Giro d’Italia che omaggia il campione italiano, esce un saggio in Francia sugli ebrei salvati da Gino Bartali il “Giusto”

Gino Bartali (1914-2000): durante l’occupazione nazista salvò centinaia di ebrei

Gino Bartali (1914-2000): durante l’occupazione nazista salvò centinaia di ebrei

Anticipiamo qui sopra stralci della prefazione dello scrittore francese Marek Halter – molto conosciuto anche in Italia per il suo appassionato lavoro di riscoperta e valorizzazione dell’identità ebraica – al libro appena uscito in Francia Un vélo contre la barbarie nazie. L’incroyable destin du champion Gino Bartali (Armand Colin, pagine 220, euro 17,90). Un volume scritto dal giornalista italiano Alberto Toscano che ricostruisce le gesta silenziose di Bartali per salvare gli ebrei anche a costo di essere fucilato. Un testo che – scrive Halter nella prefazione – «si legge come un’avventura» e racconta di come la bicicletta «sia riuscita a diventare il mezzo per un campione, uno sportivo adorato dagli italiani, di compiere un simile gesto di umanità».

Lo scrittore francese Marek Halter

Lo scrittore francese Marek Halter

Il Bene mi ha affascinato da sempre. Perché in un mondo in cui ciascuno è ripiegato su sé stesso, in cui l’impulso della morte prevale sull’impulso della vita, perché, quando il Male agiva a volto scoperto, all’epoca del nazismo, alcuni uomini, alcune donne, hanno rischiato la loro vita per salvarne altre? Perché? Perché loro e non gli altri? Perché noi, che ci battiamo per un po’ più di solidarietà tra gli uomini, per un po’ più di giustizia, abbiamo bisogno di riferimenti, di esempi, di piccole luci nelle tenebre. È il motivo per cui, più di vent’anni fa, sono partito alla ricerca di quei Giusti che, per permettere la sopravvivenza del mondo, il Talmud limita a trentasei e Pascal a quattromila. In Italia, dove agli inizi degli anni ’30 vivevano circa quarantasettemila ebrei, circa settemila furono deportati durante la Seconda Guerra mondiale. E gli altri? Furono risparmiati o salvati, nonostante il fascismo al potere. Da chi? In che modo? A Firenze, città di Leonardo da Vinci, Dante e Michelangelo, il grande storico dell’arte americano, specialista del rinascimento italiano, Bernard Berenson, ricercato dalla Gestapo, scrisse dalla sua Villa I Tatti dove viveva rinchiuso: «Persino un domenicano ebraista ha dovuto fuggire dal suo monastero per timore di essere arrestato e si è rifugiato qui con me». Berenson riferì inoltre che il cardinale di Firenze, Elia Dalla Costa, si dichiarò colpevole al posto di un sacerdote che il regime accusava di aver nascosto un ebreo. Fu seguendo la storia di quest’uomo sorprendente e buono, che si rifiutò di aprire le finestre del suo presbiterio il giorno della visita di Hitler a Firenze, che ho scoperto il nome del suo amico Gino Bartali. Cosa ci faceva questo campione del mondo di ciclismo, lo sportivo più amato d’Italia, nell’elenco dei sacerdoti che rischiarono la loro vita per salvarne altre? Ho cercato di contattarlo per chiederglielo. Senza riuscirci. Mi è stato detto che Gino Bartali non aveva niente da raccontare perché non aveva fatto niente di speciale. A parte pedalare e vincere corse ciclistiche. Il mio amico Alberto Toscano ha avuto miglior fortuna di me. Senz’altro è stato più perseverante. Il caso degli sportivi che si sono opposti al fascismo lo appassiona. L’atleta afroamericano Jesse Owens, ad esempio, che lanciò una sfida a Hitler, promotore della “razza superiore”, quella bianca ovviamente, vincendo le Olimpiadi di Berlino nel 1936. O ancora quelli che agirono da veri credenti e veri sportivi, come Gino Bartali, prendendo alla lettera le parole di Cristo «Bussate e vi sarà aperto». “Gino il Pio” sfruttando la sua bicicletta e la sua popolarità per far arrivare documenti falsi in diverse regioni italiane, ha di fatto aperto le porte della vita a quasi ottocento ebrei italiani.

da Avvenire

Festival biblico. «La sobrietà non è solo giusta, ma conviene»

