto quella tra la minoranza cristiana e la maggioranza post-secolare della popolazione europea.

Forse anche per tale motivo soffrono relativamente meno la crisi movimenti e congregazioni religiose che si isolano dall’esposizione sociale con un’idilliaca promessa di sicurezza da tutti e da tutto, ma pure quelli che offrono una maggiore varietà e dinamicità, favorendo la fioritura dei molteplici carismi di ciascuno nel mondo contemporaneo. Cioè la vera vocazione (che non è una dis-grazia che può capitare a chi soffre di qualche allucinazione o visione soprannaturale, ma di certo non a noi): gioia piena per quello che si è, per quello che si ha, per come si vive, perché si è consapevoli di amare al massimo delle nostre capacità, messe tutte pienamente a frutto.

Ma la pastorale vocazionale quando c’è, soprattutto quella nelle strutture (spesso) manicomiali superstiti dette “seminari diocesani”, favorisce davvero le vocazioni? Oppure attrae, conferma e sforna (pochi e sempre meno, grazie a Dio!?): repressi impiegati di curia; disoccupati decennali improvvisamente conversi a Medjugorje; bizzarri nostalgici di fasti monsignorili barocchi, sognati e inscenati, ma mai vissuti; ingenui esaltati dalle idee strabilianti, subito frustrate nell’unica certezza di funerali incessanti, che intervallano una vita forzatamente solitaria in canonica senza neppure più perpetue con cui parlare, per poi cercare un diversivo negli escort o, nei migliori dei casi, in un affezionato partner fisso?

ordinazione

Va da sé che occorre ripensare sia lo stile pastorale non sempre in grado di presentare la gioia del Vangelo (di sovente confusa per un infantile entusiasmo verso il baby sitting o l’animazione di centri estivi per chi non si può permettere una vera vacanza), sia il ruolo del presbitero (sempre più incomprensibile anche per gli eterogenei preti, diaconi e seminaristi), sia il contesto economico, sociale e spirituale, che muterà ancora, forse anche con la testimonianza vissuta di chi sa dimostrare che è assai più conveniente un bene condiviso duraturo rispetto a un egoismo transitorio.

La vita riserva comunque incertezze e possiamo con papa Francesco considerare benedetta l’inquietudine; sempre però se possiamo fidarci di qualche volto che si fida davvero di noi, che ci incoraggia, che non ci svilisce approfittando della nostra disponibilità, della nostra fede sincera e della nostra Vocazione.

Otto consigli agli amici presbiteri (e non solo)

Pensati nel giorno di San Giovanni Maria Vianney con la sfacciataggine laicale di San Paolo.

1) Ascolta il Popolo: innanzitutto sei un laico, un battezzato. Per poter essere pastore, devi prima riconoscerti ontologicamente come tutti pecora del gregge nel quale sei incardinato. Scegli pure come vestirti, basta che nel contesto in cui sei il modo in cui ti presenti riesca ad avvicinare le persone lontane, anziché allontanarle ulteriormente. Prendi il Popolo così com’è, lasciati migliorare da esso e lo lascerai migliore.

2) Vivi l’intimità con Gesù: la Messa è solo una parte della tua vita spirituale, che rischia di diventare routine. Il breviario ti aiuta a ravvivare la giornata, a pregare con i salmi che sanno esprimere ogni affetto e a ricordarti sempre della presenza viva di Dio in ogni tempo e in ogni luogo. Non vergognarti di pregarlo davanti ai fedeli, e coinvolgili nella preghiera della Chiesa. Cura con decorosità la liturgia, evitando sia la teatralità, sia la sciatteria.

3) Vivi la fraternità del presbiterio e l’unità con il vescovo: non sei uno stilita, e anche se non appartenessi a una comunità religiosa sei comunque un membro del collegio presbiterale. Crea ponti di unità tra i tuoi confratelli a partire da quelli più antipatici, non sparlare di loro e non usarli come tappabuchi per le messe, ma gareggia nello stimare gli esempi più virtuosi. Domanda con insistenza di convivere con altri preti, con i quali condividere affetti, gioie e difficoltà della vita pastorale. Consultati con il vescovo quando hai una preoccupazione o una proposta: non tenertela per te e non fare di testa tua.

