I consigli. Donne e percorso di carriera nella tecnologia

Stephanie Lynch-Habib, vicepresidente di Colt

Stephanie Lynch-Habib, vicepresidente di Colt

Donne e lavoro: un rapporto difficile. Ancora poche le italiane che hanno un impiego. Spesso hanno un percorso di carriera più complicato dei colleghi e un reddito inferiore: -20% di differenza retributiva rispetto agli uomini, a parità di posizione professionale. In molti casi non vengono nemmeno aiutate se vogliono diventare mamme. Il tasso di abbandono è del 27% per le lavoratrici dopo il primo figlio. Ciò è dovuto alla mancanza di un adeguato sostegno alle famiglie (asili nido, sgravi fiscali, incentivi all’occupazione), all’allungamento dell’orario di lavoro (40 ore in Italia; 35 ore in Francia e altri Paesi). Nonostante non sia un problema di lauree, qualifiche o diplomi: nell’istruzione e formazione il divario di genere è a favore delle italiane.

In alcuni casi, tuttavia, ci sono donne che raggiungono il successo e possono diventare un simbolo per le lavoratici. Come Stephanie Lynch-Habib, vice president e chief marketing officer di Colt Technology Services, un’azienda internazionale che fornisce servizi di rete, comunicazione e soluzioni a banda larga on-demand a livello mondiale in Europa, Asia e Nord America. Stephanie ha oltre 20 anni di esperienza nel settore delle telecomunicazioni, con una vasta esperienza finanziaria e di gestione grazie alla varietà di ruoli che ha ricoperto. Una donna con un’esperienza internazionale, con una lunga carriera professionale a livello dirigenziale alle spalle. E che può dare consigli alle donne sull’importanza di lavorare con il supporto di un mentore, di avere fiducia in se stesse (al di là delle proprie competenze, del talento e delle capacità di ciascuno), di crearsi una rete ampia sia all’interno che all’esterno dell’azienda per condividere idee, discutere le sfide e le esperienze, insomma fare rete.

«È in corso un’evoluzione importante – spiega Stephanie – sicuramente un passo positivo nella giusta direzione, ma c’è ancora molto da fare in questo Paese. Le ricerche ci dimostrano che è difficile per le donne in Italia beneficiare delle pari opportunità. Su 144 Paesi, l’Italia si colloca all’82° posto per pari opportunità sul lavoro e in politica, nell’istruzione e nella sanità, e rispetto alla classifica dello scorso anno è scesa di 32 posizioni e di 41 dal 2015, collocandosi molto al di sotto dei Paesi dell’Europa settentrionale, che sono i primi a livello mondiale. Di fatto, l’Italia supera in classifica soltanto la Repubblica Ceca, Cipro, Malta e Ungheria. Una delle ragioni principali è la mancanza di un sistema di sostegno sufficiente per le donne che le aiuti a trovare un certo equilibrio tra vita familiare e professionale».

Guardando ancora le statistiche, un ambito in cui l’Italia ha ottenuto un punteggio elevato è quello relativo all’istruzione superiore: il Belpaese vanta un numero di donne nell’istruzione terziaria notevolmente superiore rispetto agli uomini. Nonostante ciò, ci sono ancora sostanziali differenze nella concezione del ruolo della donna tra Nord e Sud Italia; sono dovute a diversi fattori, storici e culturali, ma questa mentalità a mio avviso dovrebbe cambiare.

