Destinazione Sinodo/1. Giovani in movimento una scoperta per tutti

(Siciliani)

(Siciliani)

Se sinodo vuol dire «cammino fatto insieme», mai come nel caso della prossima Assemblea sinodale dedicata ai giovani questo significato travalica l’ambito simbolico per diventare un dato di fatto anche concreto. Il XV Sinodo ordinario, in programma a Roma dal 3 al 28 ottobre sul tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», viene infatti preparato e accompagnato da almeno tre tipi di itinerari fatti in comune. Il primo è, potremmo dire, di carattere storico, dal momento che l’assise voluta da Francesco si inserisce nel grande alveo postconciliare del rapporto tra i giovani e la Chiesa, sbocciato con Paolo VI, esploso poi con Giovanni Paolo II e le Gmg e proseguito con convinzione da Benedetto XVI. Il secondo cammino è di tipo contenutistico e rimanda direttamente al tema dell’assemblea, al rapporto con le due Gmg di papa Bergoglio (Rio de Janeiro 2013 e Cracovia 2016) e a quella che i giovani e il Pontefice si apprestano a vivere qualche mese dopo il Sinodo, cioè nel gennaio del 2019 a Panama (è stato del resto proprio Francesco a mettere in diretta connessione i due eventi). Il terzo è infine un vero e proprio pellegrinaggio di eventi e appuntamenti preparatori (come in occasione della recente Riunione presinodale, cui ha preso parte anche il Papa), che nel caso dei giovani italiani diventerà, in agosto, un itinerario anche fisico lungo i cammini della Penisola e con destinazione finale Roma.

Parlare del prossimo Sinodo significa dunque analizzare queste tre componenti dinamiche e complementari nella consapevolezza che tutto l’impianto sinodale è stato costruito, come più volte affermato da Francesco, sul movimento, e movimento in uscita in particolare. Emblematico è, da questo punto di vista, quanto scrisse il Papa nella Lettera ai giovani, in occasione della presentazione del documento preparatorio (i cosiddetti Lineamenta) il 13 gennaio 2017. «Queste sono parole di un Padre che vi invita a ‘uscire’ per lanciarvi verso un futuro non conosciuto ma portatore di sicure realizzazioni, incontro al quale Egli stesso vi accompagna». Il tema della vocazione, dunque, al centro dei lavori sinodali, che implica sempre un osare, un lasciare la propria ‘terra’ per andare verso un orizzonte sconosciuto da esplorare. Questo dinamismo è del resto nel Dna del rapporto Chiesa-giovani così come si è venuto configurando negli ultimi 40-50 anni. Fin da quando Paolo VI (che non a caso sarà proclamato santo durante il Sinodo di ottobre) volle inserire un appuntamento a loro riservato nell’Anno Santo del 1975. Appuntamento replicato nove anni dopo da Giovanni Paolo II al culmine del Giubileo straordinario della redenzione, e dal quale sarebbero nate le Giornate mondiali della Gioventù. Anche in quel caso papa Wojtyla ubbidì alla ‘vocazione’ che lo chiamava fuori da un rapporto solo convenzionale con le nuove generazioni, per cominciare a navigare in mare aperto. E anche in quel caso dovette sfidare i venti contrari di chi, pure all’interno della Chiesa, lo sconsigliava temendo il flop.

La storia successiva ha dimostrato che l’intuizione del pontefice polacco era giusta, che ai giovani si poteva e si doveva parlare di Gesù, che lo si poteva fare in sintonia con l’intero corpo ecclesiale (uno degli slogan di quegli anni era «Cristo sì, la Chiesa no») e che anzi i giovani erano alla ricerca proprio di qualcuno che indicasse loro un’altra strada rispetto alle illusorie promesse di felicità a base di ‘sesso, droga e rock and roll’. Da allora si sono succedute 33 Gmg e tre generazioni: quella iniziale del ’68 ha ceduto il passo alla generazione del dopo Muro di Berlino e ora alla prima generazione digitale. Eppure il dialogo continua, anche se è cambiato l’’interlocutore’ principale. A Giovanni Paolo II è subentrato prima Benedetto XVI – che ne aveva convintamente rilevato il testimone, al punto di intraprendere «non senza timore» il viaggio più lungo del suo pontificato (Gmg di Sydney 2008) e da rinunciare alla Cattedra di Pietro anche per non far mancare la presenza papale alla Giornata di Rio de Janeiro –; e adesso Jorge Mario Bergoglio che sta reinterpretando lo spartito a modo suo. Il Sinodo, cammino fatto insieme, è proprio la cartina di tornasole del valore aggiunto di papa Francesco alla pastorale giovanile del terzo millennio. Per il pontefice, infatti, non esiste la gioventù, intesa come categoria astratta, ma i singoli, concreti giovani. E per questo egli intona spesso e volentieri il suo inno preferito, tratto dal profeta Gioele e riportato anche negli Atti degli Apostoli: «I vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni». Fuor di metafora, è il paradigma di un rapporto intergenerazionale che non isola i ragazzi in un mondo a sé, non li considera quasi come la ‘primavera’ rispetto alla prima squadra, ma li vuole titolari in campo fin da oggi.

