Facebook limita alcune azioni per gli under 15: servirà consenso dei genitori

Facebook limita alcune azioni per gli under 15: servirà consenso dei genitori

“Le persone di età compresa tra i 13 e i 15 anni in alcuni paesi Ue hanno bisogno del permesso di un genitore o tutore per compiere azioni specifiche su Facebook. Questi adolescenti vedranno una versione meno personalizzata del social con condivisione limitata e annunci meno rilevanti, fino a quando non otterranno il permesso da un genitore o tutore di usare tutti gli aspetti di Facebook”, lo annuncia la società in adeguamento al Gdpr, il regolamento Europeo sulla privacy. Segue la norma anche il riconoscimento facciale, che sarà facoltativo. “Stiamo dando ai cittadini di Ue e Canada la scelta di attivare il riconoscimento facciale. L’utilizzo del riconoscimento facciale è completamente facoltativo per chiunque su Facebook”, spiega la società. L’aggiornamento sarà disponibile a partire da questa settimana in Europa e poi sarà esteso al resto del mondo, Stati Uniti compresi.

Facebook in un documento ufficiale spiega che ci saranno protezioni per i teenager sulla pubblicità, il riconoscimento facciale e limitazioni alle informazioni condivise come la città natale o il compleanno. Al momento non è possibile iscriversi alla piattaforma, così come a molti altri social, se si è under 13. “In base al Regolamento Europeo in materia di Protezione dei Dati Personali (Gdpr) le persone di età compresa tra i 13 e i 15 anni in alcuni paesi dell’Ue hanno bisogno del permesso di un genitore o tutore per compiere alcune azioni specifiche su Facebook, come vedere inserzioni sulla base dei dati dei partner e includere nel loro profilo le opinioni religiose e politiche. Le “protezioni speciali” saranno per tutti i teenager, indipendentemente dalla loro posizione geografica. Il social spiega che disabiliterà anche “il riconoscimento facciale per chiunque abbia meno di 18 anni”. “Nel corso di quest’anno – conclude Facebook – presenteremo un nuovo centro globale di risorse online dedicato ai ragazzi e faremo più educazione per rispondere alle loro domande più comuni sulla privacy”.

Intanto è arrivata anche la notizia che un giudice federale degli Stati Uniti ha stabilito che il social network abbia utilizzato in maniera illecita un sistema di riconoscimento facciale sulle foto senza il permesso degli utenti. Il giudice ha così approvato una class action contro la società di Mark Zuckerberg. Questa sentenza è molto importante perché ribadisce come Facebook abbia problemi nel gestire la privacy dei suoi iscritti. La class actionparte dal lontano 2015, quando un gruppo di utenti aveva puntato il dito contro Facebook accusandolo di violare una legge dello stato dell’Illinois sulla privacy delle informazioni biometriche. La violazione farebbe riferimento ad una funzionalità introdotta nel 2011 dal social network e chiamata “Tag Suggestions“. Funzionalità che suggerisce automaticamente agli utenti le persone da taggare all’interno delle foto caricate all’interno della piattaforma grazie proprio ad un sofisticato sistema di riconoscimento facciale.

Che cos’è il GDPR?

Il 25 maggio 2018 entrerà in vigore in Europa il nuovo Regolamento UE 2016/679 conosciuto anche come General Data Protection Regulation o GDPR. Trattasi di un regolamento molto importante e voluto fortemente dall’Unione Europea che riguarda il trattamento e la libera circolazione dei dati personali. Un regolamento che manderà in pensione, una volta per tutte, le vecchie direttive sulla protezione dei dati che risalgono addirittura al 1995.

Il nuovo Regolamento UE 2016/679 o GDPR prevede importanti novità in materia di trattamento dei dati. Innanzitutto sono introdotte regole più chiare su informativa e consenso. Inoltre, l’Unione Europea ha stabilito limiti ben precisi al trattamento automatizzato dei dati personali. Ancora, il nuovo regolamento ha posto delle basi per l’esercizio di nuovi diritti. Il GDPR stabilisce anche nuovi e rigidi criteri per il trasferimento dei dati delle persone al di fuori dell’Unione Europea. Infine, il nuovo regolamento specifica nuove e rigorose norme per quanto riguarda la violazione dei dati.

