Nuovo ciak a Reggio Emilia: all’ex Opg le riprese del film “La guerra è finita”

Il presidente Giorgio Zanni si è recato in visita ieri pomeriggio all’ex Ospedale psichiatrico giudiziario, storico complesso architettonico di proprietà della Provincia di Reggio Emilia, dove da alcuni giorni la casa di produzione Palomar sta girando le riprese di “La guerra è finita”, serie televisiva diretta da Michele Soavi interpretata, tra gli altri, da Michele Riondino e Isabella Ragonese e sostenuta dall’Emilia-Romagna Film Commission.

Le riprese dureranno fino ad agosto e interesseranno diversi centri dell’Emilia-Romagna, ma soprattutto Reggio Emilia, dove la stessa Palomar come noto ha aperto una proprio base al Parco Innovazione alle ex Reggiane, e la nostra provincia: da Villa Spalletti a San Donnino di Liguria di Casalgrande alla Corte Ospitale di Rubiera, ed ancora Guastalla, Novellara Scandiano, Sant’Ilario d’Enza, Gualt ieri e Quatto Castella.

“Si tratta dell’ennesimo film che, in questi ultimi anni, contribuirà a portare sui piccoli e grandi schermi i nostri luoghi e le nostre eccellenze, offrendoci dunque una importante opportunità di marketing territoriale – ha commentato il presidente della Provincia Giorgio Zanni – Altrettanto significativo è l’indotto economico per tutto il nostro territorio che si genererà grazie all’attenzione della Palomar e al prezioso lavoro della Regione, attraverso l’Emilia-Romagna Film Commission, per valorizzare il nostro patrimonio culturale, ambientale e storico, nonché le risorse umane che vi operano”.

“La guerra è finita” – che narra la storia di un gruppo di ragazzi e ragazze che hanno vissuto gli orrori dei lager e che, al termine del conflitto, tentano di ricostruirsi una vita – dovrebbe andare in onda in otto puntate, presumibilmente sulla RAI, all’inizio del 2020.

nexstopreggio.it

Da 200 anni le Figlie di Gesù insegnanti ed educatrici a Reggio Emilia

L’educazione ha sempre rappresentato e tuttora costituisce una priorità per la Chiesa reggiano-guastallese. Lo dimostrano le tante istituzioni scolastiche, dal nido alle superiori, che costellano il territorio diocesano; una cospicua letteratura ne ripercorre le vicende storiche e l’attività didattica.

Proprio in queste settimane la bibliografia è stata implementata da un volume di centottanta pagine dedicato ai due secoli di presenza a Reggio Emilia delle Figlie di Gesù.

Data infatti al 9 agosto 1819 la costituzione in città dell’Istituto delle Figlie di Gesù, fondate nel 1812 dal sacerdote veronese il venerabile don Pietro Leonardi (1769 – 1844).

Il libro è un’opera scritta a più mani: alla ricerca storica e alla documentazione archivistica si accompagnano numerose e qualificate testimonianze di ex-allieve ed ex-allievi, nonni e genitori, religiose, sacerdoti.

Il volume, Edizioni Tecnograf, è stata coordinata da un comitato di redazione formato da suor Ersilia Bennati, Giuseppe Campanini, Federica Davoli, Giovanni Fanticini, Azzio Gatti, Annarella Govi, Tommaso Lombardini, suor Ersilia Robolini, Francesca Salami. La grafica di copertina è di Daria Manenti, ex-allieva dal 1976 al 1984.

Prima di giungere nell’attuale sede di piazza Ugolini 1 – a fianco della chiesa parrocchiale di Santo Stefano – l’Istituto peregrinò dall’ex Ospitale di San Matteo (ora Isolato San Rocco), poi in abitazioni poste in via Gazzata, e quindi in piazza Santa Maria Maddalena (ora piazza Antonio Fontanesi), vicende ricostruite da Azzio Gatti. I due secoli di presenza a Reggio dell’istituto sono ripercorsi da Maria Palma Pelloso, mentre Walter Baricchi focalizza le vicende architettoniche della sede dell’Istituto e dell’attigua chiesa.