Il secondo cammino del Sinodo, quello che abbiamo chiamato contenutistico è fatto insieme proprio in questo senso. La voce dei giovani, che il Papa ha dichiarato programmaticamente di voler ascoltare senza filtri («parlate con faccia tosta», ha detto aprendo la Riunione presinodale, lo scorso 19 marzo) si intreccia così a quella dei vescovi e della Chiesa. Visioni e sogni, appunto, in uno scambio fecondo di creatività ed esperienza. Il 21 dicembre 2017, nel discorso alla Curia romana, Francesco sottolineò: «Chiamare la Curia, i vescovi e tutta la Chiesa a portare una speciale attenzione alle persone dei giovani, non vuol dire guardare soltanto a loro, ma anche mettere a fuoco un tema nodale per un complesso di relazioni e urgenze: i rapporti intergenerazionali, la famiglia (non a caso tema dei due Sinodi precedenti, ndr), gli ambiti della pastorale, la vita sociale».

Così l’ascolto si sta nutrendo in questi mesi di tutti gli strumenti a disposizione, anche quelli tipicamente giovanili, come Internet e i social network. Questionario via Web e partecipazione social all’incontro presinodale (erano in 15mila collegati da tutto il mondo, oltre ai 340 fisicamente presenti) ne sono la dimostrazione più lampante. La voce dei giovani così raccolta, hanno promesso il Pontefice e il segretario generale del Sinodo, cardinale Lorenzo Baldisseri, sarà portata all’interno dell’assise di ottobre. A riprova che non di un’operazione di facciata si è trattato, ma di un vero cammino insieme.

Intanto nel documento finale di quella riunione i partecipanti si sono espressi all’unanimità per «una Chiesa autentica», cioè per «una comunità trasparente, accogliente, onesta, invitante, comunicativa, accessibile, gioiosa e interattiva. Una Chiesa credibile» che «non ha paura di mostrarsi vulnerabile» e che «dovrebbe esser solerte e sincera nell’ammettere i propri errori passati e presenti, presentandosi come formata da persone capaci di sbagli e incomprensioni», ma anche di perdono dato e ricevuto. Da questi primi approcci si può dunque dire che i giovani e il Papa parlano la stessa lingua. Ancora una volta viene in primo piano l’immagine del cammino insieme (il terzo tipo che abbiamo evocato).

Francesco, infatti, ne ha disegnato uno che dalla Gmg di Rio 2013 a quella di Panama 2019, passando per Cracovia 2016, intercetta proprio il tema del Sinodo, e soprattutto la vocazione di ogni giovane, attraverso i messaggi per le Giornate mondiali dedicati prima alle Beatitudini (la magna charta del cristiano), quindi al Magnificat (cioè alle beatitudini messe in pratica da Maria). «Proprio a incarnare questo percorso siete chiamati», sembra dire il Pontefice. E c’è chi lo ha preso già sul serio, ricalcando su quel percorso un vero e proprio pellegrinaggio che nella prima decade di agosto porterà i giovani italiani, coordinati dal Servizio nazionale di pastorale giovanile, a scoprire ‘santuari’ non solo di pietra ma di carne. Un pellegrinaggio ‘insieme’, nel più puro stile di papa Francesco. Come tutto l’itinerario che conduce al Sinodo, e oltre.

da Avvenire

Alto Adige. Don Josef Hurton: il parroco delle cime compie 90 anni

(Tutte le foto sono del Soccorso Alpino e Speleologico Alto Adige)

(Tutte le foto sono del Soccorso Alpino e Speleologico Alto Adige)

Per alcuni è quasi una leggenda delle montagne, per tutti gli altri è un uomo di carisma e di profonda fede.
Don Josef Hurton, uno dei padri del Soccorso alpino in Italia, ha appena compiuto 90 anni. “Sei leggendario come l’Ortles”, ha scherzato il vescovo di Bolzano-Bressanone Ivo Muser durante la Messa, celebrata il 2 aprile in onore del “parroco delle cime” nella chiesa di Solda, dove è stato parroco per tanti anni e dove ha fondato la sezione del Corpo di soccorso alpino.