Grammenos Mastrojeni, diplomatico italiano

Grammenos Mastrojeni, diplomatico italiano

Il cambiamento climatico non si ferma. E di sicuro non si ferma con i muri. «Possiamo anche illuderci di alzare una qualche forma di sbarramento nei confronti dei migranti in arrivo dall’Africa – avverte Grammenos Mastrojeni – ma questo non ci renderà affatto più graditi ai Paesi dell’Europa settentrionale. Quando sarà il momento, saranno loro a erigere muri contro di noi. A meno che non si cominci a ragionare in termini diversi, si capisce». Diplomatico e docente universitario, da almeno un quarto di secolo Mastrojeni analizza il rapporto tra crisi ambientale, instabilità politica e fragilità economica. Ha pubblicato molti libri sull’argomento (il più recente è Effetto serra, effetto guerra, scritto a quattro mani con il climatologo Antonello Pasini e pubblicato lo scorso anno da Chiarelettere), insistendo in particolare sulle opportunità offerte da una nuova visione dello sviluppo condiviso. “Per un futuro di ecologia integrale” è il titolo dell’intervento che lo studioso terrà domani alle ore 16,30 presso il Polo Universitario Santa Marta di Verona (via Cantarane 24) nell’ambito del Festival Biblico, che quest’anno mette a tema il futuro nelle sue varie declinazioni. «Il punto fondamentale – spiega Mastrojeni – è che per troppo tempo abbiamo considerato la tutela dell’ambiente come un limite per lo sviluppo economico. Ma è un errore, dal quale dipende una lunga serie di scelte sbagliate».

Perché?
«Perché è vero il contrario. Protezione dell’ambiente e sviluppo procedono di pari passo e interagiscono in modo positivo. L’essere umano non rappresenta un’entità priva di legami con il contesto naturale in cui vive e opera. Ce ne accorgiamo quando torniamo a prendere in considerazione quelle linee di condotta che, già presenti nei Vangeli, sono state assunte dai cristiani come esercizio di superamento di sé. Non si tratta solamente di precetti morali, ma di vere e proprie regole di massimizzazione del benessere».

Sta dicendo che la sobrietà conviene?
«È un principio molto semplice: l’accumulo di beni materiali determina uno squilibrio ai danni dell’ambiente, mentre una prospettiva di realizzazione integrale della persona umana porta ad assumere un atteggiamento protettivo verso l’ambiente stesso».

Che cosa ci impedisce di andare in questa direzione?
«Il sistema di misurazione della performance economica, in primo luogo. L’insistenza sul reddito a livello individuale e sul Pil a livello collettivo non fa che accentuare la diseguaglianza, introducendo gravi elementi di instabilità. Il quadro cambia completamente se integriamo nel conteggio i fattori presi in considerazione dagli indicatori economici più avanzati: la pace sociale, il tempo per la famiglia, la tutela della salute. In questo caso, la ricerca della sostenibilità spinge tutti, individui e nazioni, sul punto più alto della linea di produttività marginale».

Il suo è un auspicio?
«Con forti basi scientifiche: all’interno di un processo di coevoluzione, è del tutto normale che le condizioni più favorevoli siano quelle che proteggono il sistema nella sua interezza».

Quali sono le implicazioni geopolitiche di questo principio?
«Nella fase attuale il disagio ambientale interessa principalmente le società più fragili, con le ben note conseguenze in termini di conflitti e migrazioni forzate. A essere pregiudicata, però, è la speranza stessa di poter conservare un ambiente funzionale e produttivo per tutti. La tentazione, ora come ora, è di ritenere che gli squilibri climatici siano un problema che riguarda in modo pressoché esclusivo le nazioni più povere e che in quanto tale va gestito e contenuto. Non è così. Se vogliamo evitare che lo sconquasso raggiunga soglie insostenibili in sede globale, dobbiamo assumere una condotta più responsabile, che influisca favoreanzitutto volmente anche nelle aree più svantaggiate del pianeta. In gioco non c’è soltanto la solitudine alla quale verrebbero abbandonati i Paesi in via di sviluppo, ma la possibilità di avere un futuro ragionevole per l’intera umanità».

A partire dall’Europa?
«Dal punto di vista strettamente geografico, l’Europa è una finzione, dato che non esiste una sostanziale soluzione di continuità rispetto all’Asia. La peculiarità europea è semmai di natura climatica, perché sono le condizioni ambientali a fondare una comunità di interessi. La rivoluzione agricola ha preso le mosse da un territorio che, fino a questo momento, è stato soggetto all’anticiclone delle Azzorre. Ma oggi la situazione sta cambiando, in Europa è sempre più apprezzabile l’influsso dell’anticiclone subtropicale africano e da questo non può non nascere un diverso equilibrio geopolitico. Il nostro destino è sempre più legato a quello dei popoli del Sahara. L’Italia, nella fattispecie, è chiamata a svolgere una funzione di ponte, in modo da permettere all’Europa di elaborare un’economia davvero estroversa, capace di proiettarsi sull’altra sponda del Mediterraneo. L’instabilità dell’Africa, a questo punto, è un ostacolo allo sviluppo di tutta l’economia».

