II Domenica di Avvento (Anno C) Foglietto, Letture e Salmo

 II DOMENICA Avvento (ANNO C)

Grado della Celebrazione: DOMENICA
Colore liturgico: Viola

Scarica il foglietto della Messa >
Scarica le Letture del Lezionario >
Scarica il Salmo Responsoriale Cantato >

 

La seconda domenica di Avvento presenta la figura di Giovanni Battista come segno della venuta della salvezza di Dio. La storia vive qui il suo culmine: il momento più atteso e più desiderato, il momento dell’annuncio del regno di Dio che comincia: il Messia sta per arrivare.
Nella tradizione dei grandi profeti dell’Antico Testamento, la parola di Dio è rivolta a Giovanni nel deserto. Giovanni – figlio di Zaccaria – diventa così profeta e precursore del Messia.
Malgrado le paure e il terrore che ispira, il deserto è, nella memoria religiosa del popolo di Israele, il luogo di riunione, dove Dio ha parlato al cuore del suo popolo, il luogo dove Dio è stato più che mai il pastore del suo gregge.
Del deserto Giovanni denuncia e ricorda l’identità religiosa più particolare del suo popolo: il Dio d’Israele è fedele al suo legame e mantiene le sue promesse di salvezza.
Convoca di nuovo i suoi nel deserto, per annunciare loro l’arrivo del Messia. Ma Dio si aspetta sempre dall’uomo un minimo di collaborazione ed esigerà da lui un battesimo di conversione, la purificazione dei suoi peccati, e lo sforzo di superare gli ostacoli che gli impediscono di vedere l’alba della salvezza.

Giornata per la vita. Il germoglio che arricchisce presente e futuro

Giornata per la vita. Il germoglio che arricchisce presente e futuro

Pubblichiamo il Messaggio del Consiglio episcopale permanente della Cei per la 41ª Giornata nazionale per la vita che sarà celebrata in tutte le diocesi domenica 3 febbraio 2019

Germoglia la speranza
«Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa» (Is 43,19). L’annuncio di Isaia al popolo testimonia una speranza affidabile nel domani di ogni donna e ogni uomo, che ha radici di certezza nel presente, in quello che possiamo riconoscere dell’opera sorgiva di Dio, in ciascun essere umano e in ciascuna famiglia. È vita, è futuro nella famiglia! L’esistenza è il dono più prezioso fatto all’uomo, attraverso il quale siamo chiamati a partecipare al soffio vitale di Dio nel figlio suo Gesù. Questa è l’eredità, il germoglio, che possiamo lasciare alle nuove generazioni: «facciano del bene, si arricchiscano di opere buone, siano pronti a dare e a condividere: così si metteranno da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera» (1Tim 6, 18-19).

Vita che “ringiovanisce”
Gli anziani, che arricchiscono questo nostro Paese, sono la memoria del popolo. Dalla singola cellula all’intera composizione fisica del corpo, dai pensieri, dalle emozioni e dalle relazioni alla vita spirituale, non vi è dimensione dell’esistenza che non si trasformi nel tempo, «ringiovanendosi» anche nella maturità e nell’anzianità, quando non si spegne l’entusiasmo di essere in questo mondo. Accogliere, servire, promuovere la vita umana e custodire la sua dimora che è la terra significa scegliere di rinnovarsi e rinnovare, di lavorare per il bene comune guardando in avanti. Proprio lo sguardo saggio e ricco di esperienza degli anziani consentirà di rialzarsi dai terremoti – geologici e dell’anima – che il nostro Paese attraversa.

Generazioni solidali
Costruiamo oggi, pertanto, una solidale «alleanza tra le generazioni», come ci ricorda con insistenza papa Francesco. Così si consolida la certezza per il domani dei nostri figli e si spalanca l’orizzonte del dono di sé, che riempie di senso l’esistenza. «Il cristiano guarda alla realtà futura, quella di Dio, per vivere pienamente la vita – con i piedi ben piantati sulla terra – e rispondere, con coraggio, alle innumerevoli sfide», antiche e nuove. La mancanza di un lavoro stabile e dignitoso spegne nei più giovani l’anelito al futuro e aggrava il calo demografico, dovuto anche ad una mentalità antinatalista che, «non solo determina una situazione in cui l’avvicendarsi delle generazioni non è più assicurato, ma rischia di condurre nel tempo a un impoverimento economico e a una perdita di speranza nell’avvenire». Si rende sempre più necessario un patto per la natalità, che coinvolga tutte le forze culturali e politiche e, oltre ogni sterile contrapposizione, riconosca la famiglia come grembo generativo del nostro Paese.

