Giovani che partono ci vuole una speranza

Giovani che partono ci vuole una speranza

Dal momento dell’unità fino agli anni Sessanta del ventesimo secolo l’Italia è stato un Paese di fortissima emigrazione, che veniva abbandonato provvisoriamente o definitivamente dai nostri concittadini in cerca di migliori opportunità lavorative all’estero. A partire dagli anni Settanta il segno del cosiddetto saldo migratorio si è invertito e il flusso di emigranti dall’Italia si è ridotto notevolmente. Con l’inizio degli anni Ottanta, e con ritmo sempre crescente fino ai giorni nostri, abbiamo così sperimentato l’altro volto della migrazione, caratterizzata da un consistente aumento dei flussi migratori in ingresso. Ci siamo, così, lentamente trasformati in una società multietnica, caratterizzata anche da una pluralità di confessioni religiose. Spesso gli immigrati sono guardati con diffidenza, perché sospettati di sottrarre risorse agli italiani in un contesto economico ormai endemicamente stagnante. Altre volte gli immigrati sono visti come una risorsa insostituibile, perché svolgono mansioni di profilo mediamente più basso, che gli autoctoni stentano ad accettare.

Il contesto entro cui ci muoviamo è comunque quello di un Paese la cui priorità dell’agenda politica sembra essere il controllo dei flussi in entrata. Ciò è indubbiamente vero se si osserva il segno del saldo migratorio: l’Italia è un Paese dove prevalentemente si viene ad abitare, complice anche una posizione geografica di frontiera, e, in misura minore, un Paese dal quale si parte: secondo dati Istat, nel 2017 si sono registrati 337mila ingressi contro 153mila uscite, per un saldo (dato dal numero di immigrati meno quello degli emigrati) di 184mila unità. Seppur quantitativamente inferiore, il flusso in uscita è senza dubbio non trascurabile: se quindi è vero che sono meno i connazionali che lasciano l’Italia rispetto agli stranieri che arrivano, occorre interrogarsi sul profilo di chi se ne va e sulle ragioni che portano a prendere in considerazione la possibilità di emigrare. Per quello che riguarda l’identikit dell’emigrante è doveroso ricordare che la popolazione migrante ha un profilo per età molto giovane. Tra di essi circa la metà ha un’età compresa tra i 15 e i 39 anni (secondo il report Istat dal titolo Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente del 6 dicembre 2016). L’emigrazione dall’Italia, così come l’immigrazione in Italia, è un fenomeno che riguarda essenzialmente i giovani, che sono notoriamente la parte più dinamica e, almeno potenzialmente, produttiva della popolazione.

In questo contesto è necessario ricordare che un’esperienza all’estero per un periodo limitato, anche non necessariamente di brevissima durata, non rappresenta di per se stessa un fenomeno negativo. Se un giovane, dopo un’esperienza di studio e di lavoro, è messo nelle condizioni di potere rientrare porta con sé un patrimonio di conoscenze (linguistiche, culturali e professionali) che arricchiscono il nostro Paese. Il problema nasce quando emigrare significa compiere un viaggio senza la possibilità di un biglietto di ritorno e quando, così, gli emigranti non trovano condizioni adeguate per potere rientrare. Al fine di valutare il fenomeno migratorio è quindi importante tracciarne le cause, ad esempio chiedendo ai giovani residenti come considerano l’eventualità di migrare, anche in relazione alle opportunità date del Paese di origine. In questo senso risulta utile mostrare alcune evidenze tratte da uno studio dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo condotto su un campione che coinvolge i cinque più popolosi Paesi europei – Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Spagna – e coordinato dal professor Alessandro Rosina. Il campione presenta 1.000 intervistati per ogni Paese dell’elenco e i cinque campioni sono ciascuno rappresentativo della popolazione di giovani di età fra i 18 e i 32 anni ivi residenti. Secondo i dati, il 92,4% degli intervistati italiani è abbastanza o molto convinto che «andare all’estero è soprattutto una necessità per trovare migliori opportunità di vita e lavoro», contro il 46,9% dei giovani francesi e il solo 25,7% dei coetanei tedeschi. Risulta anche più diffusa l’opinione che le opportunità per i giovani nel proprio Paese di origine siano peggiori rispetto alla media degli altri Paesi sviluppati: ne sono convinti il 75,6% degli italiani contro il 20% dei francesi e l’8,6% dei tedeschi.

