IL VESCOVO CAMISASCA IN MAROCCO CON LA COMMISSIONE CEI PER LE  MIGRAZIONI

Si conclude  domenica 23 settembre la visita a Tangeri, in Marocco, della delegazione della Cemi (Commissione episcopale per le migrazioni della Conferenza Episcopale Italiana) a Tangeri (Marocco) per visitare i campi profughi presenti e per incontrare i rappresentanti della Conferenza episcopale del Nord Africa (Cerna). Della delegazione fa parte mons. Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla.

Guidata dal presidente della Commissione Cei per le migrazioni e della Fondazione Migrantes, mons. Guerino Di Tora, e dal direttore generale di Migrantes, don Giovanni De Robertis, la delegazione è composta da mons. Domenico Cornacchia, vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi,il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas Italiana, e mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo.

La visita è iniziata venerdì 21 settembre; i presuli hanno preso parte all’inaugurazione dell’assemblea generale dei vescovi nordafricani e visitato la diocesi di Tangeri. “Un’occasione – dice don De Robertis – per conoscere i luoghi da dove arrivano spesso molti migranti nel nostro Paese e per confrontarci, con i vescovi locali, sulla realtà dei loro Paesi”.

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Nella foto: il vescovo Camisasca

Il virtuoso Ghielmi “riapre” l’organo sublime di Frescobaldi

da Avvenire

Doveva essere di una bellezza vertiginosa e di una ricchezza di stimoli impressionante la Roma in cui si trovò a vivere e operare Girolamo Frescobaldi (1583-1643). In una città in pieno fermento spirituale sull’onda lunga della spinta controriformistica, in cui era ancora tutta da lì da vedere la rivoluzione pittorica del grande Caravaggio e dove le linee del restyling architettonico erano affidate a maestri del calibro di Bernini e Borromini, il compositore ferrarese venne nominato organista della Cappella Giulia nella Basilica di San Pietro, carica che mantenne dal 1608 fino all’anno della sua morte.
È questo il punto di partenza da cui si è mosso Lorenzo Ghielmi, virtuoso della tastiera e raffinato maestro di cappella, per impaginare un programma dedicato appunto a un’antologia di musiche per organo e a una decina di mottetti sacri, alcuni dei quali presentati in prima registrazione mondiale. Opere perlopiù destinate ad accompagnare le funzioni liturgiche del vespro, della Messa e di altre devozioni private, tratte dal Liber Secundus diversarum modulationum, dato alle stampe nel 1627 e a noi giunto incompleto; si sono infatti conservati solo 4 dei 5 libri-parte che componevano la raccolta e per molte delle composizioni presentate in questa registrazione si è dovuto realizzare un accurato lavoro di ripristino della voce mancante. Il risultato finale è davvero formidabile; la conoscenza approfondita del repertorio frescobaldiano per organo e clavicembalo ha permesso a Ghielmi di giocare “in casa” sul piano del linguaggio e dell’espressione degli affetti, portando anche in ambito vocale quelle innovazioni formali e stilistiche con cui il compositore si andava già cimentando nelle sue musiche per tastiera. Un ulteriore laboratorio di sperimentazione, a cui la dimensione raccolta e intima dei mottetti offre una ribalta ampliata e privilegiata, grazie a un linguaggio incisivo e ricercato, sintesi affascinante fra avanguardia e tradizione, rigore costruttivo e accesa fantasia.

Girolamo Frescobaldi
Motets and Organ Works
Lorenzo Ghielmi & La Divina Armonia
Passacaille/Euro 19,00

La storia. Il vecchio malato, l’ambulanza e un desiderio così umano di rivedere il mare

Erano venuti a prenderlo. In barella, l’ossigeno per alleviare la fatica del respiro, aveva lasciato la sua casa di Carrara. 88 anni, malato, il signor G. doveva essere ricoverato in ospedale in Piemonte, dove vivono i suoi figli. Sapeva che andare era necessario e inevitabile. Ma quanti pensieri e ricordi devono incrociarsi nella mente di un uomo, che teme di non tornare nella sua casa. L’ambulanza era partita, diretta verso l’ingresso dell’autostrada.