A darne notizia è stato il quotidiano locale L’Alto Adige.

(Tutte le foto sono del Soccorso Alpino e Speleologico Alto Adige)

(Tutte le foto sono del Soccorso Alpino e Speleologico Alto Adige)

Nato nell’allora Cecoslovacchia, da 57 anni don Josef Hurton vive a Solda, in Alto Adige, dove, per decenni, è stato il parroco nonché, per un ventennio, il responsabile del Soccorso alpino locale e per oltre vent’anni, il direttore del Corpo nazionale del Soccorso alpino e speleologico del Cai.

Oltre cinquant’anni fa ha fondato la Scuola nazionale cani da valanga che ora, sul territorio nazionale, conta un centinaio di unità cinofile e che fa parte del Corpo nazionale Soccorso alpino e speleologico del Cai. Cani che, insieme ai loro conduttori, sono intervenuti a seguito di terremotati devastanti come quello dell’Iran, qualche anno fa e, più recentemente, ad Amatrice, nel Lazio e a Rigopiano, in Abruzzo.

Nel 1960 Hurton venne chiamato a Solda per sostituire il parroco precedente, morto per una slavina che lo aveva travolto mentre tornava in canonica dopo una lezione di catechismo nella piccola scuola del paese. Il prete fondò la locale stazione di soccorso alpino, che sarebbe diventate un punto di riferimento in Europa, anche per i primi interventi in elicottero. “Iniziò lo stradino di Solda – ricorda don Hurton – Ebbe lui l’idea. Solda, ai piedi dell’Ortles è una zona fortemente valanghiva. Poi si andò in Svizzera a vedere come funzionava ed era strutturato questo servizio e poi cominciammo con 3 cani. In seguitò venne istituita la scuola e, nel ’67, arrivò anche l’elicottero e, dopo, anche gli interventi nelle zone terremotate”.

(Tutte le foto sono del Soccorso Alpino e Speleologico Alto Adige)

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La storia del Soccorso Alpino di Solda

Nel 1940 la stazione di soccorso Alpino di Solda viene menzionata la prima volta ufficialmente nella guida turistica Mayers.
Dodici anni dopo nel 1952 con il supporto del CAI Bolzano venne fondata ufficialmente la stazione di Solda. Il primo Capostazione fu la guida alpina Fritz Reinstadler.
Nell’anno 1960 fu impiegato la prima volta un elicottero e nello stesso anno fu anche fondata la scuola per cinofili da valanga. Due anni dopo fu svolto il primo corso per cinofili da valanga a livello provinciale e nel 1966 il primo corso a livello nazionale.
Nel 1967 fu impiegato per la prima volta l’elicottero militare (IV Corpo d’Armata Bolzano).
Nel 1970 il parocco Don Josef Hurton diventa Capostazione di Solda. Sotto la sua direzione la scuola per cinofili da valanga viene ampliata e le pubbliche relazioni migliorate.
Dal 1980 in poi l’elisoccorso svizzero Rega svolge interventi di soccorso nella zona dell’Ortles e dal 1982 viene usato il treppiede e il compressore per i recuperi da crepaccio.
Nell’anno 1984 la Rega effettua il primo intervento notturno nella parete nord dell’Ortles.
Nel 2000 Don Josef Hurton diventa socio onorario e lascia la direzione del soccorso alpino di Solda a Olaf Reinstadler: guida alpina, panettiere di Solda e socio del soccorso Alpino dal 1980.
Da luglio 2003 la stazione di Solda ha la nuovo sede presso il centro della protezione civile del comune di Stelvio. Durante un anno la squadra di Solda mediamente effettua 80 interventi di soccorso.

(Tutte le foto sono del Soccorso Alpino e Speleologico Alto Adige)

(Tutte le foto sono del Soccorso Alpino e Speleologico Alto Adige)

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