Giornata per Lettori, Accoliti e ministri della Comunione

Ai LETTORI e agli ACCOLITI
Ai MINISTRI STRAORDINARI
della S. Comunione
della Chiesa di Reggio Emilia – Guastalla

DOMENICA 18 marzo in Cattedrale, vivremo la 39° Assemblea plenaria dei Ministri Istituiti (Lettori ed Accoliti) e Straordinari (ministri della Comunione), per rinnovare nelle mani del Vescovo l’impegno sincero e costante al servizio ecclesiale a cui siete stati chiamati.
Questo appuntamento è prezioso perché ogni anno vi permette di rinnovare visibilmente il legame con il Vescovo; e aiuta a superare il limite delle vostre singole comunità di servizio, sperimentando l’appartenenza ad una grande famiglia diocesana.

PROGRAMMA 
Ore 16.30 In Cattedrale canto del Vespro e Adorazione eucaristica
Ore 18.00 S.Messa presieduta da Mons. Vescovo e rinnovo del mandato ai Ministri della S. Comunione.
I Vespri e l’Adorazione eucaristica saranno animati dalla Cappella Musicale della Cattedrale

GIORNATE ANNUALI DI SPIRITUALITA’ (sul Vangelo di S. Giovanni):
– Marola: sabato 9 giugno: dalle ore 9.00 alle ore 17.00;
– Guastalla: sabato 15 settembre dalle ore 9.00 alle ore 17.00.
N.B. Per questi due incontri, rinnoveremo l’invito sia attraverso La Libertà e via e-mail ai Parroci.

ATTENZIONE !!!
In considerazione del sempre più elevato numero di ministri è diventato impossibile spedire avvisi cartacei a mezzo posta (dato i costi e le difficoltà di recapito); ma diventerebbe difficoltoso e incompleto anche l’utilizzo della posta elettronica (sia per il fatto che così tanti indirizzi dovrebbero essere continuamente aggiornati ma soprattutto perché un discreto numero di ministri non possiede indirizzo mail ).
Pubblicheremo gli appuntamenti su “La Libertà” e spediremo comunicazione e-mail ai responsabili (parroci o persone da loro incaricate) per la diffusione nelle singole comunità (Parrocchie e Unità Pastorali).

Grazie nella fraterna cordialità di un buon cammino quaresimale.
Mons. Francesco Marmiroli
Vicario Episcopale per i Ministeri
Reggio Emilia 2 marzo 2018.

laliberta.info

Il Vangelo Domenica 18 Marzo 2018 V Quaresima. La vita come un chicco di grano

V Domenica di Quaresima
Anno B

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori […].

Vogliamo vedere Gesù. Grande domanda dei cercatori di sempre, domanda che è mia. La risposta di Gesù dona occhi profondi: se volete capire me, guardate il chicco di grano; se volete vedermi, guardate la croce. Il chicco di grano e la croce, sintesi umile e vitale di Gesù. Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Una frase difficile e anche pericolosa se capita male, perché può legittimare una visione doloristica e infelice della religione.
Un verbo balza subito in evidenza per la sua presa emotiva: se non muore, se muore. E pare oscurare tutto il resto, ma è il miraggio ingannevole di una lettura superficiale. Lo scopo verso cui la frase converge è “produrre”: il chicco produce molto frutto. L’accento non è sulla morte, ma sulla vita. Gloria di Dio non è il morire, ma il molto frutto buono. Osserviamo un granello di frumento, un qualsiasi seme: sembra un guscio secco, spento e inerte, in realtà è una piccola bomba di vita. Caduto in terra, il seme non marcisce e non muore, sono metafore allusive. Nella terra non sopraggiunge la morte del seme, ma un lavorio infaticabile e meraviglioso, è il dono di sé: il chicco offre al germe (ma seme e germe non sono due cose diverse, sono la stessa cosa) il suo nutrimento, come una madre offre al bimbo il suo seno. E quando il chicco ha dato tutto, il germe si lancia verso il basso con le radici e poi verso l’alto con la punta fragile e potentissima delle sue foglioline. Allora sì che il chicco muore, ma nel senso che la vita non gli è tolta ma trasformata in una forma di vita più evoluta e potente.
La seconda immagine dell’auto-presentazione di Gesù è la croce: quando sarò innalzato attirerò tutti a me. Io sono cristiano per attrazione, dalla croce erompe una forza di attrazione universale, una forza di gravità celeste: lì è l’immagine più pura e più alta che Dio ha dato di se stesso.
Con che cosa mi attira il Crocifisso? Con i miracoli? Con lo splendore di un corpo piagato? Mi attira con la più grande bellezza, quella dell’amore. Ogni gesto d’amore è sempre bello: bello è chi ami e ti ama, bellissimo è chi, uomo o Dio, ti ama fino all’estremo. Sulla croce l’arte divina di amare si offre alla contemplazione cosmica. «A un Dio umile non ci si abitua mai» (papa Francesco), a questo Dio capovolto che scompiglia le nostre immagini ancestrali, tutti i punti di riferimento con un chicco e una croce, l’umile seme e l’estremo abbassamento: Dio ama racchiudere / il grande nel piccolo: / l’universo nell’atomo / l’albero nel seme / l’uomo nell’embrione / la farfalla nel bruco / l’eternità nell’attimo / l’amore in un cuore / se stesso in noi.
(Letture: Geremia 31,31-34; Salmo 50; Ebrei 5,7-9; Giovanni 12,20-33)