«Per quanto riguarda la ricerca del lavoro – continua la manager – le donne possono beneficiare appieno delle piattaforme social: credo fermamente nel networking, nel potere di condividere idee, progetti, sfide e best practices. Grazie alla ‘società digitale’, le risorse umane possono anche cercare proattivamente talenti nelle nuove generazioni per incoraggiare e sostenere i loro percorsi di carriera, anche in ambito tecnologico. Sicuramente, non è semplice abbattere i preconcetti e i pregiudizi che ancora permangono quando si parla di scegliere il giusto candidato per una determinata posizione. Infatti, non è una novità che ci sia in generale meno propensione nell’assumere le donne rispetto agli uomini, anche quando i candidati hanno le stesse identiche qualifiche. I datori di lavoro privilegiano gli uomini non perché siano vittime di pregiudizi nei confronti delle donne, ma perché hanno la percezione che in media gli uomini svolgano meglio certi compiti. Dobbiamo trasformare questa mentalità per far sì che i datori di lavoro comprendano e valutino il motto: “la persona giusta al posto giusto”. Bisognerebbe pensare ad assumere le persone migliori, indipendentemente dal genere e le donne hanno bisogno di sentirsi responsabilizzate per contribuire in modo importante nei loro rispettivi campi di attività. Inoltre, ci dovrebbero essere cambiamenti anche nel sistema di benefit legati al mondo femminile: penso ad esempio al periodo della maternità, al congedo per malattia e alla regolamentazione in generale, in modo da sostenere le donne lavoratrici nel loro percorso professionale e far sì che ci sia il giusto work-life balance. Il mercato sta cambiando rapidamente e le aziende devono creare politiche sociali e benefici per soddisfare i millennials e le esigenze delle giovani donne. Dall’altro lato, i candidati dovrebbero prepararsi bene e offrire argomentazioni valide a supporto della loro abilità nel superare determinate idee preconcette che alcuni datori di lavoro potrebbero avere».

Da sottolineare anche che la legislazione sulle pari opportunità è stata varata in Italia a seguito di analoghe iniziative in altri Paesi europei. Negli anni ‘70 la legge ha sancito il principio di uguaglianza nei vari ambiti della vita sociale e lavorativa. In Italia le imprese che assumono 15 o più persone sono tenute a segnalare le disparità nelle statistiche retributive tra uomini e donne. Non c’è da stupirsi della disparità salariale tra i due sessi. Dopo tutto, si tratta di una tradizione secolare. Inoltre, i datori di lavoro non sono tenuti a rivelare i dati granulari per la retribuzione di ruoli simili. Esistono politiche europee per le pari opportunità in Europa, ma il divario di genere sul posto di lavoro è ancora molto forte. Molti Paesi europei e gli Stati Uniti mantengono una buona posizione per quanto riguarda le pari opportunità sul lavoro, ma questo gap potrebbe avere un impatto ancora maggiore in Paesi come l’Italia e la Spagna.

Le tutele legali in Italia si applicano per lo più alle aziende con più di 15 dipendenti. Il testo di legge prevede la tutela della maternità (fino a 12 mesi) e del matrimonio. Un altro vantaggio è l’elevato numero di giorni di ferie, che si traduce in più tempo per le donne. Inoltre, la legislazione sul lavoro agile in Italia è ormai una realtà e viene adottata da un numero crescente di aziende. Molte persone stanno approfittando della flessibilità nel lavoro. «In Colt – sottolinea – abbiamo un programma di Csr, responsabilità sociale di impresa, strutturato e campagne per sostenere luoghi di lavoro sicuri e diversificati, in tutti i Paesi, in tutto il mondo. Sono in Colt da 18 mesi e sono molto contenta di vedere che c’è una grande attenzione verso questi aspetti: flessibilità, unita alla produttività. In Colt ci sono molte iniziative per incoraggiare e aiutare i dipendenti a trovare un buon equilibrio tra vita lavorativa e vita privata, oltre a programmi di sviluppo per sostenere i dipendenti nel migliorare le proprie competenze professionali e personali. Questi includono iniziative per il benessere e la salute mentale, le policy di Colt per il lavoro flessibile, il mentoring e il counselling. Per quanto riguarda i benefit per le neo-mamme, in Colt Italia, l’attuale sistema, negoziato tra le organizzazioni sindacali e il datore di lavoro, prevede un congedo di maternità pari al 100%, durante il periodo facoltativo che dura fino a 6 mesi e diverse tipologie di supporto (possibilità di tenere il laptop e il telefono aziendale durante l’assenza, part-time per 3 anni dopo il rientro al lavoro; lavoro da casa).
Tutto ciò non va ad inficiare la produttività in alcun modo, e possiamo misurarlo in maniera quantitativa tramite specifici Kpi. Oltre alla flessibilità e alla produttività, siamo orgogliosi di vedere l’entusiasmo dei nostri dipendenti. Esiste un ecosistema positivo, in quanto le persone vivono il senso di appartenenza all’azienda. Infine, siamo orgogliosi delle nostre iniziative di Csr: Colt concede due giorni all’anno per attività di volontariato a ogni dipendente. Anche le generazioni più giovani sono molto consapevoli dei valori all’interno di un’impresa e vi è un chiaro vantaggio quando il lavoratore è in grado di riconoscersi nei valori aziendali».

