I giovani e la scuola: «Vogliamo diventare cittadini»

I giovani e la scuola: «Vogliamo diventare cittadini»

Né pessimisti, né catastrofisti, ma neppure completamente soddisfatti; piuttosto attenti valutatori dell’esperienza che hanno vissuto e portatori di istanze di rinnovamento. Così appaiono nei confronti della scuola i 1.000 giovani italiani (dai 18 ai 34 anni di età) intervistati all’interno di una indagine, confluita nel Rapporto Giovani 2018 realizzato dall’Istituto Giuseppe Toniolo, che ha visto coinvolti complessivamente 5.000 giovani di cinque Paesi europei (Italia, Spagna, Francia, Germania, Regno Unito).

Di fronte alla domanda «A che cosa serve la scuola?» i giovani europei intervistati, e tra loro gli italiani, hanno restituito nelle loro risposte quel carattere di polifunzionalità che è uno dei tratti tipici dei sistemi scolastici contemporanei. La maggior parte dei giovani riconosce innanzitutto alla scuola la funzione di accrescere e potenziare il bagaglio delle conoscenze e delle abilità personali, che risulta al primo posto tra i giovani di tutti e cinque i Paesi coinvolti nelle indagini. Sono stati soprattutto quelli del Regno Unito, nell’84,7%, a dichiararsi d’accordo con l’affermazione che la scuola serve ad aumentare le conoscenze e le abilità personali. Seguono poi gli spagnoli (82,4%), i tedeschi (80,6%), i francesi (80,2%) e gli italiani (77,7%), che dunque risultano certamente convinti ma più prudenti dei loro coetanei europei nel riconoscere al sistema scolastico la capacità di istruire. Un’alta percentuale di riscontri ha avuto anche l’affermazione che la scuola serve a imparare a ragionare, che ha visto d’accordo mediamente più del 72% dei giovani, ma con distanze maggiori tra i diversi Paesi. Sono innanzitutto i tedeschi (79,2%) a riconoscere alla scuola questa funzione, seguiti da italiani (75,1%), francesi (73,7%) e spagnoli (73,2%). Più bassa invece al riguardo è risultata la percentuale dei giovani britannici (63,7%).

La terza funzione che ha trovato ampia accoglienza nei giovani intervistati è quella socializzante. Che la scuola serva per imparare a stare con gli altri è riconosciuto dal 76,3% dei giovani francesi, dal 74,1% dei britannici, dal 73,4% degli italiani. Meno numerose, anche se sempre oltre il 60%, le risposte positive dei giovani spagnoli (66,8%) e dei tedeschi (63,5%). Minore rilevanza, anche se nella maggior parte dei casi con percentuali di accordo superiore al 60%, è data al fatto che la scuola possa servire a formare cittadini consapevoli e a capire le proprie attitudini. Più debole, anche se riconosciuto da almeno il 50% dei giovani intervistati, il ruolo giocato dalla scuola per accrescere nelle persone la capacità di saper affrontare la vita. Sono soprattutto i giovani del Regno Unito (62,3%) a essere d’accordo con l’affermazione che la scuola serva a saper affrontare la vita, mentre è molto più bassa al riguardo la percentuale degli spagnoli (47,4%) ma anche quella degli italiani (52,2%).

Le differenze più forti si hanno tuttavia in merito al rapporto tra scuola e mondo del lavoro. In questo caso le risposte riflettono la diversa conformazione dei sistemi scolastici. Se infatti secondo il 74,7% dei giovani tedeschi intervistati la scuola serve per trovare più facilmente lavoro, sono d’accordo su questo aspetto il 59,2% dei giovani del Regno Unito, il 58,5% dei francesi, il 49,2% degli spagnoli e solo il 44,5% degli italiani. Pochi sono anche i giovani del nostro Paese (29,7%) che ritengono che il sistema scolastico serva per capire come funziona il mondo del lavoro, leggermente più convinti risultano i francesi (37,4%), più ottimisti al riguardano sono invece gli spagnoli (44,7%), i tedeschi (49,4%) e soprattutto quelli del Regno Unito (54,3%).

