A noi, come sempre, il compito di scrutare i segni dei tempi e chiederci: cosa lo Spirito sta dicendo alla sua Chiesa con questi cambiamenti radicali?

di Sergio Di Benedetto – vinonuovo.it

Quando ero bambino e frequentavo la catechesi dell’iniziazione cristiana, con una certa regolarità si poneva il tema “missione”: generalmente questo accadeva in occasione del ritorno a casa di qualche missionario o missionaria, tutti consacrati. E così, anche se da lontano, quell’incontro tra i bambini e il religioso o la suora avevano un loro valore educativo, perché facevano allargare lo sguardo: con parole e foto, in tempi in cui Internet ancora non era diffuso, quei momenti erano una finestra sul mondo più povero. Ai bambini, infatti, si sottolineava soprattutto l’aspetto “sociale” della missione, lasciando in secondo piano, ma non poi totalmente nascosto, il carattere evangelico di vite spese in luoghi lontani. Erano i primi anni ’90 e la mia parrocchia, come tante altre, aveva in Africa o America Latina una decina di missionari, già maturi, ma ancora impegnati e sulla breccia.

Oggi, 25 anni dopo, cosa è rimasto? Di quei missionari, alcuni sono morti, altri sono ormai rientrati in Italia perché molto anziani, altri (pochi) sono ancora in missione. Ma il loro ritorno è ora più privato, meno comunitario: non c’è più il momento dell’incontro, o l’omelia predicata dal religioso che, all’occasione, chiedeva anche qualche offerta: la solidarietà non può essere solo a parole. Di cosa sia segno questo ripiegamento non saprei dirlo: lo registro, e mi spiace.

Oggi, comunque, quel mondo è tramontato e le stesse comunità occidentali, col fiato corto, le mille incombenze, i timori, le nostalgie, l’approccio un po’ difensivo e i numeri in drastico calo hanno poco interesse e poca energia per cercare di portare la “missio ad gentes” nel cuore della pastorale ordinaria. I mutamenti si vedono: oggi la missione ha più volti laici, più professionisti, e indubbiamente la globalizzazione stessa ha tolto quel tratto di eroicità e mistero che essa esercitava su quanti rimanevano a casa. I “serbatoi” di missionari, ossia regioni che donavano centinaia di uomini e donne, oggi sono a secco.

Ma di tutto quel mondo, cosa era realmente evangelico e cosa era orpello? Io credo che molto fosse buono, che molto fosse radicato in una vera dimensione cristiana. Eppure, come tanti altri fenomeni, anche questo della “missione” intesa in senso novecentesco è finito. Possiamo rammaricarci, ma il dato di realtà è così. Sappiamo che non si dà cristianesimo senza una necessaria spinta missionaria: essa rimarrà, ma credo che sarà ben diversa: forse sarà circoscritta al mondo occidentale, forse saranno quei mondi lontani, nel futuro, a mandare i loro missionari in Occidente (quante parrocchie, già oggi, sono rette in Italia da clero non locale?), forse è davvero, in ogni ambito, il tempo dei laici.

A noi, come sempre, il compito di scrutare i segni dei tempi e chiederci: cosa lo Spirito sta dicendo alla sua Chiesa con questi cambiamenti radicali? Onestamente non saprei rispondere. Per me la missione ha ancora quel sapore che mi deriva dall’infanzia, un po’ naïf, senz’altro. E non più attuabile. Di certo, qualcosa di nuovo è all’orizzonte, perché la fede è per se stessa dinamica e lo Spirito non ama la staticità, gli arroccamenti e le teste sotto la sabbia.

Al via la campagna Unicef contro la malnutrizione

«Ogni anno la malnutrizione è concausa della morte di circa 3 milioni di bambini sotto i 5 anni. Oltre 200 milioni sono i bambini malnutriti in tutto il mondo». Il presidente di Unicef Italia Francesco Samengo presenta, dati alla mano, la campagna di raccolta fondi per «curare e proteggere milioni di bambini malnutriti in tutto il mondo», promossa dall’Unicef. E cita alcuni casi: lo Yemen, anzitutto, dove ogni anno 30mila  bambini sotto ai 5 anni muoiono per malattie che hanno come concausa la malnutrizione, 1,8 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta – «di questi 400mila bambini rischiano la vita» – e un totale di 18,5 milioni di persone soffrono di insicurezza alimentare. Ma anche la Repubblica democratica del Congo, con due milioni di bambini che soffrono di malnutrizione acuta grave.

