Far comprendere l’illegittimità di teorie filosofiche che pretendano di stabilire princìpi immutabili e vadano oltre l’oggettività dei fatti

Avvenire

Ludwig Wittgenstein

«La filosofia potrebbe essere insegnata (vedi Platone) semplicemente facendo le giuste domande, in modo da farvi ricordare». Annota così, Peter T. Geach, nei suoi appunti dell’anno accademico 1946-1947, le parole pronunciate da Ludwig Wittgenstein durante il suo ultimo corso tenuto a Cambridge prima delle dimissioni. Oggi, anche al lettore italiano, è consentito seguire il cammino di pensiero di Wittgenstein compiuto durante il corso e riprodotto in Lezioni di psicologia filosofica grazie alla traduzione di Tiziana Fracassi e alla curatela di Luigi Perissinotto (Mimesis, pagine 190, euro 18).

Nelle parole riportate all’inizio e tratte dalle note di Geach c’è certamente Wittgenstein. Ma non solo lui. Come mette in luce Perissinotto nell’introduzione, esse non possono costituire una fonte primaria per incedere tra i meandri del pensiero del filosofo viennese. Non sono certo paragonabili al Tractatus logico-philosophicus e neppure alle tarde e postume Ricerche filosofiche. E non vanno nemmeno di pari passo con i manoscritti lasciati inconclusi o i dattiloscritti ritrovati alla morte del filosofo avvenuta nel 1951 perché risentono della mano di chi li ha scritti e non solo della voce di Wittgenstein. Eppure non sono meno importanti, benché per ragioni diverse dalla filologia.

Potrebbe certo essere più che golosa per gli studiosi la tentazione di confrontare quanto Wittgenstein veniva dicendo ai suoi studenti col lavoro a cui avrebbe atteso negli ultimi anni di vita e che tanta influenza ebbe nella storia della filosofia della seconda metà del Novecento. Eppure molto interessante è anche lo stagliarsi di un’altra opportunità. Entrare nel cuore del laboratorio filosofico del pensatore mentre insegna pensando e pensando insegna.

«L’insegnamento è stato per Wittgenstein – scrive Perissinotto – una parte essenziale della sua ricerca filosofica. Come molte testimonianze ci lasciano intendere, Wittgenstein pensava davanti ai suoi allievi e, le volte che gli riusciva, con i suoi allievi. Le sue lezioni, insomma, non erano semplicemente un mezzo per comunicare un pensiero già formato e concluso». Per questo gli appunti di Peter Geach, e proprio i suoi e non altri, sono una delle migliori finestre per osservare il pensiero di Wittgenstein nel suo farsi.

Dello stesso corso, infatti, esistono altre ricostruzioni che, nella versione inglese del 1988, vennero pubblicate insieme a quella di Geach. Eppure, per quanto interessanti per la filologia, esse lo sono di meno per assaporare l’esperienza di pensiero condotta da Wittgenstein. Altri due studenti tra il 1946 e il 1947 avevano infatti frequentato il corso di psicologia filosofica a Cambridge. Sia Kanti Shah sia A. Camo Jackson hanno annerito fogli per riprodurre quanto si diceva in aula, e di cui Perissinotto annuncia la prossima pubblicazione. Ma queste note sono state rifinite e riviste dai giovani filosofi per dare a esse una migliore sistematicità facendo però perdere a loro qualcosa. Invece le pagine di Geach sono forse più confuse, meno lineari, talvolta inconcludenti ma proprio per questo interessanti. Sebbene, come tutti gli appunti, siano filtrati dagli interessi, dallo stile, dai talenti dell’estensore essi sembrano riprodurre in presa diretta il divenire di un pensiero che cerca di acquisire una forma ancora non data.

Non a caso il fluire degli interventi di Wittgenstein è spesso interrotto dalle domande dei presenti come quando Geach, convertito al cattolicesimo nel 1938, gli propone il confronto con alcune pagine della Summa Theologicadi san Tommaso d’Aquino sulla capacità degli angeli «di conoscere le intenzioni altrui ».

Gli appunti di Geach consentono, per il modo in cui sono stati presi e pubblicati, di riconoscere dal vivo la convinzione di Wittgenstein che il pensiero sia un’attività in continuo movimento e che incede attraverso il domandare come avrebbe sottolineato lo stesso filosofo viennese durante il corso.