Tra i consigli alle giovani donne italiane che vogliono lavorare oggi in settori tecnologici, Stepanie mette al primo posto la conoscenza avanzata di almeno una lingua straniera (soprattutto l’inglese). Le donne dovrebbero inoltre orientare il loro percorso di studi verso l’area Stem (acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics) e creare una rete di contatti con le aziende per aumentare le loro possibilità di trovare il ruolo giusto, anche e soprattutto attraverso le piattaforme social. Infine, a mio parere, l’aspetto più importante è la passione per il proprio lavoro: se la si possiede, diventa molto più facile raggiungere gli obiettivi prefissati. «Non si deve attendere che qualcosa accada – conclude la manager -. Credo piuttosto che le donne debbano essere coraggiose e audaci nel fissare obiettivi e priorità, e pianificare la propria strada. Il mio consiglio è di creare una propria strategia personale per raggiungere il successo, e di circondarsi di persone che possano supportarla al meglio, come ad esempio un mentore o un tutor. Inoltre, un altro fattore importante è considerare l’esperienza in diversi settori come qualcosa di estremamente positivo, in quanto aiuta ad ampliare la mente, e rappresenta un’occasione di arricchimento utile per la propria personale realizzazione lavorativa».

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Santi. Perché i cristiani hanno sempre venerato le reliquie dei testimoni del Vangelo

L'ampolla contenente il sangue di Sa Giovanni Paolo II

L’ampolla contenente il sangue di Sa Giovanni Paolo II

Nei giorni in cui le reliquie di Giovanni XXIII sono tornate (fino al 10 giugno) nella sua casa di Sotto il Monte, a Bergamo, ecco una riflessione sulla venerazione cristiana delle reliquie.

Ci si chiede quale può essere la ragione teologico-pastorale del peregrinare ai luoghi dove i santi hanno svolto la loro missione o raccogliere e venerare il loro corpo. Tra le varie ragioni teologiche ve ne sono alcune che hanno le loro radici nella cristologia di prospettiva metastorica ed escatologica. Noi partiamo da questa.

Il Verbo divino per espletare il piano salvifico del Padre prende umana carne, e la persona del Verbo ha in sé,realiter , la natura umana e acquisisce anche un’anima umana, come sottolinea il Concilio di Calcedonia. La fisicità del Verbo, vero figlio unigenito di Dio e vero figlio di Maria, vive la sua missione in quella corporeità e umanità riconosciuta e individuata come la personalità del rabbi galileo, che ha toccato e sanato i malati, ha dato speranza ai disereda- ti e ai peccatori, è entrato nella casa di Zaccheo ( Lc 19,1-10) e di Marta e Maria ( Lc 10,38-42) e ha, con i suoi, frequentato i momenti di gioia, come a Cana di Galilea ( Gv 2,1-11), e di sofferenza, come l’incontro con il figlio defunto della vedova di Naim ( Lc 7,11-17) e la figlia di Giairo ( Mc 5,2124.35-43). L’umanità di Gesù Cristo fu determinante nel piano divino in tutta la sofferenza e umiliazione della Passione sino alla tragedia della croce. Sul Calvario, dice san Tommaso, « latebat sola deitas ».

Il Concilio di Calcedonia, esaminata la rivelazione e la tradizione, ci garantisce che Cristo fu vero uomo in anima e corpo. Ed è proprio per il mistero dell’unione ipostatica, cioè delle due nature nell’unica persona del Verbo, che ha potuto realizzarsi la redenzione dell’umanità impoverita dalla colpa adamitica. Il corpo esanime del Crocifisso è visitato dopo la parasceve e la Pasqua ebraica dalle donne ( Mc 16,1-8) per onorarlo con i riti della tradizione. Ma il sepolcro è vuoto e il corpo risorto diventa presenza e speranza per gli Apostoli che saranno testimoni del Risorto. I cristiani sin dei primi secoli onoreranno i corpi dei martiri in virtù proprio del fatto che con il Battesimo e l’intera economia sacramentale, il corpo del cristiano ha cooperato al progetto di grazia dell’itineranza cristiana e quindi, oltre ad essere il tempio della Trinità, è stato lo strumento materiale per una realizzazione della teofania individuale, cioè di “quel cristiano” nella sua realtà storica.