4) Continua a studiare: la tua formazione non si è esaurita negli anni del seminario. Riprendi in mano quei libri di teologia che hai sfogliato solo per superare l’esame, ma partecipa a convegni; leggi riviste, saggi, testi spirituali, e anche narrativa e poesia. È tuo dovere offrire a te e a chi ti incontra una formazione di qualità, perché Dio ci ha fatto dono di ragione, sapienza e intelletto.

5) Rafforza il laicato: nutrilo con la Parola con omelie preparate e accorate, formalo nella maturità con lectio e con incontri di studio, offri ruoli di responsabilità ma soprattutto coinvolgilo attivamente nelle decisioni. Non renderlo dipendente dalla tua persona ma solo da Dio; non sei il padrone di nessuno, sei solo un ministro. Comunicagli quella forza per raggiungere le periferie che tu non riesci a raggiungere, nell’ordinarietà della vita sociale, civile e professionale.

6) Non nascondere la tua tenerezza, la tua debolezza e la tua fragilità: non aver paura di una ferita, di una lacrima, di un battito di cuore. Mostrati come uomo, abbi il coraggio dei tuoi sentimenti e offri il frutto delle tue battaglie deponendo la corazza che ti sei costruito. Chiedi scusa, spiega i tuoi ripensamenti, riprendi il tuo cammino. Bacia, abbraccia, accarezza i corpi con il tuo corpo e soprattutto con quello di Cristo, che non ha avuto paura di contaminarsi con le donne e gli uomini.

7) Offri al mondo quel che il mondo non può offrire: innanzitutto la Parola, la preghiera e la comunione, a partire da quella che testimoni con la tua vita. Non scimmiottare il mondo con brutte copie patetiche di quel che già si trova altrove in modo molto più attraente, perché la concorrenza ti batterà sempre. Sii coraggioso e profetico: osa gesti che nessuno aveva ancora osato, fatti guidare dalla forza dello Spirito che soffia quando sei unito al Popolo di Dio, scardina ogni resistenza alla carità.

8) Rallegrati con Maria: accogli tutto nel tuo cuore come dono inaspettato, ripensa ai momenti in cui il tuo cuore si è incendiato d’amore e, nella gratitudine, pronuncia convintamente il tuo “fiat” alla bellezza che contribuirai a partorire, fiducioso nel farsi della sua libertà, che è la tua di amare.

Futuro cercasi per la “baita” dei Papi in Val d’Aosta

da Avvenire

Lo chalet di Les Combes aveva accolto Giovanni Paolo II e poi Benedetto XVI nei loro soggiorni di riposo estivi. I salesiani, proprietari della casa, lanciano un concorso di idee
Giovanni Paolo II nello chalet di Les Combes in Val d'Aosta nel 1999

Giovanni Paolo II nello chalet di Les Combes in Val d’Aosta nel 1999

Una nuova vita per quella che è stata la “casa dei Papi” in Valle d’Aosta. È l’obiettivo di un vero e proprio bando di concorso che la Famiglia salesiana, proprietaria dell’intero immobile e del terreno circostante, ha deciso di lanciare in queste settimane. Lo fa rivolgendosi a una agenzia specializzata, il Cpa Service, ma l’intenzione è quella di salvaguardare un pezzo di storia di questa valle e anche della Chiesa. Bisogna risalire a un decennio fa per ritrovare le immagini di Giovanni Paolo II prima e Benedetto XVI poi, che scelgono per il loro riposo estivo questo piccolo chalet a Les Combes in Valle d’Aosta.

Lo chalet di Les Combes che ha accolto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nei loro soggiorni estivi

Lo chalet di Les Combes che ha accolto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nei loro soggiorni estivi

Per dieci anni, a partire dal 1989, papa Wojtyla decide di passare un periodo di riposo non a Castel Gandolfo, ma nel verde della montagna. E così quella casetta diventa uno scenario conosciuto in tutto il mondo, perché qui si trasferiscono anche gli inviati e i vaticanisti di molte testate per cogliere i momenti di queste vacanze papali – in particolare le lunghe passeggiate negli oltre 13mila metri quadrati attorno all’edificio –, ma anche luogo nel quale viene pubblicamente recitato nel giorno di domenica la preghiera mariana dell’Angelus. Anche Benedetto XVI alcuni anni dopo per due volte tornerà in questa valle. Nel frattempo accanto alla baita “papale” sorge una vera e propria struttura ricettiva per ospitare il seguito pontificio e le forze della sicurezza chiamate a vegliare sulle vacanze del Vescovo di Roma: duemila metri quadrati di edificio che arriva a ospitare fino a 120 persone.

