Il Vangelo. Chi sono io per te? Gesù non cerca parole ma persone

XXIV Domenica
Tempo Ordinario – Anno B

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (….).

Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. Silenzio, solitudine, preghiera: è un momento carico della più grande intimità per questo piccolo gruppo di uomini. E i discepoli erano con lui… Intimità tra loro e con Dio. È una di quelle ore speciali in cui l’amore si fa come tangibile, lo senti sopra, sotto, intorno a te, come un manto luminoso; momenti in cui ti senti «docile fibra dell’universo» (Ungaretti).
In quest’ora importante, Gesù pone una domanda decisiva, qualcosa da cui poi dipenderà tutto: fede, scelte, vita… ma voi, chi dite che io sia? Gesù usa il metodo delle domande per far crescere i suoi amici. Le sue domande sono scintille che accendono qualcosa, che mettono in moto cammini e crescite. Gesù vuole i suoi poeti e pensatori della vita. «La differenza profonda tra gli uomini non è tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti» (Carlo Maria Martini)
La domanda inizia con un “ma”, ma voi, una avversativa, quasi in opposizione a ciò che dice la gente. Non accontentatevi di una fede “per sentito dire”, per tradizione. Ma voi, voi con le barche abbandonate, voi che avete camminato con me per tre anni, voi miei amici, che ho scelto a uno a uno, chi sono io per voi? E lo chiede lì, dentro il grembo caldo dell’amicizia, sotto la cupola d’oro della preghiera.
Una domanda che è il cuore pulsante della fede: chi sono io per te?
Non cerca parole, Gesù, cerca persone; non definizioni di sé ma coinvolgimenti con sé: che cosa ti è successo quando mi hai incontrato? Assomiglia alle domande che si fanno gli innamorati: – quanto posto ho nella tua vita, quanto conto per te?
E l’altro risponde: tu sei la mia vita. Sei la mia donna, il mio uomo, il mio amore.
Gesù non ha bisogno della opinione di Pietro per avere informazioni, per sapere se è più bravo dei profeti di prima, ma per sapere se Pietro è innamorato, se gli ha aperto il cuore. Cristo è vivo, solo se è vivo dentro di noi. Il nostro cuore può essere la culla o la tomba di Dio. Può fare grande o piccolo l’Immenso. Perché l’Infinito è grande o piccolo nella misura in cui tu gli fai spazio in te, gli dai tempo e cuore. Cristo non è ciò che dico di Lui ma ciò che vivo di Lui. Cristo non è le mie parole, ma ciò che di Lui arde in me. La verità è ciò che arde (Ch. Bobin). Mani e parole e cuore che ardono.
In ogni caso, la risposta a quella domanda di Gesù deve contenere, almeno implicitamente, l’aggettivo possessivo “mio”, come Tommaso a Pasqua: Mio Signore e mio Dio. Un “mio” che non indichi possesso, ma passione; non appropriazione ma appartenenza: mio Signore.
Mio, come lo è il respiro e, senza, non vivrei. Mio, come lo è il cuore e, senza, non sarei.
(Letture: Isaia 50,5-9; Salmo 114; Giacomo 2,14-18; Marco 8, 27-35).

da Avvenire

«La Croce ci insegna a non temere le sconfitte, poi c’è la vittoria»

(Osservatore Romano)

La croce di Gesù ci insegna che nella vita c’è il fallimento e la vittoria, e a non temere i «momenti brutti», che possono essere illuminati proprio dalla croce, segno della vittoria di Dio sul male. Un male, Satana, che è distrutto e incatenato, ma «abbaia ancora», e se ti avvicini ad accarezzarlo «ti distruggerà». Così Papa Francesco nell’omelia della Messa celebrata questa mattina a Casa Santa Marta, nella festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Lo riferisce VaticanNews.

La sconfitta di Gesù illumina i nostri momenti brutti

Contemplare la croce, segno del cristiano, spiega il Papa, è per noi contemplare un segno di sconfitta ma anche un segno di vittoria. Nella croce fallisce «tutto quello che Gesù aveva fatto nella vita», e finisce tutta la speranza della gente che seguiva Gesù. «Non abbiamo paura a contemplare la croce come un momento di sconfitta, di fallimento». E commentando il brano dalla Lettera ai Filippesi della seconda lettura, Papa Francesco sottolinea che «Paolo quando fa la riflessione sul mistero di Gesù Cristo ci dice cose forti, ci dice che Gesù svuotò se stesso, annientò se stesso».