L’onorare dunque il corpo sepolto di un santo significa richiamare il modo come questi ha risposto al progetto di Dio e porsi alla sua scuola, per rendere la propria vita illuminata dallo stile con cui quel santo ha vissuto. Anche i luoghi dove egli è stato e ha onorato Dio divengono eloquenza di conversione e di grazia.

L’accoglienza o il pellegrinaggio presso i corpi dei santi o i luoghi della loro vita o della loro missione vanno letti proprio in questa luce cristologica, in prospettiva di una vita da realizzare “nascosta” con Cristo in Dio, come fu la vita di questi fratelli e sorelle che in modo egregio hanno testimoniato la forza e la tenerezza dell’essere di Cristo, con Cristo e per Cristo nella strada della storia. Si tratta allora di “toccare con mano”, attraverso la presenza della carne mortale, quella dinamica dello Spirito che ha saputo, dalla fragilità della carne, rendere efficacemente presente quella essenzialità del vivere il Vangelo, in cui i contenuti della fede nelle scelte, grazie anche alla corporeità di quel credente, hanno qualificato l’essenzialità dell’essere persona umana, irrorata dalla dimensione della vita divina che ha segnato anima, tempo, spazio e luogo.

Potremmo concordare con Karl Rahner quando parla di una teologia esistenziale-soprannaturale. Nell’accostarci al corpo e ai luoghi dei santi infatti noi facciamo esperienza con l’esistenziale “consumato” da quel cristiano, che è stata la sua determinazione esistenziale – come direbbe Heidegger – autentica e piena della persona di fronte al rivelarsi e al donarsi del Signore. Questa esistenzialità può essere realmente definita soprannaturale, in quanto coincide con la donazione attiva da parte di Dio e della donazione passiva da parte dell’uomo, che ha accolto la vita di grazia. In questa dinamica di donazione passiva, l’uomo, oltre a segnare il tempo e lo spazio per sé del vivere secondo Dio, lascia una scia di testimonianza, perché dalla sua scelta altri possano beneficare e donare alla storia, come richiama Metz, le vestigia di una teologia esemplare, che orienta e determina la santità di un luogo.

Il recarsi e l’accogliere le spoglie mortali di colui che del progetto divino ha segnato il suo vivere, è concreta opportunità sia di dare gloria a Dio, per averci donato in questo fratello/ sorella l’epifania della sua misericordia, che di realizzare una prospettiva per raccogliere il testimone e continuare nella storia la “stigmata” che porterà a “cieli nuovi e terre nuove” in quella escatologia parusiaca dell’evento glorioso di Cristo, nel suo “giorno definitivo” che è luce di verità.

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2 giugno. Auguri del neopremier Conte agli italiani: «Festa di noi tutti»

Auguri del neopremier Conte agli italiani: «Festa di noi tutti»

Il 2 giugno «è la festa di noi tutti, tanti auguri a tutti», dice il neo premier Giuseppe Conte rispondendo al cronista dell’Ansa che sulla porta di casa gli chiede un pensiero per gli italiani. Conte è poi partito con la scorta alla volta delle celebrazioni per la festa della Repubblica. La formazione del nuovo governo, che ieri
ha giurato al Quirinale, regala l’immagine di un nuovo “quintetto” nella tribuna d’onore, in occasione della parata militare ai Fori Imperiali, appuntamento clou per la Festa della Repubblica.

Accanto al capo dello Stato Sergio Mattarella, siedono i presidenti dei due rami del Parlamento, Maria Elisabetta Alberti Casellati del Senato e Roberto Fico della Camera e il neo premier Giuseppe Conte,
tutti alla loro prima “sfilata” istituzionale, assieme al presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi che completa le presenze delle alte cariche della Repubblica.

In prima fila nella tribuna d’onore, anche i due vicepremier: Matteo Salvini ministro dell’Interno e Luigi Di Maioministro del Lavoro. Per il governo, anche i ministri della Difesa Elisabetta Trenta e della Giustizia Alfonso Bonafede, il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani, esponenti politici, vertici militari e delle forze dell’ordine, il governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti e Virginia Raggi sindaco di Roma.

