XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo Foglietto, Letture e Salmo

Grado della Celebrazione: SOLENNITA’
Colore liturgico: Bianco
 XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

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Per festeggiare Cristo, re dell’universo, la Chiesa non ci propone il racconto di una teofania splendente. Ma, al contrario, questa scena straziante della passione secondo san Giovanni, in cui Gesù umiliato e in catene compare davanti a Pilato, onnipotente rappresentante di un impero onnipotente. Scena straziante in cui l’accusato senza avvocato è a due giorni dal risuscitare nella gloria, e in cui il potente del momento è a due passi dallo sprofondare nell’oblio. Chi dei due è re? Quale dei due può rivendicare un potere reale (Gv 19,11)? Ancora una volta, secondo il modo di vedere umano, non si poteva che sbagliarsi. Ma poco importa. I giochi sono fatti. Ciò che conta è il dialogo di questi due uomini. Pilato non capisce niente, né dei Giudei, né di Gesù (Gv 18,35), né del senso profondo del dibattito (Gv 18,38). Quanto a Gesù, una sola cosa conta, ed è la verità (Gv 18,37). Durante tutta la sua vita ha servito la verità, ha reso testimonianza alla verità. La verità sul Padre, la verità sulla vita eterna, la verità sulla lotta che l’uomo deve condurre in questo mondo, la verità sulla vita e sulla morte. Tutti campi essenziali, in cui la menzogna e l’errore sono mortali. Ecco cos’è essere re dell’universo: entrare nella verità e renderle testimonianza (Gv 8,44-45). Tutti i discepoli di Gesù sono chiamati a condividere la sua regalità, se “ascoltano la sua voce” (Gv 18,37). È veramente re colui che la verità ha reso libero (Gv 8,32)

Commento al Vangelo: Gesù Cristo Re dell’Universo Anno B

Gesù Cristo Re dell’Universo
Anno B

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Osserviamo la scena: due poteri uno di fronte all’altro; Pilato e il potere inesorabile dell’impero; Gesù, un giovane uomo disarmato e prigioniero. Pilato, onnipotente in Gerusalemme, ha paura; ed è per paura che consegnerà Gesù alla morte, contro la sua stessa convinzione: non trovo in lui motivo di condanna.
Con Gesù invece arriva un’aria di libertà e di fierezza, lui non si è mai fatto comprare da nessuno, mai condizionare.
Chi dei due è più potente? Chi è più libero, chi è più uomo?
Per due volte Pilato domanda: sei tu il re dei Giudei? Tu sei re?
Cerca di capire chi ha davanti, quel Galileo che non lascia indifferente nessuno in città, che il sinedrio odia con tutte le sue forze e che vuole eliminare. Possibile che sia un pericolo per Roma?
Gesù risponde con una domanda: è il tuo pensiero o il pensiero di altri? Come se gli dicesse: guardati dentro, Pilato. Sei un uomo libero o sei manipolato?
E cerca di portare Pilato su di un’altra sfera: il mio regno non è di questo mondo. Ci sono due mondi, io sono dell’altro. Che è differente, è ad un’altra latitudine del cuore. Il tuo palazzo è circondato di soldati, il tuo potere ha un’anima di violenza e di guerra, perché i regni di quaggiù, si combattono. Il potere di quaggiù si nutre di violenza e produce morte. Il mio mondo è quello dell’amore e del servizio che producono vita. Per i regni di quaggiù, per il cuore di quaggiù, l’essenziale è vincere, nel mio Regno il più grande è colui che serve.
Gesù non ha mai assoldato mercenari o arruolato eserciti, non è mai entrato nei palazzi dei potenti, se non da prigioniero. Metti via la spada ha detto a Pietro, altrimenti avrà ragione sempre il più forte, il più violento, il più armato, il più crudele. La parola di Gesù è vera proprio perché disarmata, non ha altra forza che la sua luce. La potenza di Gesù è di essere privo di potenza, nudo, povero.
La sua regalità è di essere il più umano, il più ricco in umanità, il volto alto dell’uomo, che è un amore diventato visibile.
Sono venuto per rendere testimonianza alla verità. Gli dice Pilato: che cos’è la verità? La verità non è qualcosa che si ha, ma qualcosa che si è. Pilato avrebbe dovuto formulare in altro modo la domanda: chi è la verità? È lì davanti, la verità, è quell’uomo in cui le parole più belle del mondo sono diventate carne e sangue, per questo sono vere.
Venga il tuo Regno, noi preghiamo. Eppure il Regno è già venuto, è già qui come stella del mattino, ma verrà come un meriggio pieno di sole; è già venuto come granello di senapa e verrà come albero forte, colmo di nidi. È venuto come piccola luce sepolta, che io devo liberare perché diventi il mio destino.
(Letture: Deuteronomio 7,13-14; Salmo 92; Apocalisse 1,5-8; Giovanni 18,33-37)