«Assunse tutto il peccato nostro, tutto il peccato del mondo. Era uno “straccio”, un condannato. Paolo non aveva paura di far vedere questa sconfitta e anche questo può illuminare un po’ i nostri momenti brutti, i nostri momenti di sconfitta ma anche la croce è un segno di vittoria per noi cristiani».

Nel Venerdì santo il «grande tranello» per Satana

Il Libro dei Numeri, nella prima lettura, racconta il momento dell’Esodo nel quale il popolo ebraico che mormorava «è stato punito dai serpenti». E questo richiama il serpente antico, Satana, il Grande Accusatore, ricorda Francesco. Ma il serpente che dava la morte, dice il Signore a Mosè, sarà alzato e darà salvezza. E questa, commenta il Pontefice, «è una profezia». Infatti «Gesù fatto peccato ha vinto l’autore del peccato, ha vinto il serpente». Satana era felice il Venerdì santo, sottolinea il Papa, «tanto felice che non se ne è accorto» del grande tranello «della storia nel quale sarebbe caduto».

Ingoia Gesù ma anche la sua divinità e perde

Come dicono i Padri della Chiesa, Satana «vide Gesù così disfatto, stracciato e come il pesce affamato che va all’esca attaccata all’amo, lui è andato lì e ingoiò Gesù». «Ma in quel momento ingoiò pure la divinità perché era l’esca attaccata all’amo col pesce». «In quel momento – commenta papa Francesco – Satana è distrutto per sempre. Non ha forza. La croce, in quel momento, divenne segno di vittoria».

Il serpente antico è incatenato, ma non devi avvicinarti

«La nostra vittoria è la croce di Gesù, vittoria davanti al nostro nemico, al grande serpente antico, al Grande Accusatore». Nella croce, sottolinea il Pontefice «siamo stati salvati, in quel percorso che Gesù ha voluto fare fino al più basso, ma con la forza della divinità”. Gesù dice: “Quando sarò alzato, attirerò tutti a me».

«Gesù alzato e Satana distrutto. La croce di Gesù deve essere per noi l’attrazione: guardarla, perché è la forza per continuare avanti. E il serpente antico distrutto ancora abbaia, ancora minaccia ma, come dicevano i padri della Chiesa, è un cane incatenato: non avvicinarti e non ti morderà; ma se tu vai ad accarezzarlo perché il fascino ti porta lì come fosse un cagnolino, preparati, ti distruggerà».

Davanti al crocifisso, segno di sconfitta e di vittoria

La nostra vita va avanti, chiarisce il Papa, con Cristo vincente e risorto, che ci invia lo Spirito Santo, ma anche con quel cane incatenato, «al quale non devo avvicinarmi perché mi morderà».

«La croce ci insegna questo, che nella vita c’è il fallimento e la vittoria. Dobbiamo essere capaci di tollerare le sconfitte, di portarle con pazienza, le sconfitte, anche dei nostri peccati perché Lui ha pagato per noi. Tollerarle in Lui, chiedere perdono in Lui ma mai lasciarci sedurre da questo cane incatenato. Oggi sarà bello se a casa tranquilli prendiamo 5, 10, 15 minuti davanti al crocifisso, o quello che abbiamo a casa o quello del rosario: guardarlo, è il nostro segno di sconfitta, che provoca le persecuzioni, che ci distruggono, è anche il nostro segno di vittoria perché Dio ha vinto lì».

A Orano. Saranno beatificati l’8 dicembre i martiri d’Algeria

da Avvenire

Algeria: in questa immagine d'archivio, priva di data, figurano sei dei sette monaci trappisti francesi di Tibhirine rapiti e uccisi dai fondamentalisti islamici algerini nel 1996. I corpi dei frati furono rinvenuti a pochi chilometri dalla città di Medea, a sud-ovest di Algeri

A dare l’annuncio sono stati i vescovi del Paese. I diciannove martiri cristiani uccisi in Algeria tra il 1994 e il 1996 saranno proclamati beati a Orano, presso il santuario di Notre-Dame di Santa Cruz il prossimo 8 dicembre. La scelta della sede richiama direttamente la figura di monsignor Pierre Claverie, vescovo di Orano appunto, ucciso il 1° agosto 1996, assieme al suo giovane autista algerino, da una bomba il 1°agosto 1996. La storia tragicamente più nota è però quella dei sette monaci trappisti di Notre Dame de l’Atlas, rapiti nel loro monastero nel marzo 1996 e ritrovati morti due mesi dopo. Una vicenda raccontata anche in un film: «Uomini di Dio», premiato a Cannes nel 2010. I 19 martiri, tra cui sei religiose, sono volti tristemente noti di un decennio nero che insanguinò l’Algeria provocando 150mile vittime. Il decreto autorizzato dal Papa che ha dato il via libera alla beatificazione per martirio risale al gennaio scorso.

