L’impronta fossile dell’animale più antico Vecchia di 558 milioni di anni, conserva ancora tracce di grasso

L’animale più antico della Terra risale a 558 milioni di anni fa. Si chiama ‘Dickinsonia’ ed è stato identificato grazie al colesterolo conservato nei resti fossili. (fonte: The Australian National University (ANU) © Ansa

Era ovale, lungo circa un metro e mezzo e aveva una struttura a segmenti il più antico animale finora individuato. Vissuto 558 milioni di anni fa, si chiama ‘Dickinsonia‘ ed è stato identificato grazie alla presenza nei resti fossili di tracce del suo grasso. È quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista Science da un gruppo dell’Università nazionale australiana coordinato da Jochen Brocks, in collaborazione con l’Accademia delle scienze russa, l’Istituto tedesco Max Planck per la biogeochimica e l’Università tedesca di Brema.

I fossili sono stati rinvenuti sul costone di una scogliera della regione remota del Mar Bianco, nella Russia nordoccidentale, e contengono molecole di colesterolo, un tipo di grasso che rappresenta un segno distintivo della vita animale.
Questo tipo di fossili era già noto, ma la loro classificazione era finora poco chiara. Alcuni paleontologi pensavano, infatti, che si trattasse di cellule giganti dall’aspetto ameboide, di funghi o di esperimenti falliti dell’evoluzione, appartenenti a un regno diverso da quello animale. L’aver trovato molecole di colesterolo nei fossili ha rappresentato per i paleontologi una svolta, che ha permesso d’inquadrare Dickinsonia tra i primi organismi terrestri del regno animale.

“Si tratta di un organismo antecedente alla cosiddetta esplosione di vita delCambriano, avvenuta 540 milioni di anni fa”, ha spiegato Brocks. Secondo gli autori, Dickinsonia visse, infatti, a cavallo tra un mondo antico unicellulare dominato dalle prime forme di vita batterica e uno più moderno, popolato da animali che si diffusero rapidamente su tutto il pianeta.

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XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) Foglietto Letture e Salmo

XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Grado della Celebrazione: DOMENICA Colore liturgico: Verde

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L’itinerario di Gesù verso Gerusalemme è un susseguirsi di insegnamenti e raccomandazioni; una specie di manuale catechetico, che serve da continuo confronto per la fede, ancora solo incipiente, dei discepoli.
L’interrogativo posto da uno di loro: “Abbiamo visto uno che scacciava i demoni… ma non era dei nostri” descrive bene il rigido schematismo dentro cui, loro come noi, vorremmo imprigionare la libertà dello Spirito, che soffia sempre dove e come vuole.
Non siamo noi cristiani i padroni della salvezza, donataci da Cristo. Sia pure avendo responsabilità e modalità diverse in seno alla Chiesa, noi cristiani abbiamo solo il compito di far incontrare, tra di noi e agli altri, con la nostra testimonianza, la nostra parola e le nostre opere, la persona di Cristo.
La consapevolezza della gratuità del dono di Cristo ci obbliga a valorizzare tutto ciò che, nel mondo, fa presagire e manifesta la sua presenza redentrice, perché Cristo, unico ad avere una risposta esauriente all’inquietudine presente nel cuore dell’uomo, può inviare lo Spirito Santo a illuminare il cuore di ogni persona.
Il nostro desiderio più profondo dovrebbe essere quello di Mosè, quando ha esclamato: “Fossero tutti profeti nel popolo di Dio e volesse il Signore dare loro il suo spirito!”.

Sette proposte per il Sinodo dei giovani

Tra pochi giorni si apre il Sinodo dedicato ai giovani; per un anno e mezzo abbiamo dato voce, spazio e tempo ai giovani che hanno accettato l’invito a lavorare con noi. Accanto ai loro contributi, abbiamo portato avanti anche una serie di temi relativi a quello che, a nostro avviso, riguarda il rapporto tra i giovani e la fede.