L’abbraccio alla vita fragile genera futuro
Per aprire il futuro siamo chiamati all’accoglienza della vita prima e dopo la nascita, in ogni condizione e circostanza in cui essa è debole, minacciata e bisognosa dell’essenziale. Nello stesso tempo ci è chiesta la cura di chi soffre per la malattia, per la violenza subita o per l’emarginazione, con il rispetto dovuto a ogni essere umano quando si presenta fragile. Non vanno poi dimenticati i rischi causati dall’indifferenza, dagli attentati all’integrità e alla salute della “casa comune”, che è il nostro pianeta. La vera ecologia è sempre integrale e custodisce la vita sin dai primi istanti.
La vita fragile si genera in un abbraccio: «La difesa dell’innocente che non è nato deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo». Alla «piaga dell’aborto» – che «non è un male minore, è un crimine» – si aggiunge il dolore per le donne, gli uomini e i bambini la cui vita, bisognosa di trovare rifugio in una terra sicura, incontra tentativi crescenti di «respingere profughi e migranti verso luoghi dove li aspettano persecuzioni e violenze».
Incoraggiamo quindi la comunità cristiana e la società civile ad accogliere, custodire e promuovere la vita umana dal concepimento al suo naturale termine. Il futuro inizia oggi: è un investimento nel presente, con la certezza che «la vita è sempre un bene», per noi e per i nostri figli. Per tutti. È un bene desiderabile e conseguibile.

Musica. Laura Pausini e Biagio Antonacci in tour insieme negli stadi

da Avvenire

Laura Pausini e Biagio Antonacci (Foto ANSA/ US PAROLE & DINTORNI)

Laura Pausini e Biagio Antonacci (Foto ANSA/ US PAROLE & DINTORNI)

Laura Pausini e Biagio Antonacci andranno in tour insieme nei principali stadi italiani a partire da giugno 2019. L’annuncio è stato dato a sorpresa stamattina a Milano dalle due star della musica italiana che hanno deciso di unire le forze in una sfida non facile ma, sul carta interessante ed anche divertente. Perché, dicono i due, “sarà una grande festa, un regalo che vogliamo fra a tutti quelli che ci hanno portato fin qui e ridare indietro l’amore che ci hanno dato”.

Buoni sentimenti a parte, a fiutare il possibile successo di un tour evento è stata la Friends and Partner di Ferdinando Salzano che ha deciso di portare il duo Antonacci – Pausini in ben 10 stadi. Forte dell’esperienza positiva del Tour insieme di Nek, Renga e Pezzali, che però era nei palasport mentre qui si tratta di riempire gli stadi.

Ma Laura Pausini, fresca del suo quinto Grammy (“In quel momento mi sono sentita avvolta dal Tricolore” ha detto) e Biagio Antonacci ci vogliono provare anche perché sono amici di lunga data e i loro percorsi lavorativi si sono incrociati più volte. Biagio, infatti, è stato l’autore di numerosi successi della cantante emiliana tra cui “Tra te e il mare”, “Vivimi” e l’ultimo brano di prossima uscita “Il coraggio di andare”, in duetto insieme nell’album “Fatti Sentire ancora”.

“In un momento in cui giustamente si denuncia la violenza degli uomini sulle donne, noi vogliamo dimostrare che essere amici e volersi bene tra uomini e donne si può. La nostra è un’unione fraterna” ha detto una entusiasta Pausini. I due, tra aneddoti, brevi duetti e risate, hanno promesso che lo stesso feeling ci sarà sul palco..”Saremo sempre in scena e canteremo insieme molti brani” ha spiegato Antonacci.

Infine Laura Pausini, star in Sudamerica, ha rivolto un pensiero i migranti che che premono al confine tra Messico e Stati Uniti. “È una situazione triste che dura da anni di tante povere famiglie e bambini costretti fuggire e ne sono molto dispiaciuta. Non mi esprimo sulla politica perché non l’ho mai fatto, ma su questi problemi ho una mia idea precisa”.