In Yemen 2.575 bambini sono stati uccisi, 4.064 feriti, 2.706 bambini – maschi – reclutati nei combattimenti. Ogni 10 minuti un bambino muore per malattie facilmente prevenibili e i tassi di matrimoni infantili sono aumentati di due terzi. In Repubblica democratica del Congo circa 7,9 milioni di bambini hanno bisogno di aiuto e assistenza. Per loro, ma non solo, fino al 2 dicembre è possibile donare 2 euro al numero solidale 45525 con sms da cellulare personale Wind Tre, Tim, Vodafone, Poste Mobile, CoopVoce, Tiscali; 5 euro al 45525 con chiamata da rete fissa Twt, Convergenze, PosteMobile; 5 o 10 euro al 45525 con chiamata da rete fissa Tim, Wind Tre, Fastweb, Vodafone, Tiscali. L’obiettivo: «Raccogliere fondi per curare e proteggere milioni di bambini malnutriti in tutto il mondo», spiega Samengo.

Per combattere la malnutrizione, Unicef garantisce in tutto il mondo interventi semplici e a basso costo come la fornitura di latte e alimenti terapeutici ad alto contenuto proteico, vitamine e sali minerali in grado di restituire peso e forza a neonati e bambini fortemente debilitati. I fondi raccolti nella campagna saranno destinati ai programmi per la nutrizione infantile, con particolare attenzione ai Paesi colpiti da emergenze umanitarie.

romasette

Presentato l’Atlante dell’infanzia a rischio di Save the Children. Un viaggio attraverso le periferie delle grandi città e del Paese, da cui emerge un mancato accesso a istruzione, spazi ricreativi e culturali. 1,2 milioni i minori in povertà assoluta

Oggi 1,2 milioni di bambini e adolescenti vivono in povertà assoluta ma non sono solo le condizioni economiche del nucleo familiare a pesare sul loro futuro: l’ambiente in cui vivono i bambini ha un enorme impatto nel condizionare le loro opportunità di crescita e di futuro. È questo uno degli aspetti più rilevanti emersi dai dati contenuti nel IX Atlante dell’infanzia a rischio “Le periferie dei bambini” di Save the Children, pubblicato da Treccani, e presentato oggi, 13 novembre, in anteprima. Il rapporto si propone di essere una vera e propria mappa dei divari che in termini di risorse economiche e culturali, accessibilità dell’istruzione e dei servizi, qualità degli spazi urbani, verdi, ricreativi espongono maggiormente bambini e adolescenti al rischio di vulnerabilità, ma dimostra al tempo stesso come essi siano la risorsa più vitale e il potenziale più alto su cui puntare per innescare una indispensabile rigenerazione di questi luoghi. Il primo tentativo di cartografare le periferie italiane dal punto di vista dell’infanzia che attinge all’esperienza di Save the Children e di tante altre associazioni impegnate sul campo, alle più recenti ricerche scientifiche e ad una collaborazione straordinaria con Istat, uffici statistici di Miur e Invalsi e ufficio studi della Caritas Italiana.