I giovani italiani dunque giudicano ancora distanti la scuola e la realtà lavorativa, un risultato che sembra in linea con quanto raccolto dall’indagine svolta per il Rapporto Giovani 2017 che aveva messo chiaramente in luce la richiesta di un legame più stretto tra la scuola secondaria di secondo grado italiana e il mondo del lavoro. Tra gli italiani intervistati, inoltre, il 13,8% si è trovato d’accordo con l’affermazione che la scuola non serva a nulla; solo i giovani del Regno Unito sono risultati al riguardo più numerosi (18,3%), mentre la più bassa percentuale di accordo si è avuta tra i tedeschi (11,9%).

Se alto è il numero dei giovani che riconosce alla scuola di svolgere positivamente una pluralità di funzioni sociali e formative, altrettanto rilevante appare la percentuale di coloro che si dichiarano favorevoli al rinnovamento dei sistemi scolastici su diversi punti. Tra i giovani europei, sono gli italiani e gli spagnoli quelli che presentano maggiori istanze di cambiamento. Per quanto riguarda il nostro Paese il 62% si dichiara favorevole all’aumento attività laboratoriali; il 61,4% è d’accordo con l’aumento dell’uso delle nuove tecnologie; il 58,6 % con la crescita delle ore di lingue straniere, il 58,4% con l’incremento delle ore di stage e tirocinio nelle attività lavorative.

La richiesta che sembra riscontrare maggiori consensi trasversali tra i cinque Paesi coinvolti nell’indagine è quella di dare la possibilità agli studenti di scegliere alcune discipline piuttosto che altre. Sono, anche in questo caso, soprattutto i giovani italiani a chiederlo (62,2%) seguiti dal 58,5% degli spagnoli, il 55,4% dei francesi, il 59,2% dei tedeschi e il 47,8 dei giovani del Regno Unito. I giovani nel loro complesso, ma con una prevalenza di quelli italiani e spagnoli, chiedono una scuola più flessibile e più ricca di proposte formative. Sembrano avere le idee chiare su cosa vorrebbero ma sono molto meno propensi a riconoscere cosa andrebbe tolto per non caricare il sistema scolastico di troppe attese e richieste. Per fare un esempio: se, come abbiamo visto, oltre il 60% dei giovani italiani è favorevole all’aumento delle ore di attività laboratoriale, il 62,7% ritiene che dovrebbero restare comunque invariate le ore di lezione frontale. Quelli dei giovani sembrano dunque essere auspici, che spetta però al livello delle decisioni politiche ascoltare e raccogliere, nella consapevolezza che occorre dare priorità e operare scelte.

Un rinnovamento i giovani lo chiedono anche ai docenti, verso i quali, come hanno rilevato altre indagini dell’Istituto Toniolo, nutrono un buon tasso di fiducia, nonostante le cronache sembrino dirci il contrario. Secondo la maggioranza dei giovani intervistati, compresi gli italiani, negli insegnanti sono abbastanza o molto diffusi il possesso sicuro dei contenuti che vengono insegnati, le competenze inerenti la conduzione dell’azione didattica e la capacità di sapersi relazionare con la classe. In generale però i giovani italiani sono risultati i più severi nei confronti della valutazione delle competenze presenti nei propri insegnanti rispetto ai coetanei europei. In particolare solo il 37,6% dei nostri giovani (contro il 53% dei francesi) ritiene che gli insegnanti posseggano abbastanza o molta competenza nel motivare allo studio, e solo il 39,9% (contro il 51,9% dei tedeschi) ritiene che gli insegnanti dispongano della competenza per coinvolgere gli studenti con lezioni motivanti. Sotto il 50% (47,3%) il parere positivo dei giovani italiani verso la presenza nei docenti della competenza di relazionarsi con gli alunni in difficoltà. Anche in questo caso accogliere quanto i giovani esprimono può far nascere piste di lavoro significative.

