Foglietto, Letture e Salmo 4 Febbraio 2018  V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

4 Febbraio 2018  V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Grado della Celebrazione: DOMENICA
Colore liturgico: Verde

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Gesù passa tra noi e ci guarisce. Ci ha rigenerati e guariti con la grazia del battesimo e ci rinnova ogni giorno con la sua misericordia.
Siamo dei salvati, ma lo siamo per essere segno del Cristo presso i nostri fratelli e le nostre sorelle.
La suocera di Pietro dà ad ognuno di noi l’esempio di chi, guarito dal Cristo, sceglie di servire.
Le folle cercano Gesù attirate da ciò che egli dice e dai segni che opera. È la carità che le richiama e la carità è certamente il segno più luminoso e distintivo di ogni comunità cristiana.
Ma per essere davvero testimoni e annunciatori del Cristo occorre ancorare la propria vita nella preghiera e nella contemplazione: Gesù si ritira a pregare solo in un luogo deserto e indica la strada maestra che dobbiamo seguire se vogliamo essere suoi veri discepoli.

Club Esse. Alla ricerca di 400 lavoratori estivi

Alla ricerca di 400 lavoratori estivi

Comincia dalla Borsa Internazionale del Turismo la campagna di selezione di Club Esse, catena alberghiera italiana con una quindicina tra villaggi e hotel nel centro-sud Italia e nelle isole, che sta cercando 400 persone delle oltre 1.200 che impiegherà la prossima estate, da fine aprile a metà ottobre. Proprio da Fieramilanocity a Milano infatti, l’11 e il 12 febbraio, partiranno gli Open day per selezionare 400 lavoratori nel turismo, di cui 100 per il settore intrattenimento e sport e i restanti tra ricevimento, cucina, sala, bar ed economato.

I candidati potranno presentarsi a Bit4Job liberamente (ore 12-13 e 17-18), muniti di curriculum, foto e tanto entusiasmo, oppure scegliere un colloquio su appuntamento (ore 9.30-12 e 14-17) iscrivendosi ahttp://recruitingday.lavoroturismo.it/candidato/. Altri Open day a partecipazione aperta si terranno in marzo in Sardegna, Calabria, Abruzzo e Sicilia, mentre fino a maggio verranno organizzate numerose giornate di incontri su appuntamento a Roma, Milano e Napoli per le quali occorre compilare il form sul sitowww.clubesse.it (o scrivere a personale@clubesse.com per chi è interessato all’alberghiero, arisorseumane@clubesse.com per l’intrattenimento) e attendere l’invito a presentarsi.

Le figure cercate riguardano il settore dell’intrattenimento (i cinque profili più richiesti sono i tecnici audio-luci, gli scenografi, i coreografi, gli animatori per i miniclub e gli istruttori sportivi – in particolare tennis, tiro con l’arco e fitness -, ma non mancano ottime occasioni per i capi animazione, i musicisti, i ballerini, i costumisti, gli assistenti bagnanti, gli addetti alle boutique) ma anche in quello più strettamente alberghiero. Sono aperte posizioni nelle aree ricevimento, manutenzione, economato, cucina, servizio in sala e al bar. Tranne che per le figure apicali, come direttori o chef, la ricerca di personale alberghiero si focalizza però prevalentemente sul territorio in cui sorge la struttura, in modo da esaltare le competenze, le tradizioni e i “sapori” locali.

Ai candidati, uomini e donne maggiorenni, si chiede innanzitutto entusiasmo e positività, ma la presenza sempre più massiccia di ospiti stranieri, che negli ultimi anni nei villaggi Club Esse ha superato il 30% della clientela, ha reso molto apprezzata la conoscenza di inglese, francese e tedesco, lingue che si ha così l’opportunità di approfondire. Si richiede inoltre una disponibilità di almeno tre mesi, motivazione, attenzione alle esigenze dell’ospite, capacità di lavorare in gruppo e disposizione al sorriso. Anche le esperienze precedenti non guastano.

Club Esse è una società italiana di gestione turistica in grande crescita che ha chiuso la stagione 2017 con 25 milioni di fatturato (+25% sul 2016). Ogni estate dà lavoro a circa 1000 persone (1200 quest’anno) nelle sue strutture in Sardegna, Sicilia, Calabria e Abruzzo, per lo più personale fidelizzato che però ha sempre bisogno di nuovi “innesti”.