Tutto il percorso fatto ci ha condotti a elaborare sette proposte, che sono il ‘condensato’ sia delle nostre esperienze, sia di quello che in questi mesi abbiamo imparato dai giovani. Queste sette proposte, che umilmente vogliamo portare ai padri sinodali al fine di contribuire al confronto e al dialogo, sono il nostro sogno e la nostra visione per una Chiesa giovane, per una Chiesa di tutti.

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1. Generare un luogo permanente di confronto. Il Sinodo dovrebbe portare a creare spazi ecclesiali istituzionalizzati e sistematici in cui si continui il confronto tra realtà giovanili di paesi differenti e tra livelli di responsabilità ecclesiale diversi. Operativamente sono importanti due aspetti. È fondamentale che in questo ‘organismo’ si viva la freschezza e la libertà dell’età giovanile, per cui rimangono necessari sia la presenza di persone in età non avanzata, sia un numero maggioritario di laici, preferibilmente operanti in situazioni ecclesiali di ‘frontiera’ (geografica, politica, affettiva, intellettuale, etc.), facendo così da specchio della realtà contemporanea. Di conseguenza è necessario che in questo ‘organismo’ si diano spazi sistematici di ascolto agli educatori che accompagnano i giovani, a partire dagli insegnanti di scuole superiori, sino agli allenatori sportivi, ai maestri nelle varie discipline artistiche (musicale in primis) e agli adulti impegnati nel mondo universitario e formativo (sia responsabili laici o consacrati dell’animazione di pastorale universitaria, sia docenti, da coinvolgere non in relazione alle loro specifiche conoscenze disciplinari, ma se e in quanto educatori a stretto contatto con i giovani), affinché chi ha responsabilità nella Chiesa possa avere uno sguardo esperto e ‘dal di dentro’ per continuare a seguire effettivamente la realtà giovanile. Ciò significherebbe, quindi, affiancare i presbiteri nella responsabilità finale sulla pastorale giovanile locale, in modo da non far gravare sugli stessi la completa titolarità di ogni decisione riguardante i giovani.

2. Riconoscere il dato di realtà sulla fede. Non si può più dare per scontato che chi partecipa alle attività pastorali giovanili abbia già compiuto una scelta di fede chiara e precisa. Perciò l’obiettivo primario non può essere quello di incrementare la fede o di difenderne il poco acquisito, ma semmai di preparare il terreno affinché un incontro maturo di fede con Cristo sia possibile e attraente. In questo senso, stando le attuali età di conferimento del sacramento della Cresima (13-14 anni), sarebbe necessario strutturare i percorsi successivi alla Cresima non tanto sulla base di soli criteri anagrafici e comunque in modo tale da accettare la partecipazione di persone che abbiano diversi livelli di ‘convincimento’ di fede. La partecipazione alla Messa, così come l’accostarsi alla Confessione e agli altri sacramenti della vita adulta (Matrimonio), deve essere un obiettivo finale, e non una condizione d’ingresso. La componente morale deve essere presentata in un secondo momento, capendo quando, se e a chi è opportuno annunciare un contenuto. Infine la proposta di fede va fatta a partire dai fondamenti, cioè dall’essenza del messaggio cristiano, mediato più da attività di meditazione/preghiera, incontro con i poveri, servizi in terre di missione o in loco per più giorni, esperienze ad alto impatto spirituale, approfondimento personale e culturale della Bibbia, che da una catechesi centrata solo sulla ‘testa’.