Benedetto XVI al pianoforte nello chalet di Les Combes in Val d'Aosta nel 2006

Benedetto XVI al pianoforte nello chalet di Les Combes in Val d’Aosta nel 2006

La baita che ospita il Papa permetteva a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI di poter ammirare dalla finestra della camera da letto il Monte Bianco. Una vista mozzafiato. Ora la casa che fungeva da base estiva per il Pontefice è diventata una sorta di museo, mantenendo intatto l’arredamento e la disposizione dei mobili di quei periodi. Ma se per la baita il futuro appare piuttosto delineato, così non è per l’altra struttura, quella che ospitava il seguito. Con il tempo è forse venuto meno la curiosità di salire fino a quella località, per “vedere” e “passeggiare” sui luoghi in cui il Papa veniva a riposare. E mantenere questa struttura appare complesso e costoso. A dispiacere è proprio il mancato utilizzo della struttura, che al contrario potrebbe offrire diverse possibilità di utilizzo.

Giovanni Paolo II nello chalet di Les Combes in Val d'Aosta nel 1999

Giovanni Paolo II nello chalet di Les Combes in Val d’Aosta nel 1999

Proprio da questa considerazione nasce il bando promosso dalla proprietà salesiana e gestita dalla Cpa Service: un concorso per dare idee sul futuro di questa casa. Ovviamente esistono alcuni vincoli ambientali, storici e della Soprintendenza, ma «cerchiamo di raccogliere idee tra giovani architetti, fondazioni, associazioni, startup, persone fisiche, per ripensare un futuro». Si tratta di una «sfida», riconoscono i promotori del bando (o come lo definiscono loro un “open innovation”), che si dicono fiduciosi di poter ricevere quell’idea vincente (si possono mandare proposte presentate in duemila battute entro il 30 ottobre all’indirizzo mail info@cpaservicesrl.com), che magari eviti la messa in vendita della struttura e ne promuova un utilizzo nuovo e innovativo. Anche per ricordare la figura di san Giovanni Paolo II. E l’idea più innovativa sarà quella vincente, che comunque non vincolerà né l’attuale né la futura proprietà. Gli attuali gestori, però, non nascondono la speranza di trovare un progetto che faccia tornare all’antico splendore questo angolo di paradiso in Valle d’Aosta.

Note celestiali. La Madre di Dio, «stella» della musica

da Avvenire
Dal Gregoriano a Verdi, Maria ispira da secoli composizioni d’autore. E i canti popolari. Palestrina e Charpentier firmano due “Messe” per l’Assunta. Il fascino sul protestante Bach
La cappella di San Bruno nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma

La cappella di San Bruno nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma

Avvenire

La musica ha lodato, esaltato e celebrato nei secoli la «divina fanciulla, cattedrale del silenzio», si direbbe prendendo a prestito i versi di padre David Maria Turoldo. È la Madre di Dio contemplata anche attraverso il linguaggio universale delle note. Che ha raccontato persino la sua assunzione al cielo. Le parole dell’antifona dei Vespri della solennità di oggi, Assumpta est Maria in coelum, gaudent angeli, hanno ispirato composizioni per lo più da riscoprire. A cominciare da quelle di Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594). Il “princeps musicae” scrive il mottetto che accoglie l’antifona mariana e che rappresenta un «vertice assoluto per fervore e capacità di commozione», spiega monsignor Vincenzo De Gregorio, preside del Pontificio Istituto di musica sacra. Un mottetto da cui poi prenderà spunto per ricavare alla fine del Cinquecento la Missa Assumpta est Maria, una delle ventidue Messe a sei voci scritte dal maestro. Con le sue sonorità brillanti, è una perla che ha fatto breccia anche nelle chiese della Riforma.