Mattarella: libertà e uguaglianza pilastri società
I «valori di libertà, giustizia, uguaglianza fra gli uomini e rispetto dei diritti sono il fondamento della nostra società ed i pilastri su cui poggia la costruzione dell’Europa. Dalla condivisione di essi nasce il contributo che il nostro Paese offre alla convivenza pacifica tra i popoli ed allo sviluppo della comunità internazionale». Così ilpresidente della Repubblica Sergio Mattarella in un messaggio al capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Claudio Graziano, in occasione del 2 giugno, sottolineando come la Carta sia «architrave delle Istituzioni e supremo riferimento per tutti».

Salvini con la coccarda tricolore sulla giacca
Il neo ministro dell’Interno Matteo Salvini, sul bavero della giacca sotto la tradizionale spilletta leghista di Alberto da Giussano, si è appuntato la coccarda tricolore indossata da tutti le autorità presenti alla sfilata del 2 giugno ai Fori Imperiali.

Di Maio: al lavoro, possiamo fare la differenza
«Già da oggi pomeriggio sarò al lavoro al ministero, così come tanti altri ministri. Credo che possiamo fare veramente la differenza. Saranno i cittadini a giudicarci, non facciamo annunci. Siamo una bella squadra, molto affiatata e possiamo lavorare bene insieme». Lo ha detto il neo ministro al Lavoro, Luigi Di Maio, arrivando alle celebrazioni per il 2 giugno in via dei Fori Imperiali.

Berlusconi: formula inedita e contraddittoria
«La Festa della Repubblica quest’anno cade in un momento particolarmente difficile, al termine della crisi politica e istituzionale più complessa dal dopoguerra che vede alla luce una formula di governo inedita e anche contraddittoria, una formula di governo non scelta dagli italiani con il voto e che deve conciliare valori e programmi diversi se non addirittura opposti, all’insegna del populismo». Lo afferma Silvio Berlusconi in un videomessaggio in occasione della Festa della Repubblica.

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Musica. Mogol: l’arte di vivere in una canzone e nella preghiera

Mogol: l'arte di vivere in una canzone e nella preghiera

È forse il destino precipuo della poesia l’essere collocata a mezza altezza, fra cielo e terra. Esiste una parola greca che esprime alla perfezione questo stato in luogo intimamente lirico, metaxù, “a metà” tra il sensibile e il sovrasensibile. È il luogo intermedio occupato da Diotima nel Simposio. E non è un caso che la canzone d’autore, da sempre allineata ai maggiori temi della poesia, riprenda spesso tale fisica: si pensi a The Rising di Bruce Springsteen, tradotto come la “resurrezione” o, in modo più letterale, il “sollevarsi”. Cioè, non semplicemente risalire la china, ma essere risospinti alla luce, innalzarsi, guadagnare il punto ibrido del qui e dell’oltre. Uno dei più bei pezzi della musica leggera italiana non è altro che un’esortazione a raggiungere quel luogo privilegiato, capace di elevare l’intera esistenza, La collina dei ciliegi: «Ma perché tu non ti vuoi azzurra e lucente?», «e più in alto e più in là / ora figli dell’immensità». Per riprendere solo alcune preziose espressioni della canzone. La geolocalizzazione della donna, in accordo con la più fragrante tradizione poetica del nostro Paese è lì, in quello spazio sopraelevato.

L’uomo che ha dato parola ai modernissimi arrangiamenti di Battisti è stato da poco premiato, dal rettore Vilberto Stocchi, con il Sigillo d’Ateneo dell’Università di Urbino. Giulio Rapetti Mogol, celebre paroliere e discografico, nella sua briosa lectio magistralis sul pop e i suoi derivati, aveva evidenziato come «a differenza della musica classica, la canzone popolare cammini verso la vita. L’obiettivo di Elvis Presley era di far innamorare le donne. Faceva leva sulla loro percezione materna. Le commuoveva. E così rendeva credibili le emozioni messe in campo nella performance. Anche Sinatra ha chiuso il fraseggio nella gabbia di un dire più fluido, meno manieristico. Il cantato si è avvicinato, in questo modo, al parlato».