E non a caso. Infatti, per Wittgenstein, la filosofia non è una dottrina, ma è un’attivitàNon può, e non deve, esprimere enunciati su fatti perché questo spetta alla scienza. E la filosofia non lo è. Però non significa che le tocchi in sorte l’inutilità e l’insignificanza. Essa, fin dal Tractatus, e ancora di più lo sarà negli scritti successivi, deve dire che cosa il pensiero non può fare, denunciando in particolare l’illegittimità della ricerca di costrutti tesi a definire i princìpi assoluti, i fondamenti oggettivi e totalizzanti del reale, le conoscenze basate su quanto procede oltre i fatti.

Solo rimanendo fedele al suo compito essa permette di eliminare false credenze intorno al linguaggio e procedere a quella che Wittgenstein definisce un’attività volta al «chiarificarsi di proposizioni» e indispensabile all’uomo per liberarsi dalle illusioni e incertezze sulle possibilità del sapere. Il cammino del «chiarificare» però non avviene in astratto ma nel confronto «con la vita umana ordinaria e, più ci allontaniamo dalla vita umana ordinaria – direbbe Wittgenstein – meno significato riusciamo a dare» a certe espressioni.

Idee. La creazione sospesa tra scienza e fede

Fisico al Cern di Ginevra e tra i padri della scoperta del bosone di Higgs, Guido Tonelli indaga nel suo ultimo saggio la nascita del nostro universo

Lo studio dell’infinitamente piccolo e quello dell’infinitamente grande giungono alla medesima conclusione: in principio era il caos “La creazione del firmamento”, mosaico della cattedrale di Monreale (XII-XIII secolo) (Ultreya)

Lo studio dell’infinitamente piccolo e quello dell’infinitamente grande giungono alla medesima conclusione: in principio era il caos “La creazione del firmamento”, mosaico della cattedrale di Monreale (XII-XIII secolo) (Ultreya)

da Avvenire

«Colui che vive in eterno ha creato l’intero universo. Il Signore soltanto è riconosciuto giusto. A nessuno è possibile svelare le sue opere e chi può esplorare le sue grandezze? La potenza della sua maestà chi potrà misurarla? Non c’è nulla da togliere e nulla da aggiungere, non è possibile scoprire le meraviglie del Signore. Quando l’uomo ha finito, allora comincia, quando si ferma, allora rimane perplesso ».

Mi perdonerà Guido Tonelli se nel parlare del suo Genesi. Il racconto delle origini ho preso spunto da una citazione del Libro del Siracide. Il saggio dello studioso, edito di recente da Feltrinelli (pagine 22, euro 17), correttamente si guarda bene dal mescolare i due piani, quello della fede e quello della scienza, e pur facendo uso di ampi riferimenti alle mitologie, alle religioni e alla letteratura, è una descrizione della nascita del nostro universo secondo le acquisizioni e i dati scientifici più aggiornati.

Fisico al Cern di Ginevra, professore all’Università di Pisa e uno dei padri della scoperta del bosone di Higgs, Tonelli ha partecipato nei mesi scorsi al dibattito avviato sulle pagine di alcuni mass media sulla persistente separazione nel nostro Paese fra cultura umanistica e cultura scientifica, schierandosi senza alcun dubbio dalla parte di chi sostiene l’imprescindibilità dello studio del greco e del latino, utili per una formazione integrale degli studenti.

Ora si cimenta con un tema affascinante e riesce a coinvolgere anche il lettore ignaro delle conoscenze della fisica delle particelle o delle esplorazioni delle galassie. È proprio attraverso queste «due vie della sapienza» che egli già nelle prime pagine chiarisce quanto sappiamo sui «primi vagiti dell’universo bambino ». Grazie al grande acceleratore del Cern, si è riusciti a ricreare particelle estinte, le stesse che popolavano l’universo alle altissime temperature delle origini: «È così – spiega – che abbiamo scoperto il bosone di Higgs. Ne abbiamo riportato in vita qualche manciata dopo un sonno che durava da 13,8 miliardi di anni».

A questa esplorazione dell’infinitamente piccolo si accompagna, su un altro versante, quella dei supertelescopi, strumenti che studiano l’infinitamente grande e che sono in grado di scoprire i segreti delle stelle e delle galassie: «Guardando oggetti molti grandi e molto lontani, si possono osservare in diretta tutte le fasi principali della formazione dell’universo e raccogliere dati preziosi sulla nostra storia».