«Testimoni del dialogo che ci invitano al perdono»

di Anna Pozzi (Avvenire 28/1/18)

«Ognuno di loro è stato un’autentica testimonianza dell’amore di Cristo, del dialogo, dell’apertura agli altri, dell’amicizia e della fedeltà al popolo algerino. Con un’immensa fede in Cristo e nel suo Vangelo». Commenta così padre Thomas Georgeon – monaco trappista e postulatore della causa di beatificazione di Pierre-Lucien Claverie e degli altri 18 religiosi e religiose uccisi in Algeria tra il 1994 e il 1996 – l’annuncio ufficiale del riconoscimento del loro martirio «in odio alla fede». Saranno beatificati nel corso dell’anno, con ogni probabilità nella diocesi di Orano, proprio in Algeria, di cui il domenicano Claverie – l’ultimo a essere assassinato il 1° agosto 1996 – era vescovo. Tra di loro i più noti sono i sette monaci di Tibhirine, rapiti e uccisi tra marzo e maggio del ’96 nel monastero di Notre Dame de l’Atlas, sulle alture dell’atlante algerino. Una vicenda resa celebre anche dal film Uomini di Dio, oltre che dagli scritti di alcuni di loro, a cominciare da quello del priore Christian de Chergé. Il quale, nel suo testamento spirituale, chiedeva che la morte che vedeva incombere su di sé fosse associata alle «tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato».

«Rendere omaggio ai 19 martiri cristiani – afferma padre Georgeon – significa rendere omaggio alla memoria di tutti coloro che hanno dato la loro vita in Algeria negli anni Novanta». Sono quasi duecentomila le persone – in gran parte comuni cittadini, ma anche giornalisti, attivisti per i diritti umani, intellettuali e imam – che sono stati massacrati negli anni bui del terrorismo islamista. E che, per una politica di riconciliazione improntata al silenzio più che alla guarigione della memoria, rischiano di rimanere confinati nell’oblio. Per questo la beatificazione dei 19 martiri cristiani apre uno squarcio di luce anche sulle tante sofferenze vissute dal popolo algerino.

«È un’occasione per riscoprire il significato vero del termine “martire”, ovvero testimone – insiste padre Thomas –. Non hanno dato la vita per un’idea, per una causa, ma per Lui. Con un profondo amore per la terra dove il Signore li aveva inviati, l’Algeria. Con un’attenzione e una delicatezza evangelica verso quel popolo, specialmente nei confronti dei più piccoli e dei più umili, così come dei giovani. Con il rispetto della fede dell’altro e il desiderio di comprendere l’islam. Con un grande senso di appartenenza alla Chiesa algerina: una Chiesa “ospite”, piccola, umile, serva e amorevole. E questo, ciascuno dei 19 martiri, come tanti altri membri della Chiesa che sono ancora vivi, l’hanno vissuto profondamente. La loro vita e la loro morte sono come un’icona dell’identità della Chiesa d’Algeria. Hanno incarnato fino alla fine la sua vocazione a essere sacramento della carità di Cristo per tutto il suo popolo».

Ne è convinto anche padre Jean Marie Lassausse, prete della Mission de France che per 15 anni ha vissuto nel monastero di Tibhirine, portando avanti una testimonianza di fede e di vicinanza alla gente del posto, nel solco dei monaci trappisti. «Questa beatificazione – afferma – è straordinaria perché riconosce persone assolutamente ordinarie: uomini e donne comuni che, come molti altri membri della Chiesa, hanno scelto di restare in Algeria pur sapendo di mettere a rischio la loro vita».