Gli Open day si terranno in Sardegna, sabato 24 febbraio al Palazzetto dello Sport di Stintino, Sassari (ore 10-13 e 15-16.30) e domenica 10 marzo al Club Esse Posada di Palau, Olbia-Tempio (10.30-13 e 15-16.30); in Calabria, sabato 3 marzo (14-17,30) e domenica 4 (10-13) al Club Esse Sunbeach di Squillace Lido, Catanzaro; in Abruzzo, sabato 17 marzo al Club Esse Mediterraneo di Montesilvano, Pescara (10.30-13 e 15-16.30); in Sicilia, sabato 24 marzo al Club Esse Selinunte di Selinunte, Agrigento (9.30-12.30 e 14.30-15.30).

I primi colloqui su appuntamento si svolgeranno invece il 24 febbraio, il 24 marzo, il 14 aprile e il 12 maggio all’Hotel Royal Santina di Roma; il 10 marzo, 7 aprile e 5 maggio all’Hotel Milano Scala di Milano; il 15 marzo, 11 aprile e 9 maggio all’Hotel Stelle di Napoli.

Il calendario delle selezioni verrà aggiornato periodicamente sul sito www.clubesse.it.

da Avvenire

Mc Donald’s. A Milano 200 nuovi posti di lavoro

A Milano 200 nuovi posti di lavoro

Mc Donald’s cerca 200 persone dinamiche, predisposte al lavoro in team e al contatto con il cliente, da inserire nei ristoranti di Milano. Da oggi sono aperte le selezioni online per individuare i candidati che parteciperanno alla tappa milanese del Mc Italia Job Tour, l’evento itinerante di selezione del personale per i ristoranti McDonald’s. Una tappa organizzata in vista della nuova apertura in via Torino, in pieno centro a Milano, e per il rafforzamento dello staff di altri ristoranti in città. Entro il 21 febbraio, i candidati interessati potranno partecipare alla prima fase di selezione sul sito mcdonalds.it, rispondendo ad alcune domande (disponibilità oraria, tipo di mansioni a cui si è interessati, area geografica di interesse etc) e inserendo il proprio cv. Ai candidati idonei verrà richiesta la compilazione di un test, volto a individuare le aree comportamentali di forza dei candidati.

I candidati ammessi riceveranno una convocazione con data e orario e avranno accesso ai colloqui individuali. Il Mc Italia Job Tour, che avrà luogo a fine febbraio, sarà l’occasione per ottenere tutte le informazioni sull’azienda e sul lavoro in Mc Donald’s, grazie alla presenza in loco del personale degli altri ristoranti della zona.

Negli ultimi cinque anni, Mc Donald’s Italia ha creato oltre 5mila nuovi posti di lavoro, di cui 3.800 nella fascia d’età 18 e 24 anni. A questi si aggiungeranno, durante il 2018, altri 1.000 nuovi posti di lavoro. Per cercare queste persone, per raccontare loro cos’è Mc Donald’s, per dare concretezza alla promessa, l’azienda ha deciso di organizzare il McItalia Job Tour. A Milano McDonald’s è presente con 26 ristoranti in città che occupano circa 1200 dipendenti.

Per maggiori informazioni e per inviare il proprio cv: www.mcdonalds.it/lavorare/mcitalia-job-tour.

Empatia, quel traguardo da superare per conoscere l’altro

Empatia, quel traguardo da superare per conoscere l'altro

Hans Blumenberg in Naufragio con spettatore descrive la metafora di una civiltà, quella occidentale, che nel corso dei millenni ha visto uomini e donne incerti tra «coinvolgimento e distacco» (per usare un’espressione nota scelta da un altro grande pensatore, Norbert Elias, per definire l’atteggiamento dell’uomo dinanzi agli eventi). Blumenberg parte dal proemio al secondo libro del De rerum natura di Lucrezio, che vede un uomo sulla terraferma assistere impassibile al naufragio di una nave: il saggio, vuole dirci il poeta epicureo, è imperturbabile, non si fa scalfire da quanto accade, pur tragico che sia. A tale visione si contrappone quella di Pascal, per il quale il filosofo non può restare fermo sulla riva ad assistere passivamente al naufragio, che sia di una nave o di un’intera civiltà. «Vous êtes embarqués», scrive il mistico francese. Questo il senso della scommessa cui ci invita: chi assiste allo spettacolo della vita senza divenirne partecipe, accontentandosi di contemplare le rovine della storia, si perde. In epoca di naufragi sempre più frequenti che accadono nel nostro mar Mediterraneo, il discorso si ripropone rilanciando la questione dell’empatia.