La cosa singolare è che entrambe queste indagini portano alla medesima conclusione: in principio era il caos. Meglio ancora: in principio era il vuoto. Un vuoto che non è identificabile col nulla, un concetto puramente filosofico che non ha a che fare con la fisica: per la scienza il vuoto «è cosa viva, sostanza dinamica e incessantemente mutevole, gonfia di potenzialità, gravida di opposti. Non è il nulla, è al contrario un sistema traboccante di quantità illimitate di materia e antimateria».

Anche in questo caso, pur tenendo distinti i piani, Tonelli non può non rievocare la Teogonia di Esiodo («All’inizio e per primo venne a essere il caos») per ribadire che il caos cosmico iniziale, inteso come vuoto, è tutt’altro che disordine. Senza subbio dalla sua descrizione per chi è credente viene facile ritrovare analogie fra il Big Bang e la Genesi biblica, ma questa rimane una suggestione che tocca l’intimo di ogni persona e che non sarà mai un’evidenza scientifica.

Certo, nel suo excursus storico degli emuli di Einstein, stupisce vedere come diversi degli scienziati che hanno investigato le origini dell’universo fossero ricercatori credenti come Georges Lemaître, il prete cattolico che nel 1927, a soli 33 anni, fra i primi comprese che le equazioni di Einstein potevano descrivere un universo dinamico. Egli definì la nascita dell’universo un processo verificatosi fra i dieci e i venti miliardi di anni fa e chiamò lo stato iniziale «atomo primordiale».

L’altro elemento sorprendente è la giovane età di molti di questi scienziati, nonché il fatto che siano stati spesso incompresi e maltrattati dall’establishment scientifico del tempo, ancorato all’idea di un universo eterno e di uno stato stazionario increato e perenne. Come Edwin Hubble, le cui misurazioni all’osservatorio di Monte Wilson in California confermarono le intuizioni di Lemaître.

Fu l’astronomo britannico Fred Hoyle, che si oppose a queste teorie innovative, a coniare l’espressione Big Bang proprio per irriderle. Poi arrivò nel 1964 la scoperta di Arno Penzias e Robert Wilson a confermare l’ipotesi cosmologica: l’esistenza di un fondo cosmico di radiazioni a microonde. I due astronomi statunitensi per primi registrarono l’eco del Big Bang. Un altro giovanissimo che avrebbe sconvolto la cosmologia moderna è stato Alan Guth, che nel 1979 dimostrò l’inflazione cosmica.

Il saggio di Tonelli affronta poi specificamente i tanti misteri dell’universo, dall’antimateria ai buchi neri, dalla nascita della luce a quella delle stelle, dalla teoria dell’unificazione a quella della simmetria infranta e, sia per chi è digiuno di nozioni scientifiche sia per chi ne è provvisto, ci si può davvero sbizzarrire.

Vale la pena qui richiamare alcune conclusioni a cui la fisica è giunta, in attesa di altre scoperte: l’universo che conosciamo ha energia nulla, quantità di moto nulla, carica elettrica nulla: è in uno stato di vuoto e per gli scienziati assomiglia a un’anatra, è in espansione ed è destinato a finire. È fatto per il 68 per cento di energia oscura, per il 27 per cento di materia oscura e solo per il 5 per cento di materia ordinaria. È composto da centinaia di miliardi di galassie ed è piuttosto monotono, vale a dire omogeneo. Si comporta come un grande forno a microonde: il suo riscaldamento è cessato in un lontano passato e da allora si è progressivamente raffreddato.

È nato quasi quattordici miliardi di anni fa ed è un ambiente gelido: appena si esce dal guscio protettivo dell’atmosfera la temperatura precipita, tanto che negli immensi spazi vuoti fra i pianeti o le stelle essa misura i meno 270 gradi centigradi. Per quanto riguarda la sua fine, i dati ci dicono che l’espansione dell’universo non è destinata a fermarsi. Rileva Tonelli: «Tutto corre a precipizio verso questo nulla, un cuore di tenebra invisibile che attrae, irrimediabilmente, tutto. Un gorgo terribile ci sta inghiottendo. La nostra fine è segnata». I tempi di questa catastrofe cosmica sono in verità lunghissimi.