di Ermes Ronchi – Avvenire

Crisi economica e nascite. Se la crisi lascia in eredità la «paura» del secondo figlio

Se la crisi lascia in eredità la «paura» del secondo figlio

La crisi economica ha giocato un ruolo determinante nel crollo delle nascite che interessa l’Italia. Per intuirlo non sono necessarie ricerche particolari. Tuttavia indagare a fondo come e perché le difficoltà hanno trasformato la composizione delle famiglie e le attese delle coppie può fornire indicazioni molto importanti. Un contributo in questo senso arriva da un ricerca fresca di pubblicazione che ha cercato di capire come mai tra il 2002 e il 2012, cioè nel decennio che va dal periodo precedente la crisi del 2007-2008 alle prime tre recessioni successive, molte madri hanno deciso di non avere un secondo figlio. Quello che emerge è abbastanza sorprendente: la crisi non ha aumentato le disuguaglianze, al contrario ha avvicinato le donne di diverse condizioni sociali nella rinuncia ad avere una famiglia numerosa.

L’insicurezza e la sfiducia, insomma, hanno livellato verso il basso l’universo delle madri, contagiando anche chi non ha sperimentato direttamente problemi economici.

La prospettiva del secondo figlio, come angolatura di analisi, ha un forte valore. Il calo delle nascite che affligge il nostro Paese quasi alla stregua di una malattia cronica si deve da un lato all’aumento del numero di donne in età riproduttiva che non diventano madri, percentuale che ha ormai superato il 20%, ma in parte maggiore è dovuto alla rinuncia ad avere il secondo e soprattutto il terzo figlio e oltre. Il calo della natalità è in sostanza un problema di fratelli che mancano, non solo di donne e uomini che non diventano genitori, anche se questo aspetto si sta comunque affermando sempre di più. La ricerca a cura di Francesca Fiori ed Elspeth Graham, dell’Università di St Andrews nel Regno Unito, e di Francesca Rinesi dell’Istat (goo.gl/eKyk4z) rivela proprio che in un decennio la percentuale di madri che esprimono l’intenzione di fermarsi al figlio unico è salita dal 21% al 25%.

Ma che cosa è cambiato negli anni della Grande Crisi? L’aspetto forse più importante da rilevare è il fatto che la rinuncia al secondo figlio non riguarda più solo una categoria specifica di donne che sperimenta una condizione particolare, si tratti di una difficoltà economica ovvero della decisione di puntare a una carriera importante: la percezione di insicurezza diffusa, di paura di andare incontro a problemi in futuro, ha come cancellato le differenze. Prima della crisi la ‘rinuncia’ a una famiglia numerosa, in termini di intenzioni, riguardava più le donne con bassa istruzione o chi aveva contratti a termine, o ancora le disoccupate; durante la crisi la probabilità di non volere un secondo figlio ha interessato sempre di più anche le donne con media o alta istruzione, con contratti di lavoro stabili, le casalinghe, e in particolar modo le ragazze più giovani. La motivazione economica è diventata rapidamente la ragione principale per dire no al secondo figlio (dal 16,7% al 25,8% dei casi), seguita dal fatto che si è raggiunto il limite di età (dal 14,1% al 18,8%), mentre l’idea di aver già soddisfatto i propri desideri riproduttivi è crollata significativamente di 7 punti (al 16%).

