E il ricordo si fa oggi. Le vacanze, gli incontri, il tocco di Dio

Per molti cristiani, le vacanze hanno spesso la componente del “fare memoria”. Dopo la giusta presa di distanza dalla vita quotidiana che, magari, ci ha stancato e prosciugato le forze, sentiamo il bisogno di tornare alle nostre origini. A volte questo avviene anche fisicamente con il tornare nella casa avita dove villeggiavamo da piccoli, o a quel certo monastero, ma sempre, anche se siamo in posti nuovi, camminando sul bagnasciuga di una spiaggia mai vista prima, mentre guardiamo quel nuovo orizzonte, torniamo a pensare all’anno trascorso, ai nostri amori, a certi dolori.
Papa Francesco ci ha spesso ricordato che quando l’angelo annuncia il Risorto sottolinea per ben due volte che troveranno Gesù «in Galilea», che «è il luogo della prima chiamata, dove tutto è iniziato» (Omelia nella veglia pasquale, 20 aprile 2014).
Nel Deuteronomio, che è il libro della Bibbia in cui la tradizione ci dice che Mosè parla poco prima di morire – cioè quando è terminata la grande tappa del viaggio nel deserto e si sta per entrare in una nuova fase della vita, quella della Terra Promessa – l’insegnamento più ricorrente è quello del ricordare. «Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto… Guardati bene dal dimenticare il Signore tuo Dio… Ricordati invece del Signore tuo Dio… Ma se tu dimenticherai il Signore tuo Dio… » (Deut. 8, 2-19). È molto bello pertanto che, ogni anno, nelle nostre vacanze, non manchi mai il momento del ricordo, quello della memoria. Perché ricordare oggi non è ricordare come un anno fa. Fare memoria dell’irrompere di Dio nella mia vita, oggi, non è solo un ricordo, ma è un “ricordo fatto oggi”.
Ricordare “oggi” non è come ricordare un anno fa perché la memoria non è il semplice ricordo dei fatti ma è la rilettura sapienziale della nostra vita a partire da un fatto che ci è accaduto oggi e che permette di leggere in modo nuovo quello che è stato e quello che siamo. Quello che siamo oggi. Non quello che eravamo ieri. Quando Mosè o l’angelo ci dicono di ricordare, non ci chiedono di andare a guardare la galleria delle foto sullo smartphone, ma ci spingono ad aggiungere a quel rullino il nostro oggi. Questo è “fare memoria”. Fare memoria è guardare il nostro passato a partire da quello che oggi il Signore ci chiede di essere.

E poi, in questo “fare memoria”, ci sono delle persone. L’irrompere di Dio nella nostra vita significa non solo pensare a quando è stato e a dove è stato, ma a chi è stato l’inviato di Dio per noi. Perché Dio agisce – eccome, se agisce – ma mai senza di noi. Mai senza qualcuno che Lui ci invia, che Lui ci manda. Mai senza una persona. Perché anche quando parliamo di fatti, i fatti, in modo diretto o indiretto, sono sempre “agiti” dalle persone. Fare memoria di quei nomi “oggi” permette di arrivare alla domanda sul mistero grande, insondabile: perché tutto questo è avvenuto proprio a me e in questa forma, in questo modo? Questa domanda calata nella storia, è il mistero grande, insondabile, che ci porta sulla soglia del dialogo con Dio. Cosa mi dice Dio “oggi” significa: come mi ha toccato Dio nel passato e come mi continua a toccare nel presente?

E questo ricordo, dopo un primo momento personale collegato con un luogo, con un tempo, con dei nomi del passato, si apre anche sempre a una dimensione di accompagnamento. Chi non rimane stupito e meravigliato quando un bimbo, una bimba, muovono il primo passo? Iniziano a camminare per la prima volta, muovono il primo passo, e noi ne gioiamo. Ma nessuno di noi ricorda il proprio primo passo. Quello lo ricordano solo i nostri genitori. Non dobbiamo commettere l’errore, nel fare memoria, di pensare di ricordare i primi passi fatti, credendo di poterli ricordare “da soli”. Molto spesso noi non vediamo da soli i nostri passi né, in particolare, i nostri primi passi. Abbiamo bisogno di qualcuno che ce li racconti. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a vedere quello che noi non vediamo, a leggere quello che noi non leggiamo.