Faenza. Il parroco podista. Per la pace

Il parroco podista don Luca Ravaglia

Il parroco podista don Luca Ravaglia

«Dopo aver percorso a piedi la “100 chilometri del Passatore” in 19 ore, sono arrivato al traguardo domenica mattina alle 10. Sono corso in parrocchia e, dopo una doccia veloce, ho celebrato la Messa delle 11, all’interno della quale ho amministrato due Battesimi e presentato un gruppo di bambini al primo anno di catechismo. Per fortuna che ha tenuto l’omelia il diacono Danilo Abrosini, altrimenti sarei crollato all’altare». Don Luca Ravaglia, 54 anni, parroco del Paradiso di Faenza (3100 abitanti) ha partecipato alla 46ª podistica “100 chilometri del Passatore” per il nono anno consecutivo, «non tanto per un’impresa sportiva, ma pastorale». Il parroco ha dedicato la corsa, con oltre 3mila podisti di tutto il mondo, «alla pace e alla memoria delle vittime di tutte le guerre, a cent’anni dalla fine della prima Guerra mondiale».

Il sacerdote col numero di pettorale 1964 e con Antonio Casadio, padre del seminarista Emanuele, ha pregato davanti a una ventina di monumenti ai caduti per i 10milioni di morti della Grande Guerra, fra cui i 600mila italiani. «Durante le brevi soste – racconta don Luca – abbiamo pregato insieme alla gente del posto, con un Padre Nostro o attraverso il libretto “100 chilometri per la pace”, con brani e preghiere sulla pace. Abbiamo iniziato da Santa Croce e San Marco di Firenze, con le parole di La Pira, per arrivare a Casaglia e Marradi, dove a mezzanotte abbiamo letto i 300 nomi dei caduti, fino a Fognano, dove ci attendeva un gruppo di giovani col parroco don Mirko Santandrea, con la chiesa aperta tutta la notte. A Errano c’era il parroco don Luigi Guerrini con un gruppo di fedeli. A Ronta abbiamo recitato il Rosario. E durante il tragitto molta gente e diversi podisti chiedevano la benedizione, mentre davanti ad alcuni cippi stradali gruppi parrocchiali avevano preparato tavolini, chiedendo di fermarmi a pregare con gli abitanti».

Aggiunge don Luca: «Mi ha colpito vedere decine di nomi in piccole frazioni oggi spopolate, cognomi ripetuti di intere famiglie falciate via dalla guerra, di generazioni cancellate. Quanti giovani sacrificati alla retorica nazionalista, mandati a sparare ad altri giovani, ad altri padri, figli, fratelli. I numeri di quella “inutile strage”, come la definì papa Benedetto XV, sono impressionanti. Purtroppo anche oggi l’inutile strage continua in tanti conflitti spesso dimenticati».

Conclude il “don” podista: «Assieme al ricordo e alla preghiera per i caduti, durante la corsa ho cercato di far risuonare la voce di profeti ed eventi di pace di cui pure in questo 2018 ricorrono anniversari significativi: Martin Luther King e Padre Pio a 50 anni dalla morte, don Tonino Bello a 25 anni, i 50 anni dalla prima Giornata mondiale di preghiera per la pace voluta da Paolo VI, i 70 della Costituzione. Sono voci che ci invitano a camminare sulle vie della pace e a fare anche dello sport una palestra di pace».

Per la cronaca, don Luca è arrivato al traguardo in 2.339° posizione, in 19 ore 20 minuti e 35 secondi, alle spalle del vincitore Andrea Zambelli di Reggio Emilia, che ha tagliato il traguardo dopo 6 ore 54 primi e 34 secondi. Negli ultimi 15 chilometri è stato affiancato anche dall’87enne faentino Giandomenico Sacchini, che ha compiuto 25 volte la corsa e nel 2000 andò a Betlemme a piedi, «sempre pregando per la pace».

avvenire

Inaugurata a Tirana la scuola che parla italiano

Il taglio del nastro della scuola primaria "Dante Alighieri"

Il taglio del nastro della scuola primaria “Dante Alighieri”

Trenta vocine intonano all’unisono “Quarantaquattro gatti”. Le note allegre escono dalla villetta in stile liberty e si mischiano coi suoni della strada. Nulla di strano, se non fosse che il coro, degno dello Zecchino d’oro, è fatto di bambini albanesi che stanno cantando in un cortile di Rruga Qemal Stafa 133, animata via di Tirana a un chilometro da piazza Skanderbeg. Benvenuti alla Dante Alighieri, la prima scuola italiana nel paese delle aquile, tessera importante del progetto di rilancio della lingua italiana nel mondo sostenuto dal governo.Un finanziamento per il triennio 2017/2019 che coinvolge i ministeri dell’Istruzione, dei Beni culturali, degli Esteri, ma soprattutto la società Dante Alighieri, che ha messo il turbo a questo progetto-pilota.

È una giornata importante. Per l’inaugurazione è arrivato dall’altra parte del mare Andrea Riccardi, presidente della Dante. Un colpo di forbice e il nastro rosso cade tra gli applausi – tra gli altri – dell’ambasciatore d’Italia in Albania Aberto Cutillo, della ministra albanese per la Tutela delle imprese, Sonila Qato, del sindaco di Tirana, Erion Veliaj, del Nunzio apostolico Charles John Brown. Il coro dei bambini, conscio della solennità della circostanza, intona gli inni italiano, albanese ed europeo.

La palazzina liberty a Tirana

La palazzina liberty a Tirana

Un bell’edificio del 1929, progettato da un italiano e ora completamente ristrutturato, torna a parlare d’Italia in questo paese storicamente legato alla vicina Penisola. Il professor Riccardi ricorda la sua prima volta qui negli anni ’80: «Allora l’Italiano era la lingua della libertà. Negli anni ’90 è diventata la lingua della speranza in una vita migliore. Oggi l’italiano vuole dare parole alla simpatia profonda che lega questi due paesi, nella prospettiva di un comune destino europeo».

Il presidente della Dante, Andrea Riccardi, e la ministra albanese Sonila Qato

Il presidente della Dante, Andrea Riccardi, e la ministra albanese Sonila Qato

Riccardi ripercorre la lunga storia della Dante Alighieri, fondata nel 1889 da Giosuè Carducci, radicata oggi in 482 comitati in Italia e all’estero: Cina, Australia, Territori dell’Autonomia palestinese, Stati Uniti, Israele, Giappone. Ma questa di Tirana è la prima scuola italiana sostenuta direttamente dalla Dante Alighieri, battezzata col suo marchio di eccellenza. Nella capitale albanese c’è la scuola inglese, francese, tedesca, perfino turca e finlandese. Ma italiana no. A settembre dunque partirà il ciclo della primaria, con cinque classi, nel 2019 è previsto l’ampliamento ai quattro anni della scuola media albanese, per offrire il percorso completo dell’obbligo.

Un progetto che punta molto sulla qualità della didattica, con l’insegnamento di tutte le materie in italiano, più storia, lettere e geografia albanese. Nel pomeriggio corsi di italiano con certificazione Plida della Dante, per bambini esterni e adulti. Classi da non più di 15 alunni, niente cattedra perché le maestre stanno sempre tra i banchi. La retta è la metà delle scuole private albanesi, molto richieste a causa delle grandi difficoltà della scuola pubblica: classi da 40 bambini e assenza di riscaldamento sono la norma, qui, non l’eccezione.

Una storia di eccellenza italiana quindi, che nasce dall’incontro tra il progetto di tre donne, tre maestre italiane, con il progetto della Dante Alighieri. Sara Alesi, 39 anni, di Ascoli Piceno, è la responsabile didattica. Qui insegna anche suo marito Nazareno e le sue amiche Concetta e Daniela. Le tre amiche hanno fondato una società per creare una scuola. «Nel mezzo del cammin di nostra vita abbiamo incontrato la Dante Alighieri – scherza la direttrice Alesi – e la nostra passione, la scelta didattica dell’italiano, la centralità del bambino sono piaciute molto alla Dante».

Ma a scavare un altro po’ viene fuori una storia che spiega qualcosa in più di questa passione per l’educazione.Sara Alesi e il marito sono missionari del Cammino neocatecumenale. Prima un anno e mezzo in Kosovo, ora da tre in Albania. Come tutti i missionari laici deve lavorare, per mantenere la famiglia. Nel suo caso fatta di nove figli. Sara Alesi non ha dubbi: è la Provvidenza che l’ha fatta incontrare con Dante Alighieri.

avvenire

Corpus Domini: cosa significa, cosa si celebra

Una festa di popolo

Il Corpus Domini (Corpo del Signore), è sicuramente una delle solennità più sentite a livello popolare. Vuoi per il suo significato, che richiama la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, vuoi per lo stile della celebrazione. Pressoché in tutte le diocesi infatti, si accompagna a processioni, rappresentazione visiva di Gesù che percorre le strade dell’uomo.

Le origini nel Medio Evo, in Belgio

La storia delle origini ci portano nel XIII secolo, in Belgio, per la precisione a Liegi. Qui il vescovo assecondò la richiesta di una religiosa che voleva celebrare il Sacramento del corpo e sangue di Cristo al di fuori della Settimana Santa. Più precisamente le radici della festa vanno ricercate nella Gallia belgica e nelle rivelazioni dellabeata Giuliana di Retìne. Quest’ultima, priora nel Monastero di Monte Cornelio presso Liegi, nel 1208 ebbe una visione mistica in cui una candida luna si presentava in ombra da un lato. Un’immagine che rappresentava la Chiesa del suo tempo, che ancora mancava di una solennità in onore del Santissimo Sacramento. Fu così che il direttore spirituale della beata, il canonico Giovanni di Lausanne, supportato dal giudizio positivo di numerosi teologi presentò al vescovo la richiesta di introdurre una festa diocesi in onore del Corpus Domini. Il via libera arrivò nel 1246 con la data della festa fissata per il giovedì dopo l’ottava della Trinità.

Papa Urbano IV e il miracolo eucaristico di Bolsena

L’estensione della solennità a tutta la Chiesa però va fatta risalire a papa Urbano IV, con la bolla Transiturusdell’11 agosto 1264. È dell’anno precedente invece il miracolo eucaristico di Bolsena, nel Viterbese. Qui un sacerdote boemo, in pellegrinaggio verso Roma, mentre celebrava Messa, allo spezzare l’Ostia consacrata, fu attraversato dal dubbio della presenza reale di Cristo. In risposta alle sue perplessità, dall’Ostia uscirono alloraalcune gocce di sangue che macchiarono il bianco corporale di lino (conservato nel Duomo di Orvieto) e alcune pietre dell’altare ancora oggi custodite nella basilica di Santa Cristina. Nell’estendere la solennità a tutta la Chiesa cattolica, Urbano IV scelse come collocazione il giovedì successivo alla prima domenica dopo Pentecoste (60 giorni dopo Pasqua).

L’inno scritto da san Tommaso d’Aquino

Una processione eucaristica

Una processione eucaristica

Papa Urbano IV incaricò il teologo domenicano Tommaso d’Aquino di comporre l’officio della solennità e della Messa del Corpus et Sanguis Domini. In quel tempo, era il 1264, san Tommaso risiedeva, come il Pontefice, sull’etrusca città rupestre di Orvieto nel convento di San Domenico (che, tra l’altro, fu il primo ad essere dedicato al santo iberico). Il Doctor Angelicus insegnava teologia nello studium (l’università dell’epoca) orvietano e ancora oggi presso San Domenico si conserva ancora la cattedra dell’Aquinate e il Crocifisso ligneo che gli parlò. Tradizione vuole infatti che proprio per la profondità e completezza teologica dell’officio composto per il Corpus Domini, Gesù – attraverso quel Crocifisso – abbia detto al suo prediletto teologo: “Bene scripsisti de me, Thoma”. L’inno principale del Corpus Domini, cantato nella processione e nei Vespri, è il “Pange lingua” scritto e pensato da Tommaso d’Aquino.

La scelta di papa Francesco: domenica 3 giugno a Ostia

In numerosi Paesi, tra cui dal 1977 l’Italia, la celebrazione è stata tuttavia spostata alla domenica successiva. In molte Chiese locali però, tra cui obbligatoriamente a Milano, anche alla luce della recente riforma del calendario ambrosiano, la data è rimasta invariata così che la celebrazione e la processione eucaristica, rimane al giovedì. Così anche a Roma fino all’anno scorso quando il Papa ha deciso di spostare alla domenica la processione del Corpus Domini. In particolare quest’anno Francesco celebrerà il Corpus Domini a Ostia. Il 3 giugno infatti alle 18 il Pontefice presiederà l’Eucaristia nella piazza antistante la parrocchia di Santa Monica dalla quale partirà la processione che giungerà nel piazzale vicino alla chiesa di Nostra Signora di Bonaria dove il Pontefice impartirà la benedizione ai fedeli. Si interrompe così una tradizione che da oltre quarant’anni prevedeva il rito a San Giovanni in Laterano. Al tempo stesso Bergoglio, ripercorrendo i passi di Paolo VI che proprio a Ostia nel 1968 guidò la processione del Corpus Domini, sottolinea la centralità delle periferie, fisiche e esistenziali, nel suo pontificato

avvenire

Corpus Domini con mandato missionario

La processione eucaristica della celebrazione cittadina del Corpus Domini, ricorrendo quest’anno il 31 maggio, non seguirà il solito percorso per ritornare in piazza del Duomo, ma si svolgerà dalla Cattedrale alla Basilica della Ghiara, ove si concluderà il mese mariano di maggio.
Un modo anche, scrive il Vicario generale​ nella lettera, “per rievocare, ad un anno, l’indimenticato pellegrinaggio di popolo per la consacrazione della Diocesi al Cuore Immacolato di Maria (13 maggio 2017) e per sottolineare la novità introdotta da Papa Francesco della memoria obbligatoria, il lunedì dopo Pentecoste, di Maria Madre della Chiesa (21 maggio 2018).
Altresì ricorderemo la storica visita in Cattedrale e in Ghiara di San Giovanni Paolo II, il 6 giugno di trent’anni fa”.
Il Vescovo conferirà il mandato missionario a Ilaria Squicciarini e Damiano Galavotti.
La celebrazione della solennità cittadina del Corpo e Sangue del Signore in Cattedrale inizierà alle ore 19; la processione con il Santissimo Sacramento si muoverà dalla Cattedrale lungo via Farini e corso Garibaldi, per arrivare in Ghiara, dove si concluderà con la benedizione eucaristica e il canto del Magnificat.
Dato l’orario di inizio e di prevista conclusione (ore 21), è auspicata la presenza delle famiglie con i figli, dei gruppi parrocchiali delle prime Comunioni, dei ministranti, dei diversi cori anche delle aggregazioni laicali…
Il Centro diocesano per le Comunicazioni sociali trasmetterà la liturgia in diretta dalla Cattedrale, con immagini e commento, in streaming su Youtube (raggiungibile dai siti web www.diocesi.re.it e www.laliberta.info) e in televisione, su Teletricolore (canale 10 del telecomando).