Per venire a noi, sappiamo che il Sole dovrebbe durare per altri cinque o sei miliardi di anni, poi si trasformerà in una “nana nera”, un oggetto inerte invisibile. Stabilito tutto questo e riconosciuto quanto ancora rimane di sconosciuto del mistero delle origini e dei segreti dell’universo (e probabilmente resterà per buona parte per sempre inconoscibile, come dice il Siracide), resta aperta la questione della presenza dell’uomo.

All’ingresso del Cern, accoglie i visitatori una gigantesca sfera di legno. Al suo interno c’è un museo scientifico sulle pareti del quale sono incise tre domande: da dove veniamo? Dove andiamo? Chi siamo? Sono le domande classiche del pensiero, di fronte alle quali con Tonelli possiamo concludere che «arte, bellezza, filosofia, religione, scienza, in una parola la cultura, sono la nostra tenda magica, e ne abbiamo bisogno, disperatamente, da tempo immemorabile».

Magistero. Pastorale della famiglia: continuità e novità. Da Wojtyla a Bergoglio. Intervento del vescovo di Reggio Emilia – Guastalla. Il lascito di Giovanni Paolo II e l’ascolto dell’insegnamento di papa Francesco

(Ansa/Vatican Media)

da Avvenire

Caro direttore, ho seguito con preoccupazione, per quanto mi è stato possibile, i resoconti forniti dalla stampa sulle recenti vicende relative al Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia. Presso l’Istituto ho seguito i corsi di Licenza nei lontani anni Ottanta. Ho così avuto modo di conoscere molto da vicino e di apprezzare l’insegnamento che lì veniva svolto.

Negli anni dei miei studi mi sono incontrato con una nascente comunità di insegnanti che viveva una singolare e preziosa comunione di ricerca e di didattica. Dal 1990 al 1996 ho partecipato alla vita dell’Istituto insegnando, su invito del preside Caffarra, un piccolo corso di Metafisica e Gnoseologia per gli allievi del Master. Dal 1993 al 1996 inoltre sono stato eletto vicepreside della Sezione Romana: erano quelli gli ultimi due anni di presidenza di monsignor Caffarra e il primo di monsignor Scola.

Ho potuto così approfondire le impressioni che mi avevano segnato fin dall’inizio, partecipando a un’esperienza di lavoro accademico che godeva dell’attenzione di tanti vescovi nel mondo, i quali mandavano a studiare a Roma laici e preti, così da arricchire la Pastorale Famigliare delle loro Diocesi. Tutto è sempre avvenuto nel solco delle indicazioni date da san Giovanni Paolo II, che aveva voluto e fondato l’Istituto. Nell’omelia per la sua canonizzazione, Karol Wojtyla è stato giustamente definito da Francesco «il Papa della famiglia».

Penso che in quell’espressione così sintetica il pontefice volesse racchiudere uno dei centri focali del magistero e della preoccupazione pastorale del suo predecessore. La mente va alle catechesi svolte dal pontefice polacco sull’amore umano nel piano divino, all’Esortazione apostolica post-sinodale Familiaris consortio del 1981, all’istituzione del Pontificio Consiglio per la Famiglia voluto da papa Wojtyla lo stesso giorno in cui egli inaugurò l’Istituto per studi su matrimonio e famiglia, il 13 maggio 1981, giorno dedicato alla Madonna di Fatima e segnato dell’attentato alla vita del Papa.

Francesco ha raccolto e proseguito quella sollecitudine attraverso ben due Sinodi dei Vescovi dedicati al tema famiglia e infine l’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, indicando, con accenti nuovi, la cura della Chiesa per la realtà delle famiglie, il cui bene è «decisivo per il futuro della Chiesa e del mondo» (AL 31). Come vescovo della Chiesa, preoccupato dell’ascolto e dell’attuazione del magistero del Papa, ho sempre cercato di leggere il pontificato di papa Francesco e i suoi documenti in continuità con i pontificati precedenti.

La continuità del magistero è la chiave ermeneutica fondamentale della vita della Chiesa. Perché allora rappresentare oggi un’interruzione così profonda e traumatica nei confronti del lavoro svolto dall’Istituto Giovanni Paolo II? Perché offrire agli studenti l’impressione di una novità radicale che preoccupa e confonde, come alcuni di essi hanno manifestato?