Spazi pubblici, politica e ricchezza: minori ai margini. Nelle 290 pagine dell’Atlante, emerge come i bambini e gli adolescenti siano sempre più ai margini della popolazione in termini demografici: nel 1987 erano il 23,2% del totale e oggi superano di poco il 16%, a fronte degli over65 che sono cresciuti dal 12,6% al 21,2%8. Minori che si ritrovano anche ai margini dello spazio pubblico, se è vero che 94 bambini su 100 tra i 3 e i 10 anni non hanno modo di giocare in strada, solo 1 su 4 trova ospitalità nei cortili e poco più di 1 su 3 ha la fortuna di avere un parco o un giardino vicino a casa dove poter giocare. Ai margini della politica, per effetto di una spesa pubblica che negli anni della crisi economica, pur crescendo in termini assoluti, ha tagliato la voce istruzione e università dal 4,6% sul PIL del 2009 al 3,9% del 2015-16, mentre altri Paesi europei rispondevano alle difficoltà di budget in maniera diametralmente opposta aumentando questa voce di investimento fino al 5% del PIL. Una forbice in negativo con l’Europa che si riscontra anche sui fondi per “famiglia e minori” fermi in Italia a un esiguo 5,4% della spesa sociale, contro l’11% di Germania, Regno Unito e Svezia e ben al di sotto della media UE attestata all’8,5%11. I minori in Italia sono soprattutto, e sempre di più, ai margini della ricchezza, se si considera che la povertà assoluta riguarda il 12,1% di loro, non fa distinzioni tra bambini e adolescenti (12,4% fino a 3 anni, 11,4% da 4 a 6 anni, 12,3% 7-13 e 11,8%14-17) e pesa sul quotidiano di 702mila famiglie con minori (10,9%). La povertà relativa riguarda 1 minore su 5 e, a conferma di un trend negativo, chi ha oggi meno di 17 anni ha una probabilità di diventare povero cinque volte più alta rispetto ai propri nonni.

Apprendimento scolastico: i numeri del divario. Dai dati Istat 2011 emerge che all’interno di una stessa città, l’acquisizione delle competenze scolastiche da parte dei minori segna un divario sconcertante. A Napoli, i 15-52enni senza diploma di scuola secondaria di primo grado sono il 2% al Vomero e quasi il 20% a Scampia, a Palermo il 2,3% a Malaspina-Palagonia e il 23% a Palazzo Reale-Monte di Pietà, mentre nei quartieri benestanti a nord di Roma i laureati (più del 42%) sono 4 volte quelli delle periferie esterne o prossime al Grande raccordo anulare nelle aree orientali della città (meno del 10%).  Ancora più forte la forbice a Milano, dove a Pagano e Magenta-San Vittore (51,2%) i laureati sono 7 volte quelli di Quarto Oggiaro (7,6%). Differenze sostanziali tra una zona e l’altra riguardano anche i Neet ovvero i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano più, sono senza lavoro e non sono inseriti in alcun circuito di formazione: nel capoluogo lombardo, in zona Tortona, sono il 3,6%, meno di un terzo di quelli di Triulzo Superiore (14,1%), mentre a Genova sono 3,4% a Carignano e 15,9% a Ca Nuova, e a Roma 7,5% Palocco e 13,8% a Ostia Nord. Anche i dati tratti dai test Invalsi testimoniano il divario nell’apprendimento scolastico. A Napoli, ad esempio, una distanza siderale di 25 punti Invalsi divide i bambini dei quartieri più svantaggiati da quelli che abitano a Posillipo, a Palermo sono 21 quelli tra Pallavicino e Libertà, a Roma 17 tra Casal de’ Pazzi e Medaglie d’Oro, e a Milano 15 punti dividono Quarto Oggiaro da Magenta-San Vittore.

Infine, allargando lo sguardo alle altre risorse educative essenziali per lo sviluppo dei bambini, scopriamo, ad esempio, che i minori che non hanno l’opportunità di navigare su internet nel Mezzogiorno si concentrano nei capoluoghi delle grandi aree metropolitane (36,6%), e vivono spesso nelle famiglie con maggiori difficoltà economiche (38,8%), così come, nelle stesse zone, i bambini e adolescenti che non svolgono attività ricreative e culturali raggiungono il 77,1%4. Sono quasi 3,6 milioni i bambini e adolescenti che vivono nelle 14 principali aree metropolitane del Paese (2 su 5 del totale in Italia), e crescono spesso in zone o quartieri sensibili che possiamo definire “periferie” da tanti punti di vista differenti, non solo rispetto alle distanza dal centro città, ma in base ai diversi deficit urbanistici, funzionali o sociali dei territori. Sono ad esempio “periferie funzionali” i quartieri dormitorio, “svuotati” di giorno per effetto dei grandi flussi pendolari verso i luoghi di lavoro, privi di opportunità e povere di relazioni sociali. Secondo questo criterio, a Roma e Genova vivono in aree “periferiche” il 70% dei bambini al di sotto dei 15 anni, e a Napoli e Palermo il 60%, un numero che scende al 43% a Milano e al 35% a Cagliari. Più in generale, quando bambini e adolescenti delle città più densamente popolate si guardano intorno, 259.000 (l’11,8%) vedono strade scarsamente illuminate e piene di sporcizia, non respirano aria pulita e percepiscono un elevato rischio di criminalità.