I primi a essere stati uccisi, l’8 maggio ’94 nella biblioteca della Casbah, sono stati il marista Henri Vergès e suor Paul Hélène de Saint Raymond, piccola suora dell’Assunzione. Il 23 ottobre di quello stesso anno sono state assassinate suor Esther Paniagua Alonso e suor Caridad Alvarez Martin, agostiniane, nel quartiere popolare di Bab el Oued ad Algeri. Mentre il 27 dicembre a Tizi Ouzou, nella regione della Cabilia, hanno trovato la morte quattro padri bianchi: Jean Chevillard, Charles Deckers, Alain Dieulangard e Christian Chessel. Nel 1995 altri tre omicidi ad Algeri: il 3 settembre suor Bibiane e suor Angèle-Marie, delle suore di Nostra Signora degli Apostoli; quindi il 10 novembre suor Odette Prévost, piccola sorella del Sacro Cuore. L’anno successivo è segnato dal rapimento, nella notte tra il 26 e il 27 marzo, dei sette monaci trappisti di Tibhirine: Christian de Chergé, Bruno Lemarchand, Célestin Ringeard, Christophe Lebreton, Luc Dochier, Michel Fleury e Paul Favre-Miville. Le loro teste vennero fatte ritrovare a fine maggio nei pressi di Medea, poco distante dal monastero. Infine il 1° agosto un’autobomba sull’uscio della Curia provoca la morte del vescovo Pierre-Lucien Claverie insieme all’autista e amico musulmano Mohammed.

«La loro morte – commenta padre Lassausse – è stata in solidarietà con quella delle altre vittime algerine. Anche per questo la Chiesa ha intrapreso questo percorso verso la beatificazione: per favorire un processo di riconciliazione e perdono». «Il messaggio di questi 19 religiosi e religiose è chiaro – aggiunge padre Georgeon –: occorre approfondire il significato della presenza della Chiesa e dimostrare che una coesistenza fraterna e rispettosa tra le religioni è possibile».

Tv2000. Come seguire in tv la visita di papa Francesco a Piazza Armerina e Palermo

Diretta speciale del “Diario di Papa Francesco” su Tv2000 sabato 15 settembre, in occasione della visita pastorale del di papa Francesco a Piazza Armerina e a Palermo in occasione del 25° anniversario della morte del Beato Pino Puglisi.

Diretta dalle 8.00 alle 13.30 per seguire l’incontro con i fedeli a Piazza Armerina, l’arrivo del Papa a Palermo e la celebrazione della Santa Messa al Foro Italico in memoria del Beato Puglisi. In studio, insieme a Gennaro Ferrara, alcuni amici e collaboratori di Don Pino Puglisi: Don Francesco Stabile, Vice parroco di San Giovanni Bosco a Bagheria, docente di Storia della Chiesa e Storia delle dottrine ecclesiologiche nella Facoltà teologica di Palermo; Giuseppe Martinez dell’Associazione Intercondominiale – Quartiere Brancaccio di Palermo, e poi Paolo Borrometi, giornalista di TV2000, e Salvatore Nicotra della diocesi di Piazza Armerina.

Il pomeriggio, prosegue con la diretta dalle 14.50 alle 18.00, per seguire l’incontro con il Clero, i Religiosi e i Seminaristi nella Cattedrale di Palermo e a seguire l’Incontro con i Giovani in Piazza Politeama. In studio la fotografa Letizia Battaglia, Giuseppe Notarstefano dell’Università LUMSA di Palermo, Don Francesco Stabile e Paolo Borrometi.

Palermo accoglie papa Francesco (Fotogramma)

Palermo accoglie papa Francesco (Fotogramma)

Il programma

Papa Francesco torna per la seconda volta in Sicilia dopo la tappa a Lampedusa nel 2013 all’inizio del suo pontificato.

La prima tappa sarà a Piazza Armerina dove l’elicottero del Papa atterrerà alle 8.30.

L’incontro con i fedeli è previsto domani alle 9 in piazza Europa.

Alle 10 la partenza verso Palermo dove Bergoglio giungerà sempre in elicottero alle 10.45 nell’area del porto.

Alle 11.45, al Foro Italico sul lungomare della città, la Messa nella memoria liturgica del beato Puglisi.

Alle 13.30 il Papa sarà alla “Missione di speranza e carità” di fratel Biagio Conte dove pranzerà con i poveri e una rappresentanza di detenuti e migranti.

Alle 15 la visita in forma privata nel quartiere Brancaccio dove il sacerdote martire è stato ucciso: prima Francesco sarà nella parrocchia di San Gaetano che ebbe come parroco don Pino e poi si fermerà nella casa-museo di Puglisi di fronte a cui il prete di strada è stato assassinato.

Alle 15.30, nella Cattedrale, l’incontro con il clero, i religiosi e i seminaristi.

Infine alle 17 il dialogo con i giovani in piazza Politeama.

Il Papa ripartirà dall’aeroporto Punta Raisi di Palermo alle 18.30 e in poco meno di un’ora di volo sarà a Ciampino. Da qui il trasferimento in auto in Vaticano.