La scuola dell’infanzia tra tradizione e innovazione e le sue peculiarità pedagogiche sono indagate da Isa Mazzaperlini; i ricordi di Antonella Spaggiari nei riguardi delle Figlie di Gesù sono legati a suor Ilaria, a lungo operante nella materna parrocchiale di Massenzatico e ai suoi rapporti con l’istituzione scolastica quando è stata sindaco della città. Una famiglia accogliente: così mons. Tiziano Ghirelli definisce la comunità reggiana delle Figlie di Gesù fondata da don Pietro Leonardi di cui suor Maria Silvana Brentani delinea la figura e l’opera.

Particolare interesse riveste il ricchissimo corredo iconografico; sono decine e decine di foto in bianco e nero e soprattutto a colori che ritraggono generazioni di studentesse e studenti. L’obiettivo li ha colti in aula seduti nei banchi, durante coinvolgenti esperienze didattiche, visite di istruzione, saggi di fine anno scolastico e feste della scuola, vacanze al mare. In particolare, li si vedono nelle rituali e immancabili foto di classe alla fine dell’anno scolastico; al loro fianco, rassicuranti, compaiono per anni solo le religiose come insegnanti; poi, nelle foto più recenti, assieme alle suore maestre ci sono gli insegnanti laici. Le foto documentano anche gli incontri dell’Istituto con i vescovi Giovanni Paolo Gibertini, Adriano Caprioli, Massimo Camisasca; ma soprattutto la mattina del 6 giugno 1988 con papa Giovanni Paolo II.

In quanti si ritroveranno e si riconosceranno – a distanza anche di decenni – in quelle foto e certamente i loro ricordi andranno agli anni dell’infanzia e dell’adolescenza! Una vera e propria full immersion emozionante: i compagni di classe, lo studio, la disciplina, la preoccupazione per le interrogazioni e i compiti da svolgere puntualmente, i volti delle suore, i locali e il cortile in cui hanno trascorso gli anni della materna e delle elementari.

g.a.rossi

Dal Bambino Gesù di Roma ai bimbi della Siria: la catena del bene

Vatican Insider

(Cristina Uguccioni) L’impegno e le soddisfazioni dei medici del grande policlinico italiano che assicurano formazione ai colleghi, preparati e volenterosi, dell’ospedale pediatrico pubblico di Damasco. Quando gli esseri umani decidono di spendere le loro qualità migliori per gli altri, di costruire legami di prossimità e di cura, quando decidono di allearsi per restituire il sorriso a un bambino malato, non ci sono muri, confini, persino conflitti, che riescano a farli desistere. Accade ogni giorno, ovunque. In Italia un gruppo di medici si è impegnato ad assicurare formazione a colleghi siriani per assistere nel modo migliore i bambini che, già provati dalla guerra, giungono malati all’ospedale pediatrico pubblico di Damasco (il più grande della Siria).

Italia Sull’attuazione delle linee guida contro gli abusi si gioca la credibilità della Chiesa. Senza se e senza ma