Una foto tratta dal profilo facebook della Croce Rossa di Ivrea

Una foto tratta dal profilo facebook della Croce Rossa di Ivrea

Dalla barella il vecchio non vedeva niente ma sapeva bene quali paesi, quali paesaggi attraversava. Improvvisamente si fa largo nel suo cuore una domanda, così impellente che non la può trattenere: “Scusate, potremmo fermarci un momento? Vorrei vedere per un’ultima volta il mare”.I volontari della Croce Rossa di Ivrea si guardano in faccia, tacciono un momento. L’ambulanza è attesa nell’ospedale piemontese. Ma è così limpido, toccante il desiderio del vecchio malato, che acconsentono. La lettiga ora gira e scende verso la costa di Massa. Un cielo di nuvole e sole, la spiaggia a poche centinaia di metri. Non c’è nessuno. L’autista si avvicina più che può, a pochi passi dall’acqua. I ragazzi delle Croce Rossa scaricano la barella sulla sabbia e il signor G. contempla, zitto, un mare azzurro e calmo, settembrino.

Il post della Cri

Il post della Cri

Dalla foto postata dalla Croce Rosse Ivrea su Facebook, pare di indovinargli in faccia un accenno di sorriso. Che cos’è il mare, per un uomo che ci è nato davanti? E’ l’eco ancora della voce della madre che lo tiene per mano mentre lui, piccolissimo, vorrebbe sporgersi e quasi mangiare quel vasto blu che lo incanta. È il laborioso scavare con palette nella sabbia, riempire secchielli, costruire castelli – che un’onda a sera farà scomparire. È i primi tuffi, alla fine della scuola, con i compagni, nell’acqua che ancora morde, fredda. Il mare, per chi gli ha passato la vita accanto, è le luci delle barche dei pescatori al largo nella notte, piccole e ardenti nella vastità oscura. E’ la ferocia delle onde delle mareggiate e, il mattino dopo, quello stesso mare tornato così calmo e limpido, innocente.

E forse al signor G. tornano in mente anche le sere dei vent’anni con gli amici in riva al mare, a cantare, e quelle poi con lei, da soli, zitti, vicini. Con il mare a guardarli, possente e uguale. Poi la stagione dei bambini, nuovi bambini cui si intima di non bagnarsi prima delle 10 e mezza, e quelli ansiosi, i piedi già in acqua; nuovi bambini, altri castelli che si alzano e si sciolgono, e al mattino non ce ne è più traccia.

“Vi ringrazio, andiamo”, avrà detto allora l’altra mattina il signor G., inspirando coi polmoni un’ultima boccata di quell’aria che sa di sale e di vento. E l’ambulanza è ripartita verso l’ospedale in Piemonte. Bel gesto, di piena umanità, quello dei giovani della Croce Rossa, educati giustamente a non perdere tempo. Ma era talmente umano, e quasi infantile, quel sommesso”possiamo fermarci un momento?”, che loro, sessant’anni forse di meno, hanno capito.

Anche loro hanno fatto castelli e giocato a saltare le onde, e atteso il sole rosso che nei tramonti d’estate sprofonda, lento, nella linea dell’orizzonte, sancendo che un altro giorno è finito. Quel mare compagno di giochi e di fatica, di vita e morte di generazioni di uomini e bambini. Non si può, si devono essere detti i volontari, andarsene senza salutarlo, un amico così.

Avvenire

Costruire in tempo di rancore

copertina

Settimana News

Il mondo di oggi, soprattutto nella dimensione politica, è un mondo in cui la comunicazione è sempre più rapida, ma anche approssimativa, in cui le reazioni sono immediate e per questo significativamente emotive, in cui i messaggi hanno soprattutto l’obiettivo di suscitare insieme stupore e consenso. Un mondo in cui i sentimenti sembrano prendere il posto dei valori, in cui la dimensione umana perde lo spazio della solidarietà e della condivisione, in cui si rinnega il passato senza avere progetti per il futuro.

I riferimenti sono ovviamente agli ultimi fatti di attualità: la tragedia di Genova, le contese sui migranti, gli annunci via Twitter o gridati ai microfoni volanti dei giornalisti. In questa condizione è difficile ritrovare la volontà di scavare nella realtà, di cogliere il senso degli avvenimenti, di pensare alla dimensione umana nell’ineliminabile rapporto con la prospettiva delle relazioni e quindi della società. Ancora più difficile è intrecciare quello che vediamo con lo sguardo religioso, con la presenza di un Dio dai contorni sempre meno definiti e che appare lontano e sfuggente.