Le tappe del tour

26 giugno – Stadio San Nicola, Bari
29 giugno – Stadio Olimpico, Roma
4 luglio – Stadio San Siro, Milano
8 luglio – Stadio Artemio Franchi, Firenze
12 luglio – Stadio Dell’Ara, Bologna
17 luglio – Stadio Olimpico, Torino
20 luglio- Stadio Euganeo, Padova
23 luglio – Stadio Adriatico, Pescara
27 luglio – Stadio San Filippo, Messina
1 agosto – Fiera di Cagliari

Verso la beatificazione. I monaci di Tibhirine martiri per amore: «con» e mai «contro»

Avvenire

Sabato prossimo, 8 dicembre, verranno proclamati beati 19 religiosi uccisi in Algeria nella tragica stagione che nell’ultimo decennio del secolo scorso ha visto morire 150mila persone, vittime della violenza islamista e della guerra civile. Tra di loro, anche i sette trappisti rapiti nel monastero di Tibhirine nel marzo del 1996, e di cui due mesi dopo furono ritrovate le teste mozzate.

Avevano deciso di restare nella terra in cui avevano scelto di testimoniare il Vangelo – nell’umiltà e nel servizio alla popolazione locale – anche quando tutto concorreva a lasciarla, quando la violenza dell’estremismo aveva preso di mira gli stranieri “crociati”. Restare per amore del popolo di cui si sentivano parte, restare perché «non si abbandona un amico quando soffre», come scriveva il vescovo di Orano, Pierre Claverie, ucciso da una bomba insieme all’amico musulmano Mohamed Bouchikhi.

Papa Francesco ha riconosciuto il martirio di questi «testimoni della speranza» sconosciuti ai più, elevandoli agli altari. Sarebbe troppo facile acclamarli eroi – e, in fondo, liquidarli nel nome di una straordinarietà che non può appartenere a persone normali – o ricordarli come “martiri contro”, piuttosto che come “martiri con”.

Non si può cogliere fino in fondo il significato del loro sacrificio se non si guarda alla radice profonda delle loro esistenze, alla croce su cui Gesù a braccia aperte ha voluto radunare tutti gli uomini perché figli di Dio. Le pagine del libro “La nostra morte non ci appartiene” scritto da Thomas Georgeon – il monaco trappista postulatore della causa di beatificazione dei 19 religiosi – ne raccontano in maniera commovente le biografie: e si rimane colpiti dalla radicalità con cui hanno vissuto, senza pretese per l’esito “pubblico” della loro presenza – spesso costretta al silenzio o alla riservatezza – e interamente fondata sull’offerta di sé, sull’attrattiva per un Amore che aveva conquistato il loro cuore e al quale avevano deciso di dare tutta la loro vita. Per quell’amore sono morti i sette monaci di Tibhirine, resi famosi e familiari al grande pubblico dal film “Uomini di Dio”, per quell’amore sono morte tre suore uccise in strada mentre andavano a Messa e altre due che rientravano dopo avervi preso parte.

Arriva dall’Italia una notizia che ci aiuta a cogliere il significato di una vita donata. Dal monastero di Vitorchiano, in provincia di Viterbo, partirà un piccolo gruppo di suore trappiste per una nuova fondazione in Portogallo, rispondendo alla richiesta del vescovo della diocesi di Bragança-Miranda, monsignor José Cordero. Per edificare un nuovo tabernacolo in una terra che – come tutta l’Europa – è percorsa dal vento secco della scristianizzazione, per fare memoria di ciò che davvero conta nella vita, per fare risplendere la luce di Cristo che rende fratelli anche degli sconosciuti, per testimoniare un Amore “senza se e senza ma”. Due segni di dedizione totale all’ideale, che scuotono il torpore e recintate certezze in cui tanti cristiani si sono accomodati, riducendo la fede a un soprammobile polveroso che non dice più nulla all’esistenza. Uomini e donne a cui possiamo guardare per imparare cosa significa donare la vita, come ci ha testimoniato per primo Chi lo ha fatto accettando la croce, e cominciando una rivoluzione d’amore che ha cambiato il mondo.