«La musica è spirito e libertà»

da Avvenire

Ha l’intenzione di fare la cantante ancora per molto, e meno male. Perché Antonella Ruggiero svetta sempre, non solo per l’estensione e le purissime sonorità, ma per la costante ricerca di espressioni musicali originali. Ma una nuova linea di partenza è come se l’avesse tirata, visto che la sua opera discografica – in uscita dal 20 novembre – è intitolata appunto Quando facevo la cantante: una caleidoscopica raccolta di ben 115 titoli in sei cd, che ripercorre gli «innumerevoli brani realizzati dal 1996 a oggi» accompagnati da 180 pagine scritte di racconti.

Antonella Ruggiero, un progetto poderoso, che era stato annunciato un anno fa ma poi aveva subìto una battuta d’arresto.

«È vero, stavamo uscendo un anno fa, poi ci siamo fermati, perché noi siamo liberi e indipendenti, abbiamo la nostra piccola etichetta che ci permette di puntare al massimo della qualità senza pressioni dettate da altri, così abbiamo deciso di aggiungere molti brani. Alla fine ci siamo fermati a 115, e ognuno dei sei cd che li raccolgono descrive un genere diverso, dal classico, al sacro, al pop sofisticato, al pop più popolare, per arrivare alle “stranezze” nelle quali mi avventuro da anni, chi mi segue lo sa bene. Sono ventidue anni di musica a partire appunto dal 1996, l’anno in cui ho ripreso la mia attività in veste di solista».

Un lungo viaggio che ripropone il meglio delle sue registrazioni live durante i concerti in tutta Italia e all’estero, insieme a brani registrati in studio. Una vera e propria “enciclopedia” aperta alla voce Ruggiero…

«E non solo: in questi ventidue anni ho lavorato con numerosi musicisti interessanti e di grande talento, che hanno contribuito a creare un lavoro abbastanza unico, un collage di visioni musicali, un repertorio poliedrico e disparato che va da quello mio personale, ai brani d’epoca, a quelli provenienti dai vari luoghi del mondo. C’è di tutto qua dentro, i canti dialettali e quelli degli alpini, il jazz e il tango, le canzoni d’amore e le antiche romanze, i nostri inni sacri e i ritmi di preghiera delle popolazioni più lontane».

Il tutto nasce dentro un’altra armonia che funziona, quella tra lei e il musicista Roberto Colombo, che è anche suo marito.

«L’idea è stata sua. Una sera di tre o quattro anni fa mi ha detto che avremmo dovuto farci un regalo, mettere insieme un racconto sonoro di tutto ciò che era avvenuto in questi decenni di attività. È lui che ha mixato le registrazioni e i frammenti dai vari concerti, dando vita a questo puzzle complicato e affascinante… oserei dire un lavoro per gente sensibile e dalla mente aperta».

Si può dire che alla base di un successo tanto lungo c’è proprio il vostro solido sodalizio di coppia?

«Diciamo che ci conosciamo dagli anni ’80 e da sempre ho ammirato la genialità di Roberto Colombo nel rielaborare le armonizzazioni, assemblare i brani, mescolare i suoni, creare un prodotto finale che non conosce confini stilistici. Siamo due artisti che fanno musica in maniera complementare, io mi affiderei sempre a lui perché ha un gusto totalmente vicino al mio e sa che canto in un determinato modo. Poi è chiaro che Roberto mi conosce bene anche umanamente, abbiamo una visione univoca della vita, prima ancora che della musica, la nostra è una sin-tonia, in senso etimologico».