La scelta di migrare è quindi, per i ragazzi italiani, guidata sì dalla percezione che la mobilità sia una opportunità per perfezionarsi e progredire nella costruzione del proprio futuro ma ancor più sembra essere la mancanza di opportunità il principale fattore di spinta. In questo senso i dati illustrati vanno certamente nella direzione del senso comune, che vede l’Italia come un Paese che arranca rispetto agli altri Stati europei, soprattutto per quello che riguarda le opportunità nel mercato del lavoro dei giovani. Ma ciò che rileva con forza è la proporzione della differenza del sistema delle opinioni degli italiani rispetto a quello dei giovani delle nazioni che consideriamo abitualmente come realtà confrontabili con la nostra. Secondo un’ulteriore rilevazione, condotta a fine 2017 dall’Osservatorio Giovani, su un campione rappresentativo di 3.034 giovani italiani, emerge come il 41,9% degli intervistati si dichiari disponibile ad andarsene all’estero in modo stabile per migliorare le proprie condizioni lavorative e di vita. Questo dato recente, nonostante i segnali timidi di ripresa relativi all’aumento dell’occupazione giovanile e alla crescita economica del Paese, mostra come l’Italia sia ancora un Paese a forte rischio emigrazione. Questo rischio interessa in modo particolare alcune categorie sociali: gli uomini si dichiarano più esposti al rischio di emigrazione rispetto alle donne, così come chi è residente al Sud e chi ha un titolo di studio più elevato (un master o un dottorato), anche se una dinamica sfavorevole si osserva ultimamente anche per chi è in possesso di un titolo di studio inferiore al diploma di scuola secondaria superiore.

I dati mostrano inoltre come siano più esposti al rischio di emigrare coloro i quali considerano come negativa la congiuntura economica italiana e che pensano anche che ci siano poche chance che tale condizione evolva in senso favorevole nel futuro prossimo. È quindi proprio questa la sfida che occorre raccogliere: ricondurre le aspettative dei giovani su posizioni meno allarmate, fornendo garanzie credibili e cambiando le prospettive future per le nuove generazioni. Sono, infatti, le aspettative, oltre che la situazione corrente, che nel comportamento umano svolgono un ruolo guida nell’orientare le decisioni. Lavorare sulla credibilità delle risposte è la principale cosa da fare per concederci la possibilità di trattenere i giovani residenti e per restituire la possibilità di tornare a chi se ne è andato.

da Avvenire

L’iniziativa #alpapadirei. Un «hashtag» per portare al Papa la voce dei giovani

Un «hashtag» per portare al Papa la voce dei giovani

Quattro linee incrociate per esprimere tutta la voglia di comunità: dietro al simbolo del ‘cancelletto’ – a tutti ormai noto con il nome di hashtag – si esprime il più antico desiderio dell’umanità, quello di «stare insieme ». Una ricerca atavica di relazione che ha trovato questo modo di esprimersi nell’era dei social network, in un mondo, cioè, in cui il primo brivido deriva in realtà dalla libertà di immergersi totalmente nel costante flusso di parole, immagini, suoni.

È bello sentirsi parte di questa enorme corrente vitale che ti fa capire di appartenere a qualcosa di «più grande» e che permette anche di «perdersi». Ma ognuno conserva dentro di sé l’istinto di cercare il gruppo, di condividere l’esperienza, di dare un nome comune alle cose. Usare un hashtag significa proprio questo: creare un linguaggio comune per ‘ritrovarsi’, creare ponti, dare vita a comunità. Il grande movimento che ha preso forma in seno alla Chiesa grazie alla preparazione alla prossima Assemblea del Sinodo dei vescovi dedicata ai giovani non poteva ignorare questo modo dei giovani di condividere e di ritrovarsi. Il Papa stesso ha più volte invitato le nuove generazioni a farsi sentire, a esprimere ciò che esse si portano dentro, a formulare proposte per il futuro, a indicare strade da percorrere, a dare voce alle critiche.

Un modo, secondo Francesco, per regalare alla Chiesa quella «primavera» di cui ha bisogno. E non si tratta di mettere in discussione quel patrimonio prezioso che è la dottrina, le verità di fede che hanno attraversato secoli di storia. Questa attenzione rappresenta, invece, la voglia di offrire l’antico tesoro a chi vive sulle frontiere del futuro. È da questa tensione che nasce l’iniziativa di Avvenire che ha lanciato in Rete l’hashtag #alpapadirei. In questo modo il quotidiano dei cattolici, da sempre spazio comune per tutti i credenti, agorà vivace di un mondo variegato, si mette alla ricerca sul Web, soprattutto in mezzo ai giovani, di quella comunità costruita attorno alla voglia di continuare ad alimentare la civiltà dell’amore.

Una comunità che sui social esiste già, perché è costituita dai tanti ragazzi alla ricerca di un senso, desiderosi di incontrare la verità ma anche di dire la loro al Papa. L’hahstag #alpapadirei è solo l’occasione per darle un volto, per darle voce, per darle forza. Una comunità che Avvenire affida al Papa, alla sua capacità di essere pastore anche «fuori dagli schemi» e di estrarre dal suo tesoro «cose nuove e cose antiche», consapevole che la comunità più importante è quella che si riconosce attorno al Risorto.