3. Rivedere i linguaggi utilizzati. “Non serve essere veri se nessuno ci comprende” (Paolo VI). Dunque è necessario che si parta dai contenuti esistenziali e dai modi del comunicare che i giovani sentono più affini a sé. Quindi non solo è necessario eliminare il lessico specifico ecclesiale, ma anche parlare in modo da rendere evidenti le ricadute pratico-esistenziali del discorso religioso e mettendo al centro del linguaggio pastorale la via estetica con le sue forme: musica, arte, letteratura, teatro. Sono queste forme, nel loro essere non convenzionali, che vengono vissute dai giovani come possibilità prima e vera per esprimere se stessi. Va poi valorizzata la comunicazione digitale (facebook, instagram, youtube, etc.) in ambito pastorale, pur senza farne un linguaggio assoluto, nella consapevolezza che queste forme linguistiche hanno ancora molte possibilità da esplorare in direzione dell’evangelizzazione, a condizione che siano considerate anche un’ottima soglia per condurre poi a relazioni personali concrete.

4. Centralità della dimensione corporea. È indispensabile recuperare la dimensione corporea dei giovani come luogo essenziale e prioritario della costruzione della loro identità e dell’esperienza della trascendenza. Questo significa sia valorizzare al massimo gli affetti, le emozioni, le sensazioni, i vissuti, le percezioni, le forme corporee, come dati che precedono e fondano la consapevolezza di sé, come ‘Parole’ di Dio donate ad ogni persona, in cui riconoscere la propria specifica identità. In secondo luogo questo approccio implica l’aiutare a riconoscere che l’indisponibilità del corpo, la sua resistenza alla nostra volontà, il suo vivere secondo una sua volontà che ci precede sono il segno di una trascendenza che ci abita fin dal momento del nostro concepimento, e che non può essere dimenticata, se i giovani vogliono essere se stessi. Per questi motivi non è più possibile sostenere un cammino spirituale di un giovane se la sua sessualità non viene integrata nella sua personalità e nella sua vita. Questo significa far uscire la sessualità dall’unico alveo in cui viene nominata in sede pastorale, ossia quello morale, e riconoscerla come dimensione essenziale e costitutiva di ogni possibile vocazione umana e cristiana. La castità, come stato interiore di riunificazione di sé nell’amore, è un punto di arrivo, non un punto di partenza – peraltro spesso confuso con l’astinenza. Concretamente vuol dire lavorare con i giovani, affinché possano sperimentare e riconoscere il valore teologico del piacere della relazione fondata sulla differenza di genere, prima di ogni altra preoccupazione etica sulla sessualità. Successivamente, lavorare con loro perché possano integrare il proprio desiderio nella loro vita, perché possano percepirlo come grazia di Dio donata agli uomini per uscire dall’egoismo e imparare compiutamente ad amare.

5. Investire fortemente sulla qualità e la formazione degli educatori. Salvo lodevoli eccezioni, è difficile pensare che ragazzi poco più grandi dei diciottenni o degli adolescenti rispondano all’esigenza di avere educatori maturi, equilibrati e competenti. Bisogna avere il coraggio di reclutare educatori, guardando anche ai laici formati, ma non travolti dal turbinio dell’attivismo pastorale. Allo stesso modo va presa una decisione chiara per investire nella formazione risorse umane ed economiche, in modo strutturale e prioritario, rispetto ad altre scelte. Vanno promossi percorsi di formazione anche teorici, ma soprattutto esperienziali, che, oltre al dato prettamente teologico e spirituale, puntino anche sulla qualificazione degli aspetti relazionali e sulle competenze educative specifiche. In questo senso va superata definitivamente la diffidenza nei confronti di formatori specialisti, a cui vanno concesse occasioni e spazi specifici e a cui va riconosciuta, anche economicamente, la professionalità utilizzata.