Quindi dobbiamo guardare più a sud?
«Non è così semplice. Il maggior rischio di destabilizzazione, infatti, non viene dal mare, ma dalla montagna. Lo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya non configura solo un danno dal punto di vista paesaggistico, ma porta disordine in un sistema straordinariamente complesso. Un dissesto globale delle montagne comporterebbe l’esodo di oltre 900 milioni di persone, esattamente il doppio di quelle che sarebbero costrette a migrare in conseguenza di un drastico innalzamento delle acque marine».

C’è qualcosa che possiamo fare?
«Sì, smettere di pensare che la soluzione debba arrivare dalla politica. Non è questione di trattati internazionali più o meno impegnativi o efficaci. All’appello mancano piuttosto le persone comuni, che ancora non si sono persuase di quanto i comportamenti quotidiani svolgano un ruolo decisivo per le sorti del pianeta».

avvenire

Dischi Sacra / Jordi Savall risale alle radici del culto della Vergine in Occidente

Con il disco dedicato alle Cantigas de Santa Maria, il lungo viaggio musicale compiuto da Jordi Savall approda alle radici antiche del culto della Vergine in Occidente, al cuore di una devozione sublimata in forma di pura arte. La raccolta risale alla seconda metà del XIII secolo ed è attribuita ad Alfonso X (1221-1284), re di Léon e Castiglia, sovrano illuminato chiamato “El Sabio” (Il Saggio) per l’abilità e la lungimiranza con cui seppe amministrare la delicata situazione politica, culturale e religiosa che caratterizzava all’epoca la penisola iberica, dove cristiani, ebrei e musulmani vivevano fianco a fianco. «Proprio come Re David, egli scrisse molte meravigliose canzoni a lode della Vergine Maria e le provvide di adeguate melodie…», riportava il frate francescano Juan Gil de Zamora nella sua biografia dedicata ad Alfonso X; nel canzoniere mariano più importante del Medioevo si trovano riuniti oltre 400 poemi musicali di argomento sacro, in cui i brani che celebrano i miracoli compiuti dalla Madonna (Cantigas de miragres) si alternano a quelli di lode in Suo onore (Cantigas de loor). Il nucleo centrale di questa registrazione risale al 1993 ed è stato ripubblicato da Savall nella collana “Heritage” della sua etichetta discografica Alia Vox. Intervallati da pezzi strumentali marchiati a fuoco dall’estro improvvisativo tipico dell’ensemble Hespèrion XX, i canti affidati alle voci della Capella Reial de Catalunya sono guidati dal timbro inconfondibile del compianto soprano Montserrat Figueras, artista di rara sensibilità, intelligenza e intensità espressiva. Si tratta di un’interpretazione che si distingue per sobrietà di toni e misura stilistica, in grado di realizzare una sintesi esemplare tra differenti modelli letterari e forme compositive di derivazione araba, spagnola e trobadorica, ma che rappresenta soprattutto una testimonianza lontana nel tempo che, sotto i buoni auspici della Vergine, rinnova oggi il suo messaggio di pace rivolto all’intera umanità.

Alfonso X
Cantigas
de Santa Maria
La Capella Reial de Catalunya,
Hespèrion XX, Jordi Savall
Alia Vox / Ducale. Euro 15,00

avvenire

Sinodo dei giovani. Le mappe dei cammini

La mappa dei pellegrinaggi a piedi dei giovani italiani tra strade ricche di storia e luoghi di spiritualità e di fede. Per tutti la meta finale è Roma per incontrare il Papa l’11 e il 12 agosto

Le mappe dei cammini

Povertà, incertezza del futuro, disoccupazione, guerre. È il mondo visto con gli occhi dei ragazzi che chiedono alla Chiesa, di mettersi in cammino con loro, in ascolto e con la fiducia nella loro capacità di “cambiare il mondo”.

In preparazione del Sinodo dei vescovi sui giovani di ottobre migliaia di ragazzi con lo zaino in spalla da tutta Italia si metteranno in cammino dapprima verso i luoghi sacri delle loro diocesi, per poi fare rotta verso Romaper l’incontro dell’11 e 12 agosto con papa Francesco.

CLICCA SULLE REGIONI PER CONOSCERE I PELLEGRINAGGI A CUI POTER PARTECIPARE

da Avvenire