Perché considerare solo le sue opere dal 1996 in poi, quelle della Ruggiero solista, escludendo il “prima” che le ha dato la notorietà?

«Perché è un viaggio che parte da quando abbiamo intrapreso la via di un lavoro libero, scollegato dai dettami del commercio e dell’industria. È questa la vera Antonella, che si muove in maniera consapevole e aperta al mondo: al mondo musicale e al mondo in generale. Noi ascoltiamo musiche che non passerebbero mai per radio, abbiamo una visione della vita molto diversa da ciò che solitamente avviene tra i musicisti e i cantanti, specie al giorno d’oggi. Siamo nell’epoca dei “talent”, delle apparizioni fugaci e delle grandi illusioni? Noi invece ci avviciniamo alla minuzia dell’artigianato in senso alto, senza badare alle dinamiche della discografia. È chiaro che non puntiamo alla facile diffusione, ci rivolgiamo a chi ama la vera musica nella sua elevata bellezza».

Come nasce il titolo della raccolta? Quando facevo la cantante guarda davvero al passato o è una scherzosa strizzata d’occhio che non esclude un futuro?

«È nato una sera a casa dopo una lunga tournée, ero molto stanca e mi è uscita questa frase. Poi però ci abbiamo riso sopra e abbiamo pensato che sarebbe stato un bel titolo per un’opera discografica che dimostrasse quanto sia ancora possibile fare musica con competenza e senza sottostare a nessun compromesso: è un privilegio raro, una vera meraviglia. Al di là dei numeri, cui non pensiamo mai altrimenti le scelte sarebbero diverse, siamo sereni e fieri».

Che nuovi progetti ha allora in serbo Antonella Ruggiero per il futuro, per quando farà la cantante?

«C’è sempre qualcosa che lavora nella mente e fa sì che quella piccola fabbrica chiamata cervello continui a ideare. Ora amerei lavorare per le generazioni che, secondo me, soffrono di più a causa di questa pressione costante data da tutto ciò che hanno intorno, soprattutto dagli oggetti, veri tiranni visti come irrinunciabili e capaci di rovinarci l’esistenza. Mi riferisco ai bambini e agli adolescenti, oggi incapaci di entrare in un mondo musicale che rallenti la presa sul cervello e dia equilibrio. Nei ragazzini vediamo troppe alienazioni, che a volte sfociano in azioni drammatiche, ma non è colpa loro, è questo periodo storico che morde e non molla la presa. Un genitore che non può permettersi di comprare gli “oggetti” cosiddetti indispensabili per il figlio crede di essere inadeguato e si deprime, e i ragazzi senza quegli “oggetti” si sentono degradati: è una catena orrenda, costantemente sotto i nostri occhi, come non accorgercene? Oggi non è in corso una guerra fisica, non ci sono bombe che buttano giù i palazzi, ma buttano giù i cuori e le personalità, lasciando i nostri figli profondamente soli nonostante tanti social e telefonini. Una solitudine così in passato non c’era mai stata, nemmeno ai tempi della guerra, quando la solidarietà era una ricchezza. La semplicità è diventata un lusso per pochi fortunati».

Un quadro realistico e preoccupante. Concretamente, la musica può davvero aiutare a cambiare le cose?

«La musica è spirito e può fare molto, educare al bello, aprire al mondo. Bisogna mandare al diavolo le leggi del mercato e scegliere il messaggio positivo, ma per questo è necessario tornare ad essere artigiani, rinunciare ai grandi giri, anche a costo di aprirsi una propria etichetta discografica. Noi lo abbiamo fatto dal 1996. E l’abbiamo chiamata Libera».

Foglietto, Letture e Salmo 18 Novembre 2018 XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Grado della Celebrazione: DOMENICA Colore liturgico: Verde

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Quando si chiede ad un bambino della seconda metà del ventesimo secolo che cosa sia per lui la fine del mondo, risponde in termini di catastrofe e di annientamento, così come suggeriscono la bomba atomica e l’inquinamento. Ma quando si interroga Gesù sulla fine dei tempi, risponde in termini di pienezza e di ritorno. Egli afferma con forza che il Figlio dell’uomo ritornerà; non, come è già venuto, per annunciare il regno (Mc 1,15) e il tempo della misericordia (Gv 3,17), ma perché tutto si compia (1Cor 15,28). Allora ognuno troverà il proprio posto (1Cor 14,2-3) e otterrà la sua ricompensa in funzione delle proprie opere (Mt 16,27). La predicazione di Gesù è carica di questa preoccupazione: aprire gli occhi agli uomini sui segni premonitori di questa fine del mondo che non sarà una caduta nel nulla, ma un ingresso nella gloria. Ma ciò che resta e resterà nascosto, è la data di questo istante. Questo è un segreto del Padre. Egli non l’ha ancora svelato. Ecco perché la Parola (il Figlio) non lo sa. Il Padre non ha ancora espresso questo pensiero, per via della sua pazienza infinita e della sua bontà illimitata (2Pt 3,9). Inutile insistere (At 1,6-7) e chiedere: “Perché?”. Per il momento, questo non ci riguarda e non è nemmeno utile per noi saperlo. La sola cosa che conta è sapere che questo ritorno di Cristo ci sarà e che bisogna prepararsi ad esso, altrimenti ci si ritroverà irrimediabilmente esclusi dal Regno (Mt 25,11-12; Lc 13,25).

Idee. Mark O’Connell: c’è una tecnologia che vuole toglierci l’umanità

da Avvenire

Mark O'Connell: c'è una tecnologia che vuole toglierci l'umanità

L’idea è provare a immaginare di avere tra le mani un libro di Verne, Asimov, Ballard o Dick, e leggere di un possibile futuro distante cinquanta, cento anni, dal momento in cui si sta leggendo, ma una volta terminata la lettura, sul risvolto di copertina c’è il nome di Mark O’Connell, giornalista irlandese, 39 anni, collaboratore di Slate, Guardian e New Yorker, formazione umanistica e un figlio nato da poco. Cambia la prospettiva, quindi. Non fantascienza ma inchiesta giornalistica, ma soprattutto cresce la consapevolezza che il futuro di cui si parla nel libro è già arrivato. È un futuro che O’Connell scopre al termine di una ricerca di anni tra impianti di crioconservazione, cyborg, robot, biohacker e intelligenze artificiali, che lo portano a scrivere Essere una macchina (Adelphi, pagine 260, euro 19,00), una sorta di trattato sul transumanesimo, movimento basato sulla premessa che la specie umana, nella sua forma attuale, non rappresenti la fine del nostro sviluppo.

«La fantascienza – spiega O’Connell – può essere incredibilmente efficace in termini di previsione del futuro. Sono costantemente stupito da quanto JG Ballard fosse preveggente, per esempio, e da scrittori come Philip K. Dick e William Gibson. Ma parte di questo è dovuto al fatto che gli scrittori di fantascienza non solo predicono il futuro, ma in un certo senso lo creano, creando ad esempio determinate possibilità immaginative per la tecnologia. Mentre scrivevo il libro, ero costantemente colpito da quante idee transumaniste provenissero direttamente da scrittori di fantascienza come Arthur C. Clarke e Isaac Asimov. La finzione è in molti modi il fondamento della realtà, che è qualcosa a cui sono sempre più interessato nel mio lavoro». A questo aspetto, poi, O’Connell ne aggiunge un altro, fondamentale per meglio comprendere l’importanza di questa sua prima fatica letteraria: «Come scrittore sono interessato a esplorare la confusione, lo sconcerto, l’assurdità. Mi interessa lo sforzo di dare un senso a un mondo pazzo, ma non nello spettacolo di qualcuno che lo spieghi dall’alto. Nel mio libro torno continuamente alla mia vita, in particolare a mio figlio, e cerco di pensare alle idee complesse con cui ho a che fare, nel solo modo in cui posso, che è metabolizzarle attraverso la mia vita, la mia particolare esperienza di essere vivo in un corpo umano, tra gli altri esseri umani».

È così che è nato questo libro?

Mi sono interessato al transumanesimo per anni prima di scrivere un libro sul movimento. Quello che è successo in realtà è che sono diventato genitore, e parte dell’esperienza della prima genitorialità era una preoccupazione per la fragilità e la mortalità della condizione umana. Ho iniziato a pensare molto al transumanesimo, un movimento che offriva una via d’uscita a quella condizione. Quindi il libro è iniziato con un certo tipo di comprensione per la critica del movimento alla condizione umana. Il viaggio mi ha portato in molti posti che ho trovato inquietanti e strani, ma è iniziato in quel luogo di identificazione.

Cos’è il transumanesimo? E quali sono gli obiettivi del movimento?

Il transumanesimo è un movimento sociale che si basa sull’idea che potremmo e dovremmo usare la tecnologia per allontanare i confini della condizione umana. L’obiettivo, in definitiva, è quello di trascendere interamente la nostra biologia, diventando immortali attraverso la fusione di noi stessi e delle macchine. Se i transumanisti hanno ragione sul futuro, la nostra specie si evolverà in qualcosa di completamente diverso da ciò che siamo attualmente. Loro credono che ci fonderemo con l’intelligenza artificiale e sconfiggeremo la mortalità, trascendendo la nostra condizione animale.

Nel libro lei dice di non considerarsi un transumanista. Perché?

Non sono un transumanista perché le implicazioni che il movimento ha alla base mi disturbano. L’idea che lasceremo indietro la nostra umanità per diventare ibridi macchina-umani mi disturba molto. Mi interessa, tuttavia, principalmente per pensare ai modi in cui siamo già meccanizzati, dagli imperativi di una cultura capitalista, all’effetto pervasivo della tecnologia sulle nostre vite.

Che direzione ha preso la tecnologia da un punto di vista etico? Penso, ad esempio, alla disparità di cui parla nel libro tra coloro che saranno in grado di accedere ai prossimi sviluppi e coloro che non ne saranno in grado.

Questo per me è l’aspetto più inquietante del transumanesimo: l’idea che un piccolo numero di persone già privilegiate userà la propria ricchezza per diventare ancora più privilegiata, per diventare una specie umana più evoluta. È uno scenario da incubo distopico. Ma, soprattutto, non è che un’intensificazione del modo in cui le cose sono già.

Parlando di relazione tra limitazioni del corpo umano e tecnologia, un altro tema è quello della disabilità.Cosa ne pensa?

Non sono un esperto, ma la mia visione è che dovremmo cercare di rendere le nostre società il più vivibili possibile per le persone con ogni sorta di abilità e disabilità.

Anche la religione è un tema sempre più toccato dalla tecnologia. Lei ha dedicato un intero capitolo alla fede. In che direzione sta andando la relazione tra religione e tecnologia?

Non predico il futuro. Sono molto interessato al futuro, ma principalmente come a un modo per comprendere le speranze e le ansie del presente. Quindi sono riluttante a suggerire di avere qualche idea di dove il mondo stia andando, ma penso che sia certamente possibile che lo sviluppo dell’Ia di livello sovrumano possa avere un significato religioso.

In che modo questi cambiamenti tecnologici influenzeranno il lavoro, la politica, le arti?

Non lo so. Spero che troveremo un modo per garantire che l’intelligenza artificiale non funzioni semplicemente come mezzo per concentrare ulteriore ricchezza e potere in un numero sempre minore di persone. Comunque non è un problema che possiamo lasciare da risolvere ai tecnologi della Silicon Valley, questo è certo.

Che cosa significa, in definitiva, Essere una machina?

Il titolo deriva da una citazione di Andy Warhol, che disse di voler essere una macchina, ma che lo intendeva in un modo molto diverso da come la pensano i transumanisti. Suppongo che sia riuscito a essere molto simile alla macchina nella sua arte. Il titolo riguarda tanto i modi in cui gli umani sono definiti dalla relazione con le macchine, quanto il desiderio transumanista di diventare una macchina. Essere una macchina è, in un certo senso, una possibilità sempre presente, che è il cuore dell’essere umano. Penso sia quello il significato del titolo, ma penso anche che alla stessa domanda fatta la prossima settimana, risponderei in maniera diversa. Il che significa che devo essere ancora umano.