Per tutte queste ragioni, e non solo, appare allora particolarmente utile una guida per riscoprire un lato fondamentale dell’annuncio cristiano: l’Antico Testamento e in particolare i profeti con in primo piano Isaia. È il percorso che propone Luigino Bruni che ha raccolto in un libro (Dialoghi della notte e dell’aurora, EDB, Bologna 2018, pp. 240, 20 euro) gli articoli pubblicati su Avvenire in cui ha offerto una lettura attuale del libro di Isaia, un testo classico, un testo certamente difficile, ma ricco di riflessioni e provocazioni. «La sua meditazione – scrive Bruni nell’introduzione – è un esercizio prezioso per trovare o ritrovare il senso e la verità dell’anima, della salvezza, per cominciare o ricominciare a sperare dopo le distruzioni, le rovine, i lutti, le speranze vane e le false consolazioni che accompagnano sempre questi eventi».

Le riflessioni di Luigino Bruni toccano alla radice i problemi dell’uomo di ogni tempo e richiamano con determinazione alla novità con cui possono, anzi devono essere lette le parole di quello che va considerato un «profeta del nostro tempo». Un profeta ancora più attuale proprio perché quello in cui viviamo è un tempo in cui sono tornati in primo piano elementi come il rancore, la rabbia e la solitudine.

Le parole di Isaia hanno la drastica chiarezza dei veri profeti, una chiarezza che attraverso il racconto rende visibile e concreta la speranza cristiana. «Isaia – spiega Bruni – è un grande conoscitore della vita e quindi del lavoro. Lo dobbiamo immaginare aggirarsi nelle campagne attorno a Gerusalemme e osservare e ascoltare i contadini e i lavoratori. (…) Oggi i nostri discorsi spirituali spesso si fermano troppo presto e troppo vicino e non raggiungono chi dovrebbero raggiungere perché sono troppo distanti dalle imprese, dai campi, dai cantieri, dai luoghi ordinari del vivere». È in questa prospettiva che il libro di Luigino Bruni diventa una guida per l’uomo di oggi.

Luigino Bruni, Dialoghi della notte e dell’aurora. Una rilettura di Isaia, EDB, Bologna 2018, pp. 240; euro 20. Recensione apparsa suIlsussidiario.net il 17 settembre 2018.

Il corpo nel Salterio

Il corpo in preghiera

Settimana News

Il quarantacinquenne docente stabile straordinario di esegesi dell’AT a Bari, professore invitato alla Gregoriana e all’Angelicum, intende recuperare la centralità della dimensione corporea dell’uomo, così come è proposta nella Bibbia e in specie nel libro dei Salmi. Per troppo tempo il corpo ha patito una marginalizzazione, se non un disprezzo, a vantaggio della dimensione spirituale – l’“anima” –, altamente lodata.

Per questo l’autore, affrontando da principio il tema dell’uomo di fronte alla morte così com’è presentato nei testi biblici, analizza la terminologia antropologica impiegata nella Bibbia, che ha una visione olistica dell’uomo.

Il lēb rappresentata il cuore come centro intellettivo-volitivo, ma può esprimere in vari contesti anche l’encefalo, il temperamento, l’angoscia, il desiderio, il coraggio, il discernimento e la coscienza etica e religiosa.

A partire dal suo significato letterale di “gola” e quindi anche di “respiro” che passa attraverso di essa, nepeš indica per estensione anche il desiderio, la brama/fame e la vita.

Bāśār, da parte sua, rappresenta il corpo come spazio simbolico di rapporto con la realtà circostante e quindi, oltre al significato base di “carne”, di tutto l’uomo visto nella sua fragilità, assume anche quelli simbolici di ritualità, dolore/lutto, lode, supplica e fragilità.

Infine, rûaḥ indica lo spirito umano e la forza divina, oltre al vento e allo spirito profetico.

La morte è vista come il termine naturale della vita, che può essere sperimentata traslatamente anche come angoscia e amarezza. La vita oltre la morte si volge nello še’ôl, luogo neutro, ma soprattutto spazio di vita umbratile, luogo dell’oblio dove rimane solo un barlume di speranza.

Il capitolo primo si chiude con una breve trattazione del tema della preghiera nell’AT. Essa si connota come ricordo e invocazione di salvezza, risposta al bene ricevuto, spesso elevata durante il culto e ospitante come protagonista il corpo.