«Il risultato ci ha sorprese – spiega una delle ricercatrici, Francesca Fiori –. La rinuncia al secondo figlio per ragioni economiche non ha riguardato solo le madri in situazioni di disagio, ma anche quelle in condizioni migliori. Da un lato la situazione economica è peggiorata per tutte le famiglie giovani, dall’altro l’aumento della disoccupazione maschile ha probabilmente lasciato molte donne occupate nella condizione di unico percettore di reddito. Ma di sicuro la crisi ha agito anche a livello più intimo, aumentando l’incertezza e la sfiducia nel futuro. Spesso di fronte alle difficoltà la rinuncia a un figlio interessa proprio chi ha più da perdere, mentre chi è in condizione di svantaggio trova nella maternità un valore in più».

Le ragioni per essere ottimisti ci sono, soprattutto in una fase di ripresa. Se i problemi economici impattano sulla natalità, l’uscita dalla crisi può favorire una ripartenza delle nascite. La ricerca in effetti rileva un aumento delle madri di due o più bambini che esprimono il desiderio di avere altri figli, anche se questo sembra riguardare più le straniere. E in ogni caso il rischio può essere anche un altro: che l’abitudine all’insicurezza si sia sedimentata in maniera così forte da avere rivoluzionato comportamenti storici. Il tema dell’insicurezza come ragione della denatalità è più vischioso dei semplici motivi economici e più difficile da aggredire. La crisi della fiducia incide sui desideri e sulla progettualità, e questo aspetto, spiegano le ricercatrici, è più preoccupante di altri fattori legati alla rinuncia ad avere figli.

Le persone, soprattutto le generazioni più giovani, in questi anni hanno conosciuto un aumento significativo della disoccupazione e della precarietà del lavoro, oltre a un calo delle retribuzioni. L’insicurezza tuttavia è un concetto molto ampio, che non riguarda solo i più fragili. Una recente ricerca a cura di Chiara Ludovica Comolli (goo.gl/SkLrUQ), dell’Università di Stoccolma ha dimostrato come la tensione sugli spread vissuta dall’Italia tra il 2011 e il 2012 ha contribuito in modo importante a limare i tassi di natalità. D’altra parte si potrebbe pensare che in un Paese con un elevato debito pubblico come l’Italia, oggi al 130% del Pil, in mancanza di una seria strategia di stabilizzazione dei conti le famiglie possano avere atteggiamenti più prudenti in diversi ambiti, dai consumi alla famiglia.

Negli ultimi 40 anni l’Italia non ha mai conosciuto tassi di fecondità particolarmente alti, tuttavia le coppie hanno storicamente manifestato una preferenza netta per la famiglia con due figli. Ancora nel 2012 il 75% delle neo madri con un figlio esprimeva la volontà di avere almeno un altro bambino. Ma se il persistere dell’incertezza trasformasse in breve tempo la ‘regola dei due figli’ in una regola del figlio unico più subìta che voluta? Al momento non sembra essere così. «Non abbiamo indicazioni in questa direzione – spiega Francesca Fiori – in Italia la preferenza per la famiglia con due figli è dura da sovvertire. A differenza di altri Paesi da noi c’è una fetta ampia di desiderio non soddisfatto in fatto di dimensione della famiglia. Perché si mantenga vivo servono soprattutto misure di ampio respiro capaci di creare un contesto favorevole in tutto alle famiglie, dalle politiche per il lavoro ai servizi che favoriscono la conciliazione, dalle misure per ridurre le disuguaglianze a un welfare in grado di rispondere veramente ai bisogni dei genitori».

da Avvenire

Memoria e impegno contro le mafie

Un'immagine dell'incontro organizzato a Bari da Libera, prima della riflessione in cattedrale (Arcieri)

Un’immagine dell’incontro organizzato a Bari da Libera, prima della riflessione in cattedrale (Arcieri)

La bellissima Cattedrale di San Sabino di Bari, ieri sera era piena di dolore, memoria e impegno. Erano più di cinquecento i familiari di vittime innocenti delle mafie, radunati da Libera in occasione della XXIII Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, che si terrà il 21 marzo in migliaia di città e paesi, e che avrà come luogo principale Foggia col titolo “Terra, solchi di verità e di giustizia”. Una scelta forte, per richiamare l’attenzione su una mafia purtroppo trascurata, sottovalutata, che la scorsa estate è arrivata su tutti i giornali con la strage di San Marco in Lamis quando oltre a due mafiosi vennero uccisiLuigi e Aurelio Luciani, due fratelli agricoltori che nulla avevano a che fare col mondo criminale. La grande manifestazione del primo giorno di Primavera ha un prologo nell’incontro dei familiari, sabato e domenica, momento forte di testimonianze, storie, riflessioni.