Le canzoni sue e di Battisti sembrano non invecchiare mai.

«Guardi, Battisti cantava come si canta nel mondo d’oggi. È la sua assoluta contemporaneità. Eppure a X Factorvincono ancora tenori che, con un urlo, spaccano le lampadine. Ma la misura è fondamentale nell’arte. Da parte mia ho cercato, sin dagli inizi, di capire dove stesse andando il pop, quali vie percorresse. E ho iniziato a seguire, poeticamente, quella strada. Mi sono relazionato sempre alla vita quotidiana della gente, alle sensazioni soggettive, alle mie esperienze. Non ho mai fatto fiction. Ho cercato di osservare cosa mi stava accadendo intorno, tenendo gli occhi fissi sul “senso” della musica. Se una frase può dire certe cose, non può dirne di altre. Allora, è necessario essere precisi. Bisogna trovare la maniera giusta di esprimere i sentimenti».

Qual è la poetica di Mogol?

«Il mio modo di scrivere è cambiato dagli esordi. Ora mi dirigo sempre di più verso la vita, verso le sue contraddizioni, verso il significato delle cose. E scrivo in maniera estremamente sintetica. Ecco perché mi piace comporre aforismi: la sintesi è forse la base della poesia. Nella sintesi si riconosce, per così dire, l’afflato lirico. L’ultimo testo che ho scritto, per una ragazza di sedici anni, è brevissimo. Lo manderò a Sanremo, perché lei è straordinaria. Le poesie lunghe perdono sempre qualcosa, si sfilacciano per strada. Non sono taglienti, non restano nella mente. La lunghezza non è la forma della poesia. A quest’analisi resiste solo Dante».

E quali sono state le sue letture? Quali autori l’hanno influenzata di più?

«Sono un lettore onnivoro. In giovinezza ho avuto una lunga infatuazione per Steinbeck. Hemingway è stato un vero maestro. E ho letto a lungo i poeti americani del primo Novecento, Edgar Lee Masters in primis, da cui ho appreso l’immediatezza espressiva. Della nostra tradizione mi hanno influenzato le rime di Dante, gli idilli di Leopardi e alcune liriche di Montale».

In Rinascimento, uno dei suoi ultimi testi, vuole “cercare qualche cosa di puro”. È ancora possibile nella società di oggi?

«È sicuramente possibile per gli adulti. La purezza, il legame con la spiritualità, sono cose che appartengono all’essere umano di ogni tempo. In ogni caso, bisogna cre- derci. E certamente dovremmo fare in modo che ai giovani sia fornito questo esempio, affinché possano immergersi ancora nella bellezza e nello splendore di ciò che è puro».

Vede un suo successore in giro?

«Non esistono successori. Il mio non è un trono che, un giorno, dovrò lasciare. Ovviamente ci sono in circolazione bravi autori che sono arrivati o arriveranno meritatamente al successo. Nel Cet (Centro europeo di Toscolano,ndr) che ho fondato in Umbria oltre venticinque anni fa ci sono corsi altamente qualificati per autori, compositori e interpreti. Dalla nostra scuola sono usciti ottimi autori, già affermati. E continueremo a farlo».

E ora la fatidica domanda: la canzone è poesia?

«Se Dylan non avesse cambiato il modo di cantare, forse non avrebbe meritato il Nobel per la letteratura. Con lui entrò in atto una vera e propria frattura tra ciò che è stata la canzone e ciò che è ora. Lui ha avvicinato il pop alla coscienza vera della poesia. In Like a rolling stone, ad esempio, è cinico, arrabbiato. Parla. Interpreta. Sputa sentenze. Chiude le frasi, contro lo strascico che apparteneva ai suoi predecessori. È decisamente sulla via della recitazione, della parola “detta”. E in più mette in gioco un sentire che è personale, ma nel quale tutti possono immedesimarsi».

Le manca Battisti?

«In settembre saranno vent’anni da quando Lucio ci ha lasciati. E, può immaginare, ormai mi sono abituato al fatto che mi manchi. Ma lo ricordo sempre con immenso affetto».

Qual è il suo rapporto con la spiritualità?

«Io prego, ho la fortuna di accedere a una relazione quotidiana con il Signore».

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