Noi uomini abbiamo gli occhi “davanti”, possiamo guardare solo “in avanti”. Abbiamo sempre bisogno di qualcuno che veda dietro di noi, qualcuno che ci racconti quella parte di spazio che noi da soli non possiamo vedere. Non possiamo pretendere di vederci da soli, abbiamo bisogno di guardarci anche attraverso chi ci sta accanto. Oggi.

Avvenire

Humanae vitae. La doppia profezia di Paolo VI

Paolo VI mentre firma l'Humanae vitae il 25 luglio 1968

Paolo VI mentre firma l’Humanae vitae il 25 luglio 1968

Ferdinando Lambruschini, arcivescovo di Perugia dal 1968 al 1981 e, prima, docente di teologia morale alla Lateranense, ebbe un ruolo decisivo nella verifica chiesta da Paolo VI al momento di licenziare definitivamenteHumanae vitae. Lambruschini, che con altri sei teologi faceva parte della commissione scelta da papa Montini per la revisione finale del testo, aveva espresso un giudizio negativo. Con lui avevano votato contro Visser e Fuchs – mentre favorevoli si erano detti Colombo, Zalba, Lio e Martelet. Quattro contro tre. Siamo nel maggio ’68. Il testo su amore coniugale e regolazione delle nascite ha già subito una lunga serie di revisioni, rimaneggiamenti, bocciature. Ma quella maggioranza di 4 contro 3 sembra a Paolo VI troppo risicata. Vorrebbe almeno un voto in più. E allora chiama il teologo a lui più vicino tra quelli dissidenti, Lambruschini appunto. Parlano a lungo. Alla fine lo convince con la promessa che la nuova enciclica non sarebbe mai stata dichiarata infallibile e irriformabile. Non solo, sarebbe stato Lambruschini stesso ad annunciare alla stampa internazionale il senso del documento e a spiegare questa decisione del Papa di non chiudere a futuri sviluppi. E così avvenne.

Sembra giusto, nel cinquantesimo di Humanae vitae, tornare sul ruolo decisivo avuto da Lambruschini, non solo perché i suoi interventi sono rimasti finora un po’ in ombra, ma anche perché questi passaggi rivelati a chi scrive, suo successore sulla cattedra di teologia morale del Laterano, non si trovano in alcuna pubblicazione. E non si tratta dell’unica pagina sconosciuta. È rimasto a lungo in ombra anche l’episodio riguardante Emmanuel Milingo, segretario della Conferenza dei vescovi dello Zambia, che nell’agosto 1968, quindi dopo l’uscita di Humanae vitae, scrive al Papa. Nel nostro Paese, dice in sostanza, abbiamo lottato a lungo per far accettare ai malati le cure in pillole e ora proprio dal Vaticano ci arriva un no alla pillola? Ma come faremo a far capire la diversità? E, per quanto riguarda i contraccettivi, Milingo ricorda che nel 1960 il Sant’Offizio aveva accolto il ricorso alla “pillola” per le suore minacciate di stupro con approvazione di moralisti importanti come Palazzini, Fuchs e Zalba, oltre allo stesso Lambruschini (cfr. “Studi Cattolici”, n. 27, 1961): dunque l’uso di quella “pillola” non poteva dirsi «intrinsecamente perverso». Il Papa, incuriosito, chiama Milingo in udienza e l’anno dopo, durante il suo viaggio in Africa, il 1° agosto lo consacra vescovo. Nei fatti la sottolineatura negativa di Milingo ricalcava le critiche arrivate anche da quasi 50 Conferenze episcopali. Paolo VI ne prese atto anche con benevolenza, e nei dieci anni successivi, fino alla sua morte, non parlò mai più di soli metodi naturali per la regolazione delle nascite.