«Quello che abbiamo ascoltato ci obbliga all’impegno di responsabilità – ha commentato al termine Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e presidente onorario di Libera –. Una responsabilità a contrastare le inerzie, anche delle istituzioni. Troppe volte, ben il 75%, non si sa chi ha ucciso e chi ha mandato a uccidere. C’è una domanda di giustizia ancora non soddisfatta. Per questo siamo tenuti a difendere la memoria, a coltivarla, a perpetuarla. La memoria non è data per sempre».

Ed è anche la memoria di tante vittime della “lupara bianca” del Foggiano. «In questi mesi – ha ricordatoDaniela Marcone vicepresidente nazionale di Libera e figlia di Francesco Marcone, direttore dell’ufficio del registro di Foggia, ucciso il 31 marzo 1995 – abbiamo incontrato tante madri di giovani fatti scomparire. Che si appellano alle donne dei mafiosi per poter avere almeno i resti dei figli».

Dopo queste forti parole ci si è spostati nella Cattedrale, la parrocchia di Bari vecchia, quartiere simbolo del potere dei clan mafiosi, ma anche del riscatto, come l’oratorio di strada del parroco don Franco Lanzolla o le iniziative per le persone più fragili e dimenticate. Qui si è svolta la veglia di preghiera, «cui teniamo tantissimo – ha sottolineato Daniela Marcone – perché è il momento del raccoglimento e della spiritualità». E del ricordo. È stato così letto l’interminabile elenco di 972 vittime innocenti, dall’inizio dello scorso secolo agli ultimi nomi come Anna Rosa Tarantino, la donna uccisa il 30 dicembre a Bitonto dai proiettili destinati a un giovane mafioso, sparati da altri mafiosi arrestati proprio ieri. I nomi delle vittime hanno fatto da contrappunto alle preghiere.

Ad aiutare tre letture molto intense. Un brano dello scrittore ebraico Zvi Kolitz, che racconta il dramma del ghetto di Varsavia e della Shoa. Rabbia e fede assieme. «Concedimi Dio, prima di morire, ora che in me non vi è traccia di paura e la mia condizione è di assoluta calma interiore e sicurezza, di chiederti ragione, per l’ultima volta nella vita. Muoio tranquillo, ma non appagato, colpito, ma non asservito, amareggiato, ma non deluso, credente ma non supplice, colmo d’amore per Dio, ma senza rispondergli ciecamente amen».

Poi le parole di speranza di don Primo Mazzolari. «Il cristiano è un “uomo di pace” non un “uomo in pace”: fare la pace è la sua vocazione. La verità senza la carità è una “pietra d’inciampo”. La giustizia senza la carità è un nodo scorsoio che tutti credono di avere il diritto di tirare. Dare la pace ai morti è l’impegno di Dio: fare la pace coi vivi è un nostro impegno».

Infine, sono risuonate le parole di impegno di don Tonino Bello. «Il popolo della pace non è un popolo di rassegnati. Coraggio! Non dobbiamo tacere, braccati dal timore che venga chiamata “orizzontalismo” la nostra ribellione contro le iniquità che schiacciano i poveri. Gesù Cristo, che scruta i cuori e che non ci stanchiamo di implorare, sa che il nostro amore per gli ultimi coincide con l’amore per lui».

Brani che ben rappresentano la vita dei familiari delle vittime di mafia. Quel dolore che si fa memoria e impegno. Come conferma la preghiera che ha chiuso la Veglia. «Dio della pace, non ti può comprendere chi coltiva la morte, non ti accoglie chi ama la violenza: a coloro che seminano pace e a chi coltiva giustizia tra i rovi delle violenza dona la forza della perseveranza, perché chi ostacola il percorso della verità sia sanato dall’odio che lo tormenta, e tutti finalmente possiamo ritrovarci in Te, che sei la vera pace». La preghiera è salita nelle altissime navate della Cattedrale. La memoria delle storie, l’impegno delle vite.

avenire