La musica ha lodato, esaltato e celebrato nei secoli la «divina fanciulla, cattedrale del silenzio», si direbbe prendendo a prestito i versi di padre David Maria Turoldo. È la Madre di Dio contemplata anche attraverso il linguaggio universale delle note. Che ha raccontato persino la sua assunzione al cielo. Le parole dell’antifona dei Vespri della solennità di oggi, Assumpta est Maria in coelum, gaudent angeli, hanno ispirato composizioni per lo più da riscoprire. A cominciare da quelle di Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594). Il “princeps musicae” scrive il mottetto che accoglie l’antifona mariana e che rappresenta un «vertice assoluto per fervore e capacità di commozione», spiega monsignor Vincenzo De Gregorio, preside del Pontificio Istituto di musica sacra. Un mottetto da cui poi prenderà spunto per ricavare alla fine del Cinquecento la Missa Assumpta est Maria, una delle ventidue Messe a sei voci scritte dal maestro. Con le sue sonorità brillanti, è una perla che ha fatto breccia anche nelle chiese della Riforma.

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Risale a un secolo dopo la morte di Palestrina un altro capolavoro in onore della Vergine “d’agosto”. È la Missa Assumpta est Maria del francese Marc-Antoine Charpentier (1634-1704), interessante compositore mariano conosciuto ai più per il preludio del Te Deum che è la “sigla dell’Eurovisione”. La sua Messa è pervasa di una dolcezza densa, malinconica eppure ricca di calore. È una partitura di paradossi, come summa paradossale è la Vergine che ha suscitato musica “alta” e musica popolare: dal Gregoriano ai nostri giorni. «Intorno alla Madonna – afferma De Gregorio – è stata ricamata una straordinaria storia artistica che ha incluso anche la musica. Se vogliamo indicare un riferimento dobbiamo risalire al 431 quando nel Concilio di Efeso viene sancito il dogma della maternità divina di Maria che così può essere chiamata Madre di Dio». Si dovrà attendere invece il 1950 per arrivare al dogma dell’Assunta proclamato da Pio XII. «Tuttavia – fa sapere lo studioso – già dal Cinquecento l’assunzione della Vergine irrompe nell’iconografia e quindi nella musica».

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Testo mariano per eccellenza è l’Ave Maria, «compendio della nostra fede che porta a Cristo e che insiste sul mistero dell’Incarnazione, del Dio fatto uomo», chiarisce il preside. Da Palestrina all’austriaco Anton Bruckner(1824-1896), la nota preghiera è entrata negli spartiti. Con casi anche curiosi. «Pensiamo alle celebri melodie di Franz Schubert (1797-1828) e diCharles Gounod (1818-1893). Entrambe non sono nate come musica sacra. Sono composizioni a se stanti su cui sono state applicate le parole dell’Ave Maria. Ciò dimostra come l’intuito popolare trascenda parruccamenti o accademismi. Va aggiunto che l’Ave Maria, non essendo un testo prettamente liturgico, è stata tradotta presto nella lingua corrente. E ciò l’ha resa particolarmente attrattiva».

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Fra le versioni dell’Ave Maria da tornare ad ascoltare (e magari a cantare) ci sono quelle di Saverio Mercadante (1795-1870) o di Lorenzo Perosi(1872-1956). «Particolarmente amata nel Mezzogiorno è l’Ave Maria del napoletano Raffaele Cimmaruta, anche in questo caso frutto dell’innesto del testo religioso su una melodia preesistente».

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Lo stesso è accaduto con l’altrettanto rinomata Ave Maria di Pietro Mascagni (1863-1945), la cui partitura è quella dell’intermezzo diCavalleria rusticana. E l’invocazione che inizia con il saluto dell’Angelo ha varcato anche i confini dell’opera lirica. Giacomo Puccini (1858-1924) l’ha inserita in Suor Angelica; Giuseppe Verdi (1813-1901) in Otello.