Ma come si arrivò a quell’epilogo? Sul tema, in vista del Concilio, nel luglio 1962 era stato inviato dal Sant’Offizio ai padri conciliari un progetto di Costituzione dogmatica De Matrimonio et Familia che riassumeva l’insegnamento della Casti connubii di Pio XI (1930). Fino a quella data anche il metodo “Ogino Knaus” era del tutto inammissibile. Nei fatti quello schema non fu neppure discusso. Nel febbraio 1963 si pensa di andare avanti, e l’8 marzo il cardinale Suenens ottiene da Giovanni XXIII la nomina di tre teologi e tre laici che a ottobre presentano un secondo schema con parere favorevole alla pillola. Paolo VI non ne è contento e a gennaio 1964 porta la Commissione da 6 a 13 membri, poi ad aprile a 15 per un terzo schema, ma senza arrivare a un accordo. Per il Papa è un segnale, e il 23 giugno 1964, parlando ai cardinali, avoca a sé la decisione e istituisce una nuova Commissione.

Nel 1965, tra gennaio e fine marzo, si riunisce ad Ariccia e poi a Roma una sottocommissione centrale, ormai di 58 componenti, affermando che «il concetto di natura non è statico, ma dinamico» e che i pronunciamenti di Pio XI e Pio XII sui cosiddetti metodi naturali «non sono vincolanti». Segue a settembre la proposta di un quarto schema di “Costituzione pastorale” inviato al Papa e ai Padri, con relazione di maggioranza favorevole alla pillola.

Il 12 novembre 1965 arriva in Aula un quinto schema, approvato con 1.596 voti, contro 72 no e 484 proposte di correzioni e la sottocommissione deve rimettersi al lavoro. Il 29 novembre, dopo una serie di altri sviluppi burrascosi, Paolo VI approva il testo, il 3 dicembre stampato e distribuito per la votazione sul tema “De dignitate matrimonii et familiae fovenda”: 2.047 sì e 155 no. Così finisce il Concilio.

Nel marzo 1966 Paolo VI riprende il tutto, amplia la commissione a 72 membri, cardinali, vescovi, teologi, coppie di sposi. Sette sedute durissime segnano una divisione netta e clamorosa: il 25 giugno la relazione a favore della pillola ha 71 sì e 4 no. Paolo VI, inquieto, chiede consiglio a Carlo Colombo, teologo di sua fiducia, e Ottaviani a luglio gli porta una relazione firmata dai teologi Ford, Visser, Zalba e De Lestapis per il no assoluto ai metodi artificiali contraccettivi. Perciò il 29 ottobre 1966 Paolo VI dichiara che i risultati della Commissione pontificia «non possono essere considerati definitivi» e costituisce una nuova Commissione detta “segreta” con 7 teologi: Colombo, Lio, Zalba, Visser, Fuchs, Lambruschini e Martelet. Nelle sue intenzioni essa potrà garantirgli la conferma di un “no” alla pillola.

Ad aprile 1967 la relazione finale favorevole alla pillola arriva sulla stampa di tutto il mondo, Paolo VI preme per una immediata conclusione, e Ottaviani a gennaio 1968 gli presenta come decisivo un testo sulla totale illiceità della contraccezione, con titolo De nascendae prolis, fin dal titolo così tradizionale che il Papa lo boccia. Nelle settimane successive si prepara un testo finale del tutto nuovo, che Gilfredo Marengo nel suo nuovo saggio («La nascita di un’enciclica. Humanae vitae alla luce degli archivi vaticani», Libreria Editrice Vaticana) chiama «testo Martin Poupard»: preparato e corretto dallo stesso Papa. Sarebbe quello definitivo della Humanae vitae, ma prima dell’approvazione finale Paolo VI investe della questione la commissione “segreta” dei sette teologi. E qui, come detto, entra in gioco Lambruschini. Tutto risolto? Sembra proprio di no. Alla luce di quanto continua a emergere, quella dell’Humanae vitae appare proprio come una storia lunga, importante eppure ancora in via di scrittura.

avvenire

Genova. Il dolore, la preghiera e la solidarietà della Chiesa. Ospitalità agli sfollati

Il cardinale Bagnasco tra i genovesi alluvionati quattro anni fa (Ansa)

Il cardinale Bagnasco tra i genovesi alluvionati quattro anni fa (Ansa)

“Ancora una volta una tragedia volge l’attenzione del Paese a Genova. Questi giorni, che avrebbero dovuto essere di festa e di riposo per tutti, sono invece insanguinati da un nuovo dramma, che ferisce pesantemente intere famiglie e comunità”. Così il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e Presidente della Conferenza episcopale italiana, commenta il crollo del Ponte Morandi sulla A10, che ha causato tanti morti e feriti. “In queste ore di dolore – aggiunge Bassetti – con la nostra preghiera e la nostra solidarietà umana e cristiana, siamo vicini al Cardinale Angelo Bagnasco, alla sua Chiesa e alla sua Città, ai soccorritori e a quanti sono in lutto o in ansia per la sorte dei loro cari”.