L’Osservatore Romano

(Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto) È di notevole rilievo il documento pubblicato dai vescovi italiani e dalla Conferenza dei superiori maggiori delle comunità religiose presenti in Italia dal titolo Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili (24 giugno 2019): esso recepisce in maniera puntuale gli indirizzi che Papa Francesco ha dato alla Chiesa per affrontare la dolorosa questione degli abusi commessi da membri del clero, a cui lo stesso Papa ha voluto dedicare un “summit” mondiale dei presidenti delle conferenze episcopali, tenutosi in Vaticano dal 21 al 24 febbraio scorsi. Il testo porta in esergo una citazione di Francesco, che mostra chiaramente quanto dolore e quanta cura questa ferita abbia prodotto in lui: citando la frase di San Paolo «se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1 Corinzi, 12, 26), il Papa afferma: «Queste parole risuonano con forza nel mio cuore constatando ancora una volta la sofferenza vissuta da molti minori a causa di abusi sessuali, di potere e di coscienza commessi da un numero notevole di chierici e persone consacrate. Un crimine che genera profonde ferite di dolore e di impotenza, anzitutto nelle vittime, ma anche nei loro familiari e nell’intera comunità, siano credenti o non credenti […]. Il dolore delle vittime e delle loro famiglie è anche il nostro dolore, perciò urge ribadire ancora una volta il nostro impegno per garantire la protezione dei minori e degli adulti in situazione di vulnerabilità» (Lettera al popolo di Dio, 20 agosto 2018).
Il testo comprende principi guida e indicazioni operative: dopo aver affermato con assoluta chiarezza che l’abuso è sia un delitto che un peccato gravissimo, da «contrastare e prevenire con assoluta determinazione», si chiama in causa l’intera comunità cristiana, che deve sentirsi tutta «coinvolta nel rispondere alla piaga degli abusi, non perché tutta la comunità sia colpevole, ma perché di tutta la comunità è il prendersi cura dei più piccoli». A tutti viene domandato di impegnarsi «nell’ascolto delle vittime e nella loro presa in carico, favorendo una cultura della prevenzione, la formazione e informazione di tutta la comunità ecclesiale, la creazione di ambienti sicuri per i più piccoli, l’attuazione di procedure e buone prassi, la vigilanza e quella limpidezza nell’agire, che sola costruisce e rinnova la fiducia».
Nessuna copertura o omertà può essere insomma giustificata. Al primo posto deve esserci l’attenzione per le vittime: «La vittima va riconosciuta come persona gravemente ferita e ascoltata con empatia, rispettando la sua dignità. Tale priorità è già un primo atto di prevenzione perché solo l’ascolto vero del dolore delle persone che hanno sofferto questo crimine ci apre alla solidarietà e ci interpella a fare tutto il possibile perché l’abuso non si ripeta». La logica del “salvare la faccia”, che si ritorceva sulla tragica sofferenza di chi era stato abusato, è non solo abbandonata ma decisamente condannata come immorale e contraria alla verità e alla giustizia, umana e divina. Il prendersi cura delle vittime, accompagnandole e supportandole nel necessario percorso di riconciliazione, guarigione interiore e pace, si unisce poi al dovere della giusta penitenza di chi ha commesso abusi, chiamato a una profonda e radicale conversione.
Anche riguardo alla formazione dei futuri sacerdoti e religiosi il testo dà indicazioni chiare: «Sono necessari itinerari pedagogici che mirino a formare nei soggetti una solida identità e il senso autentico di quella particolare autorità legata al sacerdozio e alla consacrazione religiosa, che è l’autorità del servizio e della compassione; l’autorità di chi pone liberamente la propria vita al servizio degli altri». E la formazione dovrà essere permanente, come esercizio di una «libertà che si rinnova ogni giorno e rimotiva la scelta facendone scoprire bellezze inedite, fino a suscitare profonda gioia in chi ha scelto di appartenere totalmente a Dio».
Il documento chiede anche una fattiva collaborazione con le autorità dello Stato, nel rigoroso rispetto della normativa tanto canonica, quanto civile, attraverso la redazione e l’applicazione di procedure e protocolli opportuni, oltre che il supporto di specifiche competenze. Si dovrà ricorrere a tutte «le iniziative idonee per impedire la reiterazione dei reati», creando servizi e strumenti che ai vari livelli e con l’apporto di diverse professionalità «possano aiutare a diffondere una cultura della prevenzione, strumenti di formazione e informazione, oltre che protocolli procedurali».
Fra le indicazioni operative, il testo raccomanda che «l’ascolto di coloro che affermano di aver sofferto un abuso sessuale in ambito ecclesiale continui nel tempo e sia percorso di tutela e di cura attraverso cammini di giustizia e riconciliazione». Alla Chiesa tutta, infine, si chiede di «assicurare alle vittime e alle loro famiglie sostegno terapeutico, psicologico e spirituale […] secondo principi di legalità e trasparenza». Richieste puntuali, sulla cui attuazione si giocherà la credibilità di pastori e fedeli, chiamati a impegnarsi su questo fronte senza se e senza ma, nella consapevolezza di doverne rispondere al giudizio di Dio, oltre che a quello delle leggi civili, nel primario interesse della tutela dei più piccoli e vulnerabili, che, come ci ricorda il Vangelo, sono anche i più preziosi agli occhi del Signore. Si tratta insomma di un testo coraggioso e onesto, che suona anche come un invito a tutte le categorie dove questi delitti possono avvenire — specie famiglie e ambienti educativi — a prevenire ogni forma di abuso e a tutelare i minori.
L’Osservatore romano, 3-4 luglio 2019