Redattore Sociale

La riforma della Curia e il volto della Chiesa missionaria

La riforma della Curia romana è un processo «delicato» che va ben oltre le trasformazioni strutturali o l’emanazione di nuove leggi e normative; riguarda il volto della Chiesa missionaria di cui Papa Francesco parla già nell’esortazione apostolica “Evangelii gaudium”. Una riforma che non vuole «stravolgere» le tradizioni ma conservarle e accompagnarle a una sorta di «manutenzione». Nella sua  lectio magistralis sulla bozza della nuova costituzione apostolica della curia romana, il cui titolo provvisorio è “Praedicate evangelium” (Predicate il Vangelo), il vescovo di Albano Marcello Semeraro, segretario del Consiglio dei cardinali (C9) ha fatto il punto sullo stato attuale della proposta fortemente voluta da Bergoglio. Il documento sostituirà la vigente Pastor bonus del 1988. Secondo il vescovo dovrebbe essere approvato nel 2019 al termine di un nuovo giro di consultazioni che inizierà a breve.

Il prelato ha tenuto la prolusione in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico della Pontificia Università Lateranense svoltasi questa mattina, lunedì 12 novembre, nell’aula magna dell’ateneo, nella quale è stato presentato anche il nuovo percorso formativo in Scienze della Pace. È stato istituito per volontà del Papa, il quale in un messaggio letto dal Sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato Edgar Peña Parra mette in evidenza che il desiderio di pace nel mondo presuppone «uno sforzo educativo all’ascolto e alla comprensione ma anche alla conoscenza e allo studio del patrimonio di valori, delle nozioni e degli strumenti capaci di abbattere tendenze all’isolamento, alla chiusura e a logiche di potenza che sono portatrici di violenza e distruzioni». Il mondo universitario, scrive Bergoglio, ha un ruolo predominante nell’azione che la Chiesa conduce «per superare i conflitti con i mezzi pacifici e la mediazione, la promozione e il rispetto dei diritti umani fondamentali, lo sviluppo integrale di popoli e Paesi». I 1.416 studenti e i 146 docenti dell’università, che vanta 4 facoltà e due istituti, devono sentirsi chiamati ad evangelizzare senza temere «di rischiare e di sognare la pace per tutte le persone e tutte le nazioni». Il nuovo ciclo di studi conferirà i gradi accademici di baccellierato e di licenza a conclusione, rispettivamente, di un primo ciclo triennale e di un biennio di specializzazione.

Per quel che riguarda la nuova costituzione apostolica, composta da 25 punti, Semeraro ha ricordato che è già stata consegnata al Papa. Francesco comunicò l’avvio di una riforma della Curia Romana il 13 aprile 2013 in concomitanza con l’annuncio della costituzione di un Consiglio di Cardinali per affiancarlo nel governo della Chiesa universale. Il documento è destinato a una revisione stilistica e una rilettura canonistica. Per Semeraro, per comprendere il testo «è indispensabile» tenere ben presente Evangelii gaudium, pubblicata nella fase iniziale dei lavori del C9. Per spiegare la trasformazione missionaria della pastorale il vescovo ha citato le parole pronunciate da Bergoglio il 28 luglio 2013 durante il viaggio a Rio de Janeiro per la 28° Giornata mondiale della gioventù. «Il Papa aveva distinto due dimensioni della missione – ha affermato Semeraro -: una programmatica e l’altra paradigmatica».