Ogni Papa si radica, nella successione apostolica, sul depositum fidei e sull’insegnamento dei suoi predecessori. Non certamente per ripeterlo, ma per aprirlo, sotto la guida dello Spirito Santo, alle nuove necessità che i tempi e la vita della Chiesa urgono. Sono certo che questa è l’intenzione profonda di papa Francesco.

Il popolo cristiano deve essere aiutato a riconoscere questa continuità nella grande tradizione della Chiesa. Solo essa rende possibile ogni nuova apertura missionaria. L’evangelizzazione sempre avviene attraverso la testimonianza del bene per la vita dei fedeli, illuminandoli con la verità sull’uomo e sulla famiglia, che tutti abbiamo ricevuto da Cristo e che a noi, umili servitori del Regno, spetta di trasmettere con la gioia e la sicurezza che nascono da tale servizio.

Massimo Camisasca è vescovo di Reggio Emilia – Guastalla

Clima. I ghiacci della Groenlandia si sciolgono. In Nord Europa temperature record

E le previsioni a lungo termine non promettono nulla di buono. Il 28 luglio a Helsinki registrati per la prima volta 33,2°C.

In Groenlandia i ghiacciai si sciolgono a velocità impressionante e diventano fiumi impetuosi (immagine dal video in pagina)

In Groenlandia i ghiacciai si sciolgono a velocità impressionante e diventano fiumi impetuosi

Avvenire

L’ondata di caldo eccezionale che ha investito il Nord Europa non ha risparmiato nemmeno la Groenlandia, accelerando lo scioglimento del ghiaccio nella più grande isola del mondo, in piena zona artica: ben dieci miliardi di tonnellate si sono disperse nell’oceano in un solo giorno.

L’allarme è stato lanciato dall’Istituto Meteorologico della Danimarca (di cui la Groenlandia è territorio semi-autonomo). Il picco dello scioglimento dei ghiacciai si è verificato mercoledì, e in tutto luglio si parla di 197 miliardi di tonnellate: un miliardo di tonnellate, per avere un termine di paragone, corrisponde al contenuto d’acqua di 400mila piscine olimpioniche.

E le previsioni a lungo termine non promettono nulla di buono: “Il caldo e il clima soleggiato in Groenlandia è destinato a persistere, quindi lo scioglimento dei ghiacci proseguirà”, ha rilevato la climatologa Ruth Mottram, che lavora per l’istituto danese.

“Questo luglio ha eguagliato, se non superato, il mese più caldo mai registrato, secondo gli ultimi dati Wmo, World Meteorological Organization”. Così il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres su Twitter. Guterres avverte: “Se non interveniamo subito, gli eventi meteorologici estremi saranno solo la punta dell’iceberg e quell’iceberg si sta rapidamente sciogliendo”.

Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione meteorologica mondiale e del programma Copernico sui cambiamenti climatici, infatti, luglio 2019 ha eguagliato, se non superato, il mese più caldo mai registrato – scrive il Wmo-World Meteorological Organization
sul suo sito – Questo dopo che il mese precedente si era classificato come il giugno più caldo. “Le cifre mostrano che, in base ai primi 29 giorni del mese, luglio 2019 sarà come, e forse leggermente più caldo, del precedente luglio più caldo, quello del 2016, che è stato anche il mese più caldo di sempre”, avverte il Wmo.

Luglio ha riscritto la storia del clima, con dozzine di nuovi record di temperatura a livello locale, nazionale e globale – ha dichiarato il segretario generale del Wmo Petteri Taalas – Il caldo straordinario è stato accompagnato da un drammatico scioglimento dei ghiacci in Groenlandia, nell’Artico e sui ghiacciai europei. Incendi senza precedenti hanno imperversato nell’Artico per il secondo mese consecutivo, devastando foreste incontaminate che assorbivano l’anidride carbonica e trasformandole in fonti di gas serra. Questa non è fantascienza. È la realtà del cambiamento climatico. Sta accadendo ora e peggiorerà in futuro senza un’azione urgente sul clima”, ha affermato Taalas, che ha aggiunto: “Wmo prevede che il 2019 sarà tra i cinque anni più caldi e che il 2015-2019 sarà il quinquennio più caldo mai registrato”.

Il 25 luglio – continua il Wmo sul suo sito – Belgio, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi e Regno Unito hanno registrato nuovi record nazionali, tanto che le mappe meteorologiche sono state riviste per includere, per la prima volta, temperature superiori ai
40°C. Parigi ha registrato il giorno più caldo in assoluto, con una temperatura di 42,6°C alle 16.32, un valore senza precedenti
dall’inizio delle misurazioni.