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«E del genio di Busseto possiamo ricordare anche la preghiera corale dellaVergine degli Angeli nella Forza del destino – sottolinea De Gregorio –. Questo testimonia la forza attrattiva della Madonna: anche i grandi autori, magari scettici o non segnati da una particolare sensibilità religiosa, sono rimasti colpiti da Maria, icona suprema della donna che racchiude in sé le dimensioni della femminilità e della maternità».

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Altra sorgente di musica sulla Vergine è rappresentata dalle antifone mariane. Definizione non precisa che racchiude il Salve Regina, il Regina Caeli, l’Alma Redemptoris Mater o l’Ave Regina Caelorum. «Esse si collocano all’interno della Liturgia delle Ore, a conclusione dei Vespri o della Compieta. E sono state messe in musica da grandi autori». Hanno firmato il Salve Regina ad esempio Alessandro Scarlatti (1660-1725),Antonio Vivaldi (1678-1741), Georg Friedrich Haendel (1685-1759) oGiovanni Battista Pergolesi (1710-1736).

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A Palestrina si deve una struggente Alma Redemptoris Mater, mentre ilRegina Coeli annovera numerose varianti polifoniche. È di Johann Michael Haydn (1737-1806) una toccante Ave Regina Coelorum; ed è stata scritta daCarlo Gesualdo (1566-1613) una versione per l’Assunzione.

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Cantico mariano che segna la Liturgia delle Ore – proprio dei Vespri – è ilMagnificat. Eccolo sulle note di Palestrina o di Claudio Monteverdi(1567-1643), di Francesco Durante (1684-1755) o di Vivaldi. Ma anche del protestante Johann Sebastian Bach (1685-1750). «Con la Riforma luterana – chiarisce l’esperto –, anche se viene meno l’intensità del rito eucaristico, non si intacca l’assetto della preghiera quotidiana. I Vespri restano. E il Magnificat, essendo testo biblico, riscuote grande attenzione».

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Così una sua traduzione tedesca del Magnificat (Mein Herz erhebet Gott den Herrn) è messa in musica dal riformato Felix Mendelssohn (1809-1847).

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C’è poi lo Stabat Mater che la tradizione vuole sia attribuito a Jacopone da Todi. «Al centro si colloca la tragicità della morte di un figlio che si rispecchia nella sofferenza di Cristo vista con gli occhi del credente che guarda a Maria», riferisce lo studioso. Sono oltre quattrocento i musicisti che si sono accostati a questa sequenza. «Lo Stabat Mater di Gioachino Rossini (1792-1868) è un capolavoro, non assolutamente secondo al giustamente insigne Stabat Mater di Pergolesi», dice il preside.

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Fra i contemporanei c’è l’estone Arvo Pärt, autore di uno Stabat Materpremiato nel 2008 e anche di un Magnificat in stile tintinnabuli, a metà fra monodia e polifonia.

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La musica mariana è segnata anche dalle Litanie lauretane. Oltre a Monteverdi e a Palestrina, si devono a Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) le “celestiali” Litaniae de Beata Maria Virgine Lauretanae.

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Ma le composizioni in onore della Regina del cielo non sono solo quelle d’autore. Hanno anche un’impronta legata alla devozione popolare. «E hanno come apripista il Laudario di Cortona, ossia quel codice musicale manoscritto del XIII secolo che rilegge la vita di Gesù alla luce di Maria e da cui è fiorita una ricchissima epopea di canti mariani che ancora oggi arricchiscono il tessuto ecclesiale». L’attuale repertorio che esprime la venerazione per la Madonna include brani come Mira il tuo popolo oNome dolcissimo che «sono autentiche gemme, a partire dal testo», avverte De Gregorio.

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E aggiunge lo studioso: «Fra i tanti autori rimasti nell’ombra mi piace citare un modestissimo prete dell’attuale arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia, don Luigi Guida, che ha creato un canto divenuto famoso nel mondo: Dell’aurora tu sorgi più bella. Aveva studiato al Conservatorio di Napoli e ha dedicato la vita alla musica. Così è giusto che sia sepolto nella ex Cattedrale di Vico Equense affacciata sul golfo di Napoli. E la luce mattutina che si riflette nel mare ha probabilmente ispirato a don Guida le parole del brano».