Tra i dodici principi-guida della proposta di riforma richiamati da Francesco, il vescovo si è soffermato sul principio della sussidiarietà, della decentralizzazione, della gradualità che come ha spiegato il Papa «è il frutto dell’indispensabile discernimento che implica processo storico, scansione di tempi e di tappe, verifica, correzioni, sperimentazione, approvazioni ad experimentum». Il vescovo di Albano non ha escluso che questo criterio «importante per conservare alla Curia romana il suo carattere di “servizio” rimanga pure a promulgazione avvenuta». Il principio della tradizione si è rivelato fondamentale per il lavoro del C9. «È proprio secondo questo principio che sarebbe fuorviante pensare a una riforma che stravolga l’intero impianto curiale – ha rimarcato Semeraro – Nella Curia infatti ci sono dicasteri che riguardano azioni fondamentali dell’agire ecclesiale, quali l’annuncio del Vangelo, la tutela della fede e la custodia dei costumi, la vita liturgica, il servizio della communio e della carità. Altri dicasteri riguardano poi le persone e gli stati di vita nella Chiesa. Tutto ciò deve necessariamente essere conservato anche se, come per ogni struttura di servizio, ha sempre bisogno di una permanente sorta di “manutenzione”».

Nella foto, il rettore della Pontificia Università Lateranense Vincenzo Buonomo

Parlando del principiodell’innovazione, il vescovo ha ricordato il dicastero per la comunicazione istituito da Bergoglio nel 2015 e la scelta di farlo guidare da un laico, Paolo Ruffini. Scelta “innovativa” anche quella di nominare un laico, Vincenzo Buonomo, rettore della Lateranense. Per illustrare il “processo” di riforma il vescovo ha ripreso il discorso pronunciato da Francesco il 22 dicembre 2016 in occasione degli auguri natalizi alla Curia Romana. Il Papa metteva in risalto che la riforma «è un delicato processo» che tra l’altro deve essere vissuto «con fedeltà all’essenziale, continuo discernimento, evangelico coraggio, ecclesiale saggezza, attento ascolto, tenace azione, profonda umiltà, determinata volontà, vivace vitalità». Per Bergoglio la riforma è quindi «ben più di un qualunque mutamento strutturale – ha concluso Semeraro -; si tratta, invece, di ciò che è necessario perché nel fluire del tempo e nel cambiamento delle situazioni la Chiesa conservi la sua “sacramentalità”, ossia la sua trasparenza nei riguardi di Dio che la fa esistere e in essa dimora.  E questo vale anche per la Curia. Ciò che si chiama “riforma” è intimamente connesso al volto di Chiesa in uscita missionaria, come si legge in Evangelii gaudium».

Ad aprire il 246° anno accademico della lateranense il cardinale vicario Angelo De Donatis, gran cancelliere dell’ateneo. Il porporato ha evidenziato che il lavoro del C9 interesserà anche l’università perché la riforma «delinea una ristrutturazione degli organismi della Santa Sede», tra cui l’ateneo, e riguarderà anche gli studi giuridici. Ma la «destinazione ultima» dell’organizzazione e del lavoro della Curia è l’evangelizzazione, processo al quale l’università potrà dare il suo contributo quando la costituzione sarà promulgata. Il cardinale ha invitato studenti e accademici a fare proprio il cammino della Chiesa di Roma appellandosi «all’intelligenza della fede», per essere «cooperatori della Verità nella carità». Questo è un lavoro al quale «ognuno è invitato: nessuno pensi che riguardi soltanto gli altri. Una comunità cristiana come questa università aspira a essere può trovare in un cammino di guarigione del genere un’occasione insperata per fare esperienza della presenza e della misericordia del Signore».

Il rettore ha infine rimarcato che il ruolo dell’ateneo è quello di «partecipare al dibattito della cultura del ventesimo secolo per dare risposte». Ha invitato personale e studenti a non cedere alla «tentazione del lateranocentrismo per concretizzare l’invito di Papa Francesco a essere in uscita per far sperimentare a diversi popoli il dono di Dio secondo la propria cultura». Gli impegni futuri e i criteri essenziali sui quali l’università deve insistere richiamano alla «sobrietà e alla trasparenza. Dobbiamo cercare di compiere il nostro dovere sempre al meglio».