L’ondata di calore è stata causata dall’aria calda proveniente dal Nord Africa e dalla Spagna, trasportata dall’Europa centrale alla
Scandinavia; la Norvegia ha visto nuovi record il 27 luglio e 28 località hanno avuto ‘notti tropicalì sopra i 20°C. 
La capitale finlandese Helsinki ha stabilito un nuovo record di 33,2°C il 28 luglio e, nel sud della Finlandia, Porvoo ha visto una
temperatura di 33,7°C.

Il punto. Università, un mese per scegliere per chi si è già iscritto ai test

Giorni contati per decine di migliaia di aspiranti matricole, ma per i tanti indecisi pesa la mancanza di orientamento nelle scuole superiori

Un test di accesso a un corso di laurea (foto d'archivio, Ansa)

Un test di accesso a un corso di laurea (foto d’archivio, Ansa)

Avvenire

Archiviata la maturità, per decine di migliaia di aspiranti matricole si aprono alcune settimane di riposo. Ma neppure molto, visto che agli inizi di settembre si svolgeranno le prove nazionali di selezione per l’accesso ai corsi di laurea in Medicina e Odontoiatria, Architettura e Veterinaria.

Chi ha scelto di intraprendere questa strada hanno già avuto un piccolo prologo con la fase di iscrizione ai test, che si è concluso lo scorso 25 luglio: 84.716 le domande presentate, secondo un calcolo diffuso dal ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca scientifica. Di questi 68.694 tenteranno di entrare a Medicina e Odontoiatria (i posti disponibili sono 11.568 per Medicina e 1.1.33 per Odontoiatria), in 8.242 affronteranno il test per Architettura (per 6.802 posti), altri 7.780 proveranno per Veterinaria (dove i posti disponibili sono 759).

Poi vi sono i neo diplomati che da tempo avevano scelto il percorso universitario e hanno partecipato ai test di ammissione di atenei come la Bocconi, il Politecnico e altre università. In alcuni casi si tratta di test fatti addirittura al quarto anno di scuola superiore.

Un terzo gruppo è rappresentato da chi ha già idea di quale percorso universitario compiere e attende soltanto di completare la pratica dell’iscrizione non dovendo fare alcuna prova di ingresso.

Infine vi sono le aspiranti matricole, che, però, non hanno ancora deciso. Un gruppo la cui consistenza è difficile da quantificare, ma che esiste e, in un sistema formativa che continua a relegare l’orientamento tra le attività quasi opzioni, può diventare un potenziale umano a rischio «fallimento».

Secondo i dati dell’Eurostat relativi al fenomeno dell’abbandono universitario colloca l’Italia al secondo posto in Europa, preceduti solo dalla Francia. E non ci si può consolare con il fatto che il 51,1% degli universitari che si laureano lo fanno nei tempi previsti dal corso di laurea, secondo il Rapporto AlmaLaurea sul 2018. Nonostante questo restiamo con un tasso basso di laureati nella popolazione tra i 15 e 64 anni d’età: il 16,3% secondo i dati 2017. Ma anche se nella fascia d’età 25-34 anni il tasso dei laureati raggiunge il 26,4% restiamo sotto di quasi 12 punti percentuali rispetto alla media Ue.

Quanto mai necessario, dunque, affrontare il tema dell’orientamento a iniziare dai primi anni di formazione. Potenziamento che non può prescindere dal coinvolgimento dei docenti che devono a loro volta essere formati per questo compito. Impegni a lungo periodo, anche se non c’è più tempo da perdere per iniziare.

Giovanissimi. Baby consumatori di droga, l’Italia non reagisce: l’allarme inascoltato

Cannabis, cocaina, allucinogeni. Ma anche alcol e medicinali assunti a dismisura, di certo non per fini terapeutici, da adolescenti e preadolescenti. Praticamente bambini.

Anche i bambini sono minacciati dalla droga. Spacciatori senza scrupoli

Anche i bambini sono minacciati dalla droga. Spacciatori senza scrupoli

Avvenire

Cannabis, cocaina, allucinogeni. Ma anche alcol e medicinali assunti a dismisura, di certo non per fini terapeutici. Se la droga prima era appannaggio dei “ragazzi sballati”, oggi, anche in Italia, viene usata sempre più frequentemente da adolescenti e preadolescenti. Praticamente bambini. La ferita è stata riaperta dal caso della bimba di 10 anni di Vimercate che si sarebbe presentata al Pronto soccorso con sintomi da “crisi di astinenza” da cocaina. La notizia poi è stata ridimensionata, ma resta il tema, troppo spesso sottovalutato, della sempre più frequente diffusione di droga tra i giovanissimi.