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Festa dell’Assunta. L’orizzonte da ritrovare. Gli auguri del presidente della Cei

Nadia Toffa, nella prova, ha convinto perché ha saputo dar voce all’anelito profondo e irriducibile, che abita il cuore. Anche l’Italia è chiamata a questa sfida. Il senso di questo giorno
Il cardinale Gualtiero Bassetti

Il cardinale Gualtiero Bassetti

da Avvenire

Cosa esprime il cordoglio corale suscitato dalla morte di Nadia Toffa? Oltre alla sua giovane età, vi ha contribuito certo la sua notorietà di giornalista «vivace, impegnata e coraggiosa»; ma ciò che ha colpito tutti sono state la dignità, la forza e la speranza con cui ha affrontato la malattia, fino a fargliela definire «un dono, un’occasione, un’opportunità»; ha colpito il suo sorriso – autentico fiore d’inverno –, la sua passione per la vita – così fragile e così straordinaria –, l’affetto dei famigliari, degli amici e dei colleghi. Questa donna ha convinto perché ha saputo dar voce all’anelito profondo e irriducibile, che abita il cuore: è desiderio di incontro e pienezza, urgenza di verità e giustizia, che disegna il volto, il nome e l’impegno di ciascuno nella realtà, per dirla con il tema del Meeting che si apre domenica a Rimini.

Per il Paese ritrovare questo orizzonte è forse la necessità più impellente. Lo scrivo mentre, come tutti, seguo gli esiti del dibattito politico in corso. La crisi che stiamo ancora una volta attraversando, prima che di partiti, è crisi di sistema e di visione. Mette in luce la prevaricazione di alcuni, ma anche la debolezza di molti altri, che affrontano la responsabilità politica quasi fosse un gioco.

Il Parlamento è cosa seria, vitale. È la Chiesa delle democrazie. Nei settant’anni di storia repubblicana gli eletti che l’hanno composto sono stati specchio del Paese: in molti casi, persone da cui prendere esempio per la passione civile con cui hanno servito le Istituzioni. Anche oggi fra i parlamentari vi sono tante persone libere e rigorose, che hanno il dovere di prendere la parola per richiamare tutti a responsabilità. Credo che, più che il loro numero, conti la possibilità che fra loro ci siano non solo i fedelissimi dei capi di turno, ma tante persone oneste, competenti, attente a parlare a tutti. La politica, prima che di numeri, è fatta di persone.

Ancora una volta tocca al Parlamento trovare una soluzione per aiutarci a rimanere un grande Paese, democratico ed europeo. Governare è una necessità; governare bene è un dovere. Il Parlamento non diventi, perciò, la trincea di una lunga guerra di posizione. Come nei legami familiari, tutte le forze politiche tornino a guardarsi negli occhi con la disponibilità a individuare le strade per convivere senza inganno o inutili astuzie.

È con questi pensieri nel cuore che auguro a tutti i lettori di “Avvenire” una buona festa dell’Assunta. Fin dalla sua definizione, nel 1950, il dogma non contiene soltanto l’affermazione che ciò che la Chiesa ritiene per Maria è anticipo e promessa di quella che sarà la salvezza integrale di ogni persona. Come disse allora Pio XII in Piazza San Pietro – presenti Alcide De Gasperi e Robert Schuman – l’Assunta ha a che vedere con il bene comune: «Voi, poveri, malati, profughi, prigionieri, perseguitati, braccia senza lavoro e membra senza tetto, sofferenti di ogni genere e di ogni Paese; voi, a cui il soggiorno terreno sembra dar solo lacrime e privazioni, per quanti sforzi si facciano e si debbano fare alfine di venirvi in aiuto, innalzate lo sguardo verso Colei che, prima di voi, percorse le vie della povertà, del disprezzo, dell’esilio, del dolore…». Sì, in Maria assunta in Cielo ci possiamo riconoscere tutti, a partire dai poveri di ogni tempo, quelli del difficile periodo successivo al secondo conflitto mondiale e quelli di ogni generazione, compresa la nostra.
Sotto la sua materna intercessione poniamo con fiducia le sorti del nostro amato Paese.

Gualtiero Bassetti, cardinale, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei