Una casa di preghiera, consolazione, ospitalità

Una casa di preghiera, una casa di consolazione e una casa di ospitalità. Sono le tre parole sulle quali mons. Franco Giulio Brambilla ha scandito la sua omelia per la solennità di San Giulio, nella messa celebrata all’Isola mercoledì 31 gennaio.

«La preghiera è il luogo dell’attesa, la preghiera è il luogo della fiducia, e per questo, in questi quarant’anni, sono venute qui all’Isola tante persone ad attaccare la loro spina… per trovare l’energia della loro vita; per ritrovare qui una casa di preghiera», ha detto il vescovo, riferendosi al monastero Mater Ecclesiae che da oltre quattro decenni è ospitato sull’isola e ne ha fatto uno dei più importanti centri di spiritualità nel nord Italia.

Poi il vescovo ha parlato della casa di consolazione: «Dipende dalla casa di preghiera, ma la casa di preghiera diventa una casa di consolazione quando l’opera di Dio è capace di penetrare nelle opere degli uomini e delle donne e diventa un’opera che consola, che ascolta, che accarezza, che dà tenerezza, che concede prossimità, che vive vicino e che sa aspettare ed attendere».

Infine l’ospitalità: «un giovane mi ha suggerito che questa deve diventare una casa, ma adesso diremo una città, un lago, un bacino, una conca, la conca d’argento del Cusio, deve diventare una casa di ospitalità! Vorrei che quest’anno la mano pubblica, l’istituzione pubblica, educasse le persone ad essere ospitali, a stabilire una circolarità buona, per cui uno quando viene qui da noi, si possa sentire a casa».

Di seguito il testo integrale, scaricabile in pdf anche da questo link

Lotta alla ‘ndrangheta. Firmato protocollo in difesa di minori e donne con Cei e Libera

Firmato protocollo in difesa di minori e donne con Cei e Libera

La Chiesa italiana “ci sta” nella lotta alla mafia, “ci mette la faccia” e “lo dice con i fatti”. Lo ha ribadito con convinzione il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, in occasione della firma, presso laDirezione Nazionale Antimafia, del Protocollo di intesa tra dipartimento Pari opportunità della presidenza del Consiglio dei Ministri, Tribunale per i minorenni, Procura per i minorenni e Procura distrettuale di Reggio Calabria, e l’associazione Libera.

Un progetto per creare una rete di sostegno tra giurisdizione, governo e mondo associazionistico per tutelare e assicurare una concreta alternativa di vita ai minorenni, e alle loro madri, provenienti da famiglie mafiose. Un fenomeno in crescita, che colpisce la compattezza dei clan, e che va sostenuto e protetto. Per questo il progetto vede la Cei come fattivo sostenitore attraverso i fondi dell’otto x mille. “Un modo concreto – ha sottolineato Galantino – per farci compagni di strada delle Istituzioni in quei progetti che mettono al centro le persone più fragili. E per noi, persone fragili e coraggiose sono prima di tutto quelle mamme che, guardando negli occhi i loro bimbi, sentono il bisogno – questo, sì, espressione di maternità – di prospettare loro una vita che sia davvero tale”.

Ma anche, ha aggiunto, “compagni responsabili di strada di chi sceglie stili e progetti di vita diversi da quelli segnati dal malaffare e dalla violenza. Insomma, cerchiamo di dire con i fatti che i sistemi di mafia e tutto ciò che alleva a questi sistemi di vita non ci stanno bene, non ci appartengono e vogliamo fare tutto quello che è possibile per combatterli”. Così, ha insistito, “occasioni come queste, nel piccolo, ci dicono da che parte vogliamo stare.

E noi stiamo dalla parte di chi dice un “no” chiaro al malaffare, quello volgare e brutale nelle sue forme e quello altrettanto brutale ma che si nutre di parole dette senza impegno e di promesse poco credibili”. Mentre i modelli da seguire sono “quegli uomini e quelle donne che, per fedeltà al Vangelo e alle persone loro affidate hanno pagato con la vita la scelta di procedere controcorrente, disturbando quanti non accettano che si dia vita a un mondo più giusto e solidale. E perciò più evangelico”. Affermazioni che il segretario della Cei ribadirà domenica nel suo intervento, che possiamo anticipare, a “Contromafie”, l’evento organizzato a Roma da Libera.

Un’occasione per respingere quanto espresso dal “Tavolo 13” degli Stati Generali Lotta alle Mafie tenutisi il 23-24 novembre e che aveva come tema “Mafia e Religione”. Parole che Galantino definisce “banalità scritte con una buona dose di arroganza e sicuramente sostenute da preconcetti e mancanza di conoscenze”. In particolare una “fattuale estraneità delle Chiese – o almeno della Chiesa Cattolica – a una lotta alle mafie che, essenzialmente, è condotta soltanto dalle istituzioni dello Stato”. E più avanti: “È necessario ricordare alle Chiese che non possono dichiararsi estranee alla sofferenza del loro popolo”.

“Sono parole che si commentano da sole – replica Galantino – e di fronte alle quali non ho niente da rivendicare. Anche se, a fronte di colpevoli ritardi del passato, potrei esibire storie, nomi e fatti concreti che vedono, e non da oggi, uomini e donne di Chiesa impegnati, non intorno al Tavolo 13, ma per strada mettendoci la faccia e l’impegno necessari proprio perché non si sentono “estranei” alla sofferenza del popolo”. E questo non da ora, sottolinea il vescovo, ricordando come “partecipando a questo progetto, la Chiesa italiana intende mettersi sulla scia e dare continuità all’azione di tanti uomini e donne credenti che, animati dal Vangelo, con le loro scelte quotidiane, ragionate e sofferte hanno elevato il livello di carità del nostro mondo”.

E non è dunque un caso che domenica Galantino sarà all’iniziativa di Libera, guidata da don Luigi Ciotti. Cosìcome ricorda il progetto “Libera il bene: dal bene confiscato al bene comune“, realizzato da Libera assieme ad alcuni uffici della Cei, e sempre sostenuto con l’otto x mille. “Oggi sono 156 le esperienze di riutilizzo sociale nate e sviluppatesi in 47 diocesi su un totale di 735 realtà sociali che gestiscono beni confiscati in Italia“. Ora il nuovo progetto firmato oggi, che prevede l’attivazione di un sistema di interventi (educativi, psicologici, logistici, scolastici, economici e lavorativi) rivolti alle donne, ai minori e ai nuclei familiari destinatari di provvedimenti giudiziari del tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, che per primo ha scelto questa strada, con l’obiettivo di garantire concrete alternative di vita. Si parte dallo Stretto per poi esportarlo in altre realtà.

“Un giorno importante per la lotta alla criminalità organizzata e la tutela dei minori – ha commentato la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio, con delega alle Pari opportunità, Maria Elena Boschi -. Solo l’educazione ai valori della giustizia e l’istituzione di una struttura operativa in grado di assistere e offrire protezione potrà dare alle vite di questi minori una possibilità di riscatto”.

da Avvenire

La visita. Il Papa a Nomadelfia: la comunità dove «la fraternità è legge»

Il Papa a Nomadelfia: la comunità dove «la fraternità è legge»

Gioia e gratitudine a Nomadelfia per l’annuncio della visita di Francesco il prossimo 10 maggio. A ventinove anni esatti dall’incontro con Giovanni Paolo II, un Papa torna dove «la fraternità è legge» e vive un popolo di volontari cattolici che vuole, come le prime comunità cristiane, costruire una nuova civiltà fondata sul Vangelo. Attualmente la popolazione della cittadella nei pressi di Grosseto è composta da 270 persone divise in 50 famiglie.

Dalla fondazione, settant’anni fa, ad opera di don Zeno Saltini, sono stati almeno 5 mila i figli accolti nelle famiglie di Nomadelfia dove tutti i beni sono in comune. Non esiste proprietà privata, non circola denaro. Si lavora solo all’interno e non si è pagati. Le famiglie sono disponibili ad accogliere figli in affido. Quattro o cinque famiglie insieme formano un «gruppo familiare». Le scuole sono interne e l’obbligo scolastico è stato portato a 18 anni. Arrivando la mattina poco dopo le 8 (accolto da monsignor Rodolfo Cetoloni, vescovo di Grosseto, don Ferdinando Neri e Francesco Matterazzo, presidente della Comunità), il Papa si recherà subito a pregare sulla tomba di don Zeno, scomparso nel 1981 e di cui è in corso la Causa di beatificazione.

Sarà un’occasione per ricordare anche Irene Bertoni, la prima «mamma di vocazione», cofondatrice della comunità, morta a Roma nel 2106. Poi incontrerà un «gruppo familiare» dove si condivide la vita quotidiana per i pasti, ma anche per l’educazione dei figli e i momenti ricreativi. La struttura logistica del «gruppo» è composta da una casa comune (che comprende una piccola cappella con l’Eucarestia, le sale da pranzo, la cucina e i laboratori) e da altre piccole casette attorno, che rappresentano la zona notte delle singole famiglie. Sostanzialmente il «gruppo familiare» è una famiglia di famiglie che ogni tre anni viene sciolto e le famiglie vanno ad abitare con altre per formare nuovi gruppi familiari.

Prima di partire alle 9,30 in elicottero alla volta di Loppiano, Francesco incontrerà tutta la popolazione nella sala intitolata a don Zeno, il fondatore, nato a Fossoli di Carpi, in provincia di Modena, il 30 agosto del 1900. Da giovane prete don Zeno si fece subito padre di un ragazzo appena uscito dal carcere: sarebbe stato il primo di quei 5 mila figli ricordati.

A San Giacomo Roncole (Modena) fondò l’Opera piccoli apostoli. Nel 1941 una ragazza, Irene, accettò di farsi mamma di questi figli: fu, come detto, la prima delle «mamme di vocazione». Alcuni sacerdoti si unirono a don Zeno dando inizio a un clero comunitario. Nel 1947 occuparono l’ex campo di concentramento di Fossoli e si formarono le prime famiglie di sposi disposte ad accogliere i ragazzi senza famiglia.

I «Piccoli apostoli», decisi a fondare una nuova civiltà fondata sul Vangelo, diventarono un popolo: Nomadelfia, che dopo varie vicissitudini approdò in Maremma dando vita all’attuale realtà i cui componenti dicono oggi di guardare al passato solo per illuminare un presente in cui desiderano «continuare a percorrere la strada che don Zeno ha tracciato per ricordare agli uomini la bellezza di essere tutti fratelli, in quanto figli di Dio».

Il limite di don Zeno, ha detto qualcuno, è stato quello di avere troppa fiducia nell’uomo, illudendosi che sia possibile costruire una società libera in cui non ci siano altre leggi se non quella della fraternità. Ma la sua utopia aveva radici profonde e Nomadelfia continuerà ad essere una «proposta», un seme gettato per la costruzione di una civiltà che possa veramente dirsi cristiana.

da Avvenire