avvenire

Armi. Bombe italiane in Yemen, la denuncia penale delle Ong: «Violata la legge 185»

il resto di una bomba "italiana" sganciata su un abitato civile

il resto di una bomba “italiana” sganciata su un abitato civile

Una coalizione internazionale di Organizzazioni Non Governative ha depositato una denuncia penale controRwm Italia, filiale italiana del produttore di armamenti tedesco Rheinmetall AG, e contro l’Autorità Nazionale per le autorizzazioni all’esportazione di armamenti (Uama). Secondo le organizzazioni il produttore di armi e le autorità italiane “sono complici di un attacco aereo dall’esito mortale sferrato nello Yemen dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita”

Alle 3:00 dell’8 ottobre 2016, un raid aereo condotto verosimilmente dalla coalizione militare guidata dai saudita ha colpito il villaggio di Deir Al-Hajari, situato nello Yemen nord-occidentale. Il raid ha ucciso una famiglia di sei persone, tra cui una madre incinta e quattro bambini. Sul luogo dell’attacco sono stati rinvenuti dei resti di bombe e un anello di sospensione prodotti da Rwm Italia. Per far luce sul contributo “Made in Italy” nell’episodio che ha ucciso dei civili, il 17 aprile 2018 l’European Center for Constitutional and Human Rights(Ecchr), insieme alla Rete Italiana per il Disarmo e all’organizzazione yemenita Mwatana Organization for Human Rights, hanno presentato una denuncia penale alla Procura di Roma.

Ai pm viene chiesto di avviare un’indagine sulla responsabilità penale dell’autorità italiana che autorizza le esportazioni di armamenti (Unità per le Autorizzazioni dei Materiali d’Armamento – Uama) e degli amministratori della società produttrice di armi Rwm Italia spa per le esportazioni di armamenti destinate ai membri della coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita.

“Tutte le parti coinvolte nel conflitto nello Yemen hanno ripetutamente violato i diritti umani e la popolazione civile sta affrontando una crisi umanitaria di vaste proporzioni”, si legge nella denuncia. Numerosi attacchi aerei sferrati dalla coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita sono stati giudicati dalle Nazioni Unite in violazione del diritto umanitario internazionale.

“Le esportazioni di armi ancora in atto da parte dei Paesi europei favoriscono l’uccisione di civili, mentre società come la tedesca Rheinmetall AG e la sua filiale italiana Rwm Italia spa – insistono gli attivisti – traggono vantaggio da questo business. Allo stesso tempo, i Paesi esportatori forniscono aiuti umanitari alla medesima popolazione colpita da queste armi”.

Bonyan Gamal, attivista della ong yemenita Mwatana Organization for Human Rights

Bonyan Gamal, attivista della ong yemenita Mwatana Organization for Human Rights

A detta della coalizione di Ong, “l’ipocrisia è sconcertante e si protrae a causa della mancata attuazione del regime normativo europeo sul controllo delle esportazioni di armi in relazione ai diritti umani”, afferma Miriam Saage-Maaß, vice direttore per gli affari legali di Ecchr. “E’ pertanto di fondamentale importanza avviare un’indagine sulla responsabilità penale per queste esportazioni di armi e le relative autorizzazioni”.Sulla denuncia interviene Francesco Azzarello, direttore dell’Uama (l’Autorità nazionale per le autorizzazioni delle esportazioni di armamento): “L’Autorità nazionale Uama – dichiara – è sempre, peraltro come già accaduto nel recente passato, a completa disposizione della magistratura, ed è serena, poiché le autorizzazioni alle esportazioni vengono, necessariamente, rilasciate in base alla normativa vigente, e sempre conformemente alla politica estera e di difesa dell’Italia”.

Negli anni scorsi dopo le denunce di Rete Disarmo e le inchieste di Avvenire, erano state aperte due inchieste, una dalla procura di Brescia (dove ha sede legale la Rwm) e una dalla procura di Cagliari (dove hanno sede gli stabilimenti produttivi). Entrambi i fascicoli sono poi stati trasmessi per competenza alla procura di Roma, che sta esaminando la regolarità delle esportazioni. Le norme, e la Costituzione, vietano infatti di trasferire armamenti a Paesi in conflitto.

L’intervista di Medici Senza Frontiere:

«Devastante l’impatto della guerra sulla sanità»

avvenire