MANDA UN MESSAGGIO A PAPA FRANCESCO

da avvenire

Istat. Nel primo trimestre +147mila occupati

Nel primo trimestre +147mila occupati

Nel primo trimestre del 2018 in Italia il mercato del lavoro mostra una crescita di 147mila occupati sullo stesso periodo dello scorso anno, pari a un incremento dello 0,6%, circoscritta tuttavia ai dipendenti a termine, che salgono di 385mila, mentre calano quelli a tempo indeterminato e gli autonomi. Lo rileva l’Istat, precisando che rispetto agli ultimi tre mesi del 2017 l’occupazione rimane sostanzialmente stabile.

Anche il tasso di occupazione resta sostanzialmente invariato, portandosi al 58,2%. Nei dati mensili più recenti (aprile 2018), al netto della stagionalità, il numero di occupati continua a crescere rispetto a marzo 2018. Per il 14esimo trimestre consecutivo aumentano gli occupati a tempo pieno mentre il tempo parziale diminuisce per la seconda volta, dopo una crescita ininterrotta dal 2010. Sulla base dei dati di flusso, a distanza di 12 mesi, si stima un aumento delle trasformazioni da tempo parziale a tempo pieno, soprattutto per quanti svolgevano un part time involontario.

Nel primo trimestre 2018 prosegue la crescita dell’occupazione e del relativo tasso per i giovani di 15-34 anni, verificatasi a livello sia congiunturale sia tendenziale. L’aumento dell’occupazione, diffuso per genere e ripartizione, è più intenso per le donne e nel Mezzogiorno.

Dio racchiude il grande nel piccolo, l’eternità nell’attimo. Commento al Vangelo Domenica 17 Giugno 2018

XI Domenica
Tempo ordinario Anno B

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra (…)».

Gesù, narratore di parabole, sceglie sempre parole di casa, di orto, di lago, di strada: parole di tutti i giorni, dirette e immediate, laiche. Racconta storie di vita e le fa diventare storie di Dio, e così raggiunge tutti e porta tutti alla scuola delle piante, della senape, del filo d’erba, perché le leggi dello spirito e le leggi profonde della natura coincidono; quelle che reggono il Regno di Dio e quelle che alimentano la vita dei viventi sono le stesse. Reale e spirituale coincidono.

Accade nel Regno ciò che accade nella vita profonda di ogni essere. C’è una sconosciuta e divina potenza che è all’opera, instancabile, che non dipende da te, che non devi forzare ma attendere con fiducia. Gesù ha questa bellissima visione del mondo, della terra, dell’uomo, al tempo stesso immagine di Dio, della Parola e del regno:
tutto è in cammino, un fiume di vita che scorre e non sta fermo. Tutto il mondo è incamminato, con il suo ritmo misterioso, verso la fioritura e la fruttificazione. Il paradigma della pienezza regge la nostra fede. Mietiture fiduciose, abbondanti. Gioia del raccolto. Sogni di pane e di pace. Positività.
Il
terreno produce da sé, per energia e armonia proprie: è nella natura della natura di essere dono, di essere crescita. È nella natura di Dio. E anche dell’uomo. Dio agisce in modo positivo, fiducioso, solare; non per sottrazione, mai, ma sempre per addizione, aggiunta, incremento di vita. Con l’atteggiamento determinante della fiducia!
Il terreno produce spontaneamente. Non fa sforzo alcuno il seme, nessuna fatica per il terreno, la lucerna non deve sforzarsi per dare luce se è accesa; il sale non fa sforzo alcuno per dare sapore ai piatti. Dare è nella loro natura. È la legge della vita: per star bene anche l’uomo deve dare. Quando è maturo infine il frutto si dà, si consegna, espressione inusuale e bellissima, che riporta il verbo stesso con cui Gesù si consegna alla sua passione. E ricorda che l’uomo è maturo quando, come effetto di una vita esatta e armoniosa, è pronto a donarsi, a consegnarsi, a diventare anche lui pezzo di pane buono per la fame di qualcuno. Nelle parabole, il Regno di Dio è presentato come un contrasto: non uno scontro apocalittico, bensì un contrasto di crescita, di vita. Dio viene come un contrasto vitale, come una dinamica che si insedia al centro, un salire, un evolvere, sempre verso più vita. Quando Dio entra in gioco, tutto entra in una dinamica di crescita, anche se parte da semi microscopici:

Dio ama racchiudere
il grande nel piccolo:
l’universo nell’atomo
l’albero nel seme
l’uomo nell’embrione
la farfalla nel bruco
l’eternità nell’attimo
l’amore in un cuore
se stesso in noi.
(Letture: Ezechiele 17, 22-24; Salmo 91; 2 Corinzi 5,6-10; Matteo 4, 26-34).

di Ermes Ronchi – Avvenire