6. Rendere i giovani protagonisti. Sia nel loro cammino personale che in quello della comunità, i giovani devono avere un ruolo fortemente attivo, per cui essi possano sentirsi abitanti e non soltanto ospiti degli ambienti ecclesiali. Ciò significa adeguare le strutture ai bisogni dei giovani e non del contesto ecclesiale. Da un lato, bisogna renderli soggetti attivi delle scelte che li riguardano in materia di Liturgia, Catechesi e Servizio (temi, esperienze, modalità) rischiando anche qualche errore; dall’altro farli sentire veramente a casa, nella comunità, dando loro spazi e tempi senza necessariamente negoziare tutto ogni volta. Non è necessario infatti che lo spazio in cui i giovani si riconoscono sia per forza uno spazio “ecclesiastico”. Essi vanno incontrati là dove vivono, e là va costruita la relazione educativa con loro. Tra l’altro ciò rafforza la convinzione già prima espressa che non può più essere usato, come unico criterio di partecipazione, quello anagrafico, perché le appartenenze sono legate alle relazioni e non all’età e ai luoghi. Non è poi possibile “rinchiudere” i tempi delle attività nelle ore “lavorative” giornaliere. Sempre più spesso sono i tempi liberi o gli intervalli – vissuti in strada, nelle piazze, nei pub – ad essere occasioni di incontri significativi che lasciano il segno – e che potrebbero diventare oggetto di missioni sistematiche ad hoc intese come parti integranti della pastorale ordinaria. Ne conseguirebbe, in definitiva, un maggiore decentramento della pastorale giovanile: i contesti culturali, i luoghi, le sensibilità sono tanto vari da pensare alla necessità di piccoli gruppi di Pastorale giovanile che abbraccino realtà simili, pur dentro un quadro comune di Chiesa. Così si potranno avere stili pastorali diversificati a seconda del luogo e dell’ambiente (città, periferia, campagna, montagna, per chi lavora, per chi studia). Ad ogni gruppo va riconosciuta la possibilità di essere autonomo sui tempi, sui modi e sui percorsi proposti e realizzati, stante il necessario coordinamento e confronto, che diviene così momento fecondo di scambio e verifica su ciò che funziona e ciò che non funziona nei vari ambienti.

7. Il discernimento come stile. La scoperta della vocazione di ogni cristiano, intesa come ‘chiamata’ dell’Amore di Dio per amare nelle diverse forme di vita possibili, va letta come traguardo di un cammino di formazione. Dal momento che la grande maggioranza dei giovani vive oggi in una forma di analfabetismo religioso, confusione relazionale, disorientamento affettivo e frammentazione interna di propri vissuti, è necessario che i percorsi vocazionali siano strutturati prendendo in esame la scelta di vita come fine di un percorso che abbraccia l’integrità della persona umana, non riducendo quindi il momento del discernimento alla sola componente spirituale, né soltanto in occasione delle grandi scelte esistenziali della vita. Perciò il discernimento deve diventare lo stile di fondo dell’accompagnamento dei giovani nei loro percorsi esistenziali, facendo maturare lentamente una consapevolezza di sé solida e stabile, senza sostituirsi alla coscienza del singolo, ma aiutando ad illuminarla. Per questo nelle équipe di pastorale giovanile sarà necessario far entrare stabilmente persone competenti nei processi spirituali di crescita, selezionati e formati appositamente e non solo scelti per la loro disponibilità pastorale. Inoltre vanno utilizzate organicamente persone competenti nelle aree psicologiche e antropologiche, affinché possano offrire percorsi di formazione specificamente finalizzati ad approfondire mezzi, strumenti, limiti e tempi dell’accompagnamento spirituale.

Gilberto Borghi

Sergio Di Benedetto

Sergio Ventura

vinonuovo.it

PAPA IN LETTONIA, INCONTRI POLITICI E ECUMENICI, POI MESSA

ansa

PENULTIMO GIORNO DEL VIAGGIO NELLE REPUBBLICHE BALTICHE Papa Francesco, nel terzo dei suoi quattro giorni nelle Repubbliche baltiche, si sposta oggi dalla Lituania alla Lettonia. Dopo l’incontro con il presidente Raimonds Vejonis e con le autorità civili, il pontefice visiterà la Cattedrale cattolica di San Giacomo. Nel pomeriggio celebrerà la messa.