Nel c. II Pinto analizza brevemente il libro dei Salmi, che veicolano la fede in forma poetica. Le singole composizioni non sono nate tutte durante il culto, ma spesso lungo la strada, contemplando varie realtà che erano espressione di ciò che era sperimentato dall’orante. Sono state riunite e rielaborate successivamente da persone istruite nel campo teologico e liturgico.

Il c. III è dedicato espressamente al contenuto principale del libro. Esso analizza il ruolo del corpo nei salmi attraverso lo studio dei salmi 25, 38, 42-43 e 51 (collegato al 50). Il corpo sembra seguire un percorso espressivo interessante: da un corpo perseguitato si passa ad un corpo devastato, quindi assestato e, infine, risanato.

Il c. IV approfondisce cinque elementi letterari e teologici da tener presenti nell’accostamento a livello culturale e orante dei salmi.

Test case di un salmo acrostico viene scelto la strofa indicata con la lettera k del fluviale Sal 119, che elogia la Legge in tutte le sue sfaccettature.

Si studia quindi, a livello storico, il rapporto di un “amore complicato” vissuto nel cristianesimo tra anima e corpo, spaziando dallo gnosticismo e dal dualismo degli inizi, fino alla realtà del corpo sospeso nel tempo post-moderno tra libertà e bisogno.

Terzo tema è quello della retribuzione, analizzato attraverso la lettura del Sal 41, «Se mi guarisci, saprò che tu mi ami».

I tre salmi cosiddetti “imprecatori” (Sal 57, 82 108) sono estati espunti dalla preghiera ufficiale della Chiesa. «L’omissione di questi testi è dovuta unicamente a una certa qual difficoltà psicologica», afferma pudicamente il n. 131 di Principi e norme della liturgia delle ore (1° novembre 1970).

Pinto studia il Sal 58 e afferma che questi salmi sono più da considerare suppliche di giustizia che non mere imprecazioni, quali sono presenti nelle liturgie coeve a Israele. Si supplica YHWH perché faccia vendetta del male che impera nel mondo e nella vita del giusto. Si lascia a lui la vendetta, la rivalsa e, nello stesso tempo, si trova la possibilità di sfogare e di verbalizzare la violenza repressa che alberga nell’animo quando si patisce una sofferenza ingiusta. Sono testi preziosi (su questo tema spinoso si veda ora l’interessante volume di A. Wénin, Salmi censurati. Quando la preghiera assume toni violenti [Studi biblici 83], EDB, Bologna 2018).

L’ultimo paragrafo è dedicato da Pinto alla possibile lettura “femminista”/al femminile di vari salmi, letti sempre e solamente con occhi e sensibilità “maschile”, se non maschilista, degli esegeti-uomini. L’autore esamina il caso del Sal 55 considerandolo come espressione addolorata di una donna stuprata (egli rinvia al racconto della brutale violenza subita da Tamar da parte del fratellastro Amnon, riportata in 2Sam 13,8-20). Un appello a una lettura “duale” di genere nell’accostarsi al Salterio va accolta positivamente.

La bibliografia è riportata a pp. 157-161.

Il linguaggio di Pinto è chiaro, sintetico e ben documentato di testi biblici. Le note sono molto sintetiche e il volume è arricchito da vari brani di padri della Chiesa. La trattazione del libro di Giobbe poteva accennare anche alla posizione dell’esegeta Borgonovo e distinguere tra il testo in prosa e quello in poesia. A p. 96 il zebaḥ tôdāh di Sal 50, interpretato da Pinto come sacrifico con giustizia, rispetto a quello compiuto in un contesto di ingiustizia, si può leggere anche come «sacrificio consistente nella confessione di colpa» (cf. il suggerimento di Alonso Schökel). Questo è il sacrificio gradito a Dio. Non è neanche un “sacrificio di lode” (CEI), ma appunto un’ammissione di colpa, il cui contenuto può essere intravisto proprio nel Sal 51 che segue, salmo penitenziale strettamente collegato al Sal 50.

Libro molto utile, su un tema che va sempre tenuto presente, per non perpetuare uno stereotipo sbagliato nell’accostarsi al tema della corporeità.

Sebastiano Pinto, Il corpo in preghiera nei Salmi, Collana «Studi biblici» 85, EDB, Bologna 2018, pp. 168, € 19,50.