“Sono profondamente colpito per l’immane disastro accaduto a Genova e che ha provocato numerosi morti, diversi feriti e danni ingenti – scrive alla sua gente l’arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco -. Dopo le ripetute alluvioni degli anni scorsi, dopo il crollo della Torre Piloti al Molo Giano, eventi che tante vittime hanno provocato, siamo sgomenti di fronte a un episodio che ha ferito la città e impressionato l’Italia intera”.

“La Chiesa genovese piange e prega per coloro che in questo crollo hanno perso la vita, affidandoli all’amore di Dio. Per questo, mercoledì 15 agosto, nella solennità della Madonna Assunta, in tutte le chiese della Diocesi verranno ricordati, con specifiche preghiere, quanti sono stati colpiti e tutta la città – continua Bagnasco -. La comunità cristiana si stringe in un abbraccio solidale ai familiari delle vittime ed è vicina ai feriti. Ringrazia con ammirazione i soccorritori, ancora una volta generosi nel loro tempestivo intervento. Esprimo l’auspicio che possa essere posto sollecito rimedio alla caduta di una struttura che tanti disagi inevitabilmente provocherà alla popolazione locale e a quanti fanno della mobilità stradale lo strumento indispensabile per il bene della comunità italiana. Genova si risollevi dal lutto e dal dolore di questo giorno, e consolidi la solidarietà, il senso di responsabilità e di impegno concreto che esprimono la sua anima e di cui in tante circostanze è stata capace”.

Bagnasco ha anche affermato che “la diocesi offrirà ospitalità iniziale a tutti gli sfollati a causa del crollo del ponte. Sappiamo che ci sono sfollati da diversi caseggiati”.

A Genova, oggi pomeriggio del 14 agosto nella chiesa di Santa Zita in Corso Buenos Aires, dalle 17.30 alle 18.30, è previsto un momento di Adorazione e preghiera per la grande tragedia che ha colpito Genova, dove intorno alle ore 11.50 è crollato il Ponte Morandi sulla A10. Un altro momento di preghiera è inoltre previsto alle ore 19.30 nella Basilica dell’Annunziata.

da Avvenire

Messaggio di don Daniele del 13 Agosto 2018

Sono di ritorno dal Rosario per una mamma di 91 anni Maria Scalise ved. Muraca, nella chiesa di Santo Stefano (esequie domani alle 14 a Coviolo). Con 11 figli e alcuni impegnati a livello diocesano, c’era tanta gente e la mente andava continuamente a esattamente due  settimane fa per il Rosario di don Fabrizio.
Per il Vescovo Massimo le notizie sono buone, la febbre si è calmata e domani dovrebbe essere dimesso. Era agli infettivi perché infezione di origine batterica, probabilmente contratta nel recente viaggio in Colombia. Nei libretti dell’Assunta (stranamente già stampati) si prega cmq ancora e con affetto per il nostro Vescovo. Domani dovrei avere conferma che monsignor Gazzotti sarà con noi alla Messa principale delle ore 11 (e non 11.15) in Cattedrale all’Assunta. Colgo occasione per ricordare che il 15 agosto sono sospese solo le Messe delle 10 in Santo Stefano e in Santa Teresa. Tutte le altre ci sono come nei giorni di festa, comprese le due della Vigilia domani sera (martedì 14) alle 18.30 in San Prospero e alle 19 in Santo Stefano, grazie sempre all’aiuto prezioso di don Vasco e di Caprioli, che presiederà la Messa delle 11 in Duomo, e di Monsignor Marmiroli che la presiede alle 18.
Maria Assunta interceda per noi!