Neppure due mesi fa a lanciare l’allarme, inascoltato, era stata l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano, in una segnalazione inviata al governoalla Conferenza delle Regioni e alla Conferenza Stato-città: «Sono sempre più numerosi i giovanissimi che fanno uso di sostanze stupefacenti e alcoliche. Come testimoniato dalla comunità scientifica, l’inizio è precoce ed è in forte aumento l’utilizzo in fasce di età sempre più giovani». E dalle audizioni con gli esperti è emersa «l’immagine di un Paese nel quale non mancano esperienze e pratiche di rilievo, ma in cui il livello nazionale di offerta risulta disomogeneo, anche a fronte del fatto che alcune competenze in materia socio sanitaria sono rimesse alla programmazione regionale».

Insomma, l’emergenza già esiste ed è stata più volte segnalata, ma il Paese non è in grado di affrontarla. Nel 2018,nei servizi dei centri Fict, la Federazione italiana comunità terapeutiche, è stato rilevato un aumento del 34% di minori (di 12 anni o anche meno) che hanno assunto sostanze per la prima volta: di questi il 16% ha fatto uso di eroina, il 72% di cocaina, il 42% di cannabinoidi, il 26% dì allucinogeni, il 152% di alcolici. Spiega il presidente Fict, Luciano Squillaci: «Almeno due anni fa abbiamo lanciato il primo appello, ma il tema viene continuamente sottovalutato. Sempre più spesso vengono a chiederci aiuto genitori che scoprono che i figli di 12 o 13 anni hanno iniziato a usare cannabis, cocaina, eroina o allucinogeni».

Una situazione che peggiora nel tempo: «È sempre più facile procurarsi droga. Ne vendono ovunque, a prezzi bassissimi. Quello che lascia sbigottiti è la mancanza di controllo sociale. Un tempo eventuali situazioni di allarme sarebbero state immediatamente inquadrate, mentre oggi regna una totale indifferenza. L’Italia ha smesso di investire nei percorsi educativi e questi sono i risultati».

Il fenomeno è in continua mutazione. La legge contro la droga del 1990 prevede che ogni tre anni si tenga una conferenza nazionale di analisi e di aggiornamento, ma la buona volontà resta sulla carta: l’ultimo incontro risale a 10 anni fa. Le linee di intervento, poi, sono definite su base territoriale e così, anche per la cura di minori tossicodipendenti, c’è un Italia a 20 velocità, una per ogni regione. È impossibile persino ottenere i numeri complessivi del fenomeno, che per questo viene sottostimato: bisognerebbe prendere in considerazione tutte le sostanze psicoattive, dall’alcol agli psicofarmaci, dalle droghe illegali più tradizionali alle “novità del mercato” che spesso non vengono neppure rilevate dai laboratori specializzati.

«Una volta superata l’immediata emergenza al Pronto soccorso – spiega Riccardo Gatti, il direttore del Dipartimento interaziendale area dipendenze Asst Santi Paolo e Carlo di Milano – sarebbe necessario ricoverare i ragazzi che presentano dipendenze in strutture dedicate e non nei reparti di psichiatria o di neuropsichiatria infantile. Anche i servizi di intervento e le comunità terapeutiche sono strutturate per adulti e sono poco attrezzate, invece, per i minorenni». Quando sono nati i servizi per le dipendenze, tra gli anni Ottanta e Novanta, la situazione era molto diversa e i fruitori appartenevano in linea generale alla stessa generazione. Oggi il tema è più trasversale e riguarda una fascia ben più estesa di popolazione, dai preadolescenti agli anziani. È necessario pensare a una differenziazione di percorsi, prevedendo per i ragazzi una maggiore attenzione di tipo educativo. «Le sostanze – ricorda Gatti – sono ancora più dannose per i giovani, quando il cervello si sta ancora formando. Nei prossimi anni, a causa delle droghe, un numero di persone sempre maggiore potrebbe soffrire di problemi psichici, anche gravi»