Davanti a queste tragedie, così come alle immagini di guerra o di bambini che muoiono di fame, quali sentimenti proviamo? Estraneità, lontananza, disinteresse, atarassia a volte prevalgono, anche perché ormai ci siamo assuefatti; altre volte, se restiamo particolarmente colpiti, siamo presi da simpatia, partecipazione, solidarietà, compassione. Ebbene, tutto questo ha a che fare con l’empatia, ma non la rappresenta appieno. Negli ultimi tempi c’è stata un’enfasi eccessiva sulla parola “empatia”: l’ex economista ora nei panni di filosofo Jeremy Rifkin ha parlato di “empatia globa-le”, intendendo la necessità di una svolta dinanzi alla minaccia di una catastrofe ecologica e all’aumento dell’interconnessione tecnologica. Perfino il patron di Facebook Zuckerberg ha lanciato lo slogan «Connettetevi! », un appello ovviamente tutt’altro che disinteressato ma ispirato proprio all’empatia. A sgombrare il campo dagli equivoci arriva ora in libreria il saggio di una filosofa, Laura Boella, che allo studio dell’empatia ha dedicato diversi volumi, ben prima che diventasse una moda. Il libro ha per titolo Empatie. L’esperienza empatica nella società del conflitto ed è pubblicato da Cortina (Pagine 212. Euro 13,00). Per la docente di Filosofia morale all’Università Statale di Milano, autrice in passato di studi rilevanti su figure femminili nell’ambito del pensiero e della letteratura (da Simone Weil a Cristina Campo, da Etty Hillesum a Edith Stein), l’empatia «non è un sentimento di partecipazione o di condivisione, né corrisponde alla capacità innata di leggere la mente dell’altro». Essa è «l’atto attraverso il quale ognuno di noi fa esperienza diretta e immediata dell’esistenza di altri individui».

In poche parole, è una scoperta dell’altro non in termini generici, ma la presenza incarnata e sperimentata sensibilmente di un altro essere umano. Quando si parla di empatia, entrano in gioco i sensi e la ragione, noi «sentiamo e vediamo» l’altro, che viene sottratto dalla massa anonima della metropolitana o dei follower. L’enfasi con cui filosofi e scienziati, soprattutto dopo la scoperta dei neuroni specchio, parlano di empatia, fa di essa un sentimento generico che lascia il tempo che trova. I neuroscienziati e gli etologi in larga maggioranza affermano che siamo fatti per connetterci con le altre menti e che il senso di altruismo e solidarietà è destinato a svilupparsi anche grazie ai social network: in realtà non ne siamo così sicuri. Il neuropsichiatra Paul Bloom in un articolo sul New Yorker rigetta l’idea che l’empatia sia una panacea universale. I dati che ha raccolto attestano che ciascuno di noi sceglie di mobilitarsi dinanzi a una vittima se essa è una sola ed è identificabile; se il numero di persone in difficoltà aumenta e siamo messi di fronte alla dura realtà dei bimbi denutriti in Africa, la motivazione ad agire diminuisce e siamo più portati alla rassegnazione.

Proprio l’interconnessione ci rende più indifferenti? Il rischio che l’empatia diventi una moda che può passare, o comunque un’espressione riferita al puro desiderio di fare del bene, perciò riduttiva e altalenante, lo dimostra il recente successo in libreria di volumi come L’età della rabbia di Pankai Mishra, che pone al centro il disordine mondiale, o come l’ultimo della filosofa americana Martha Nussbaum dedicato all’ira e al risentimento. Ci aiuta a capire meglio il vero senso dell’empatia un ritorno alle origini, vale a dire una rilettura di Edith Stein, che fra i primi ne ha formulato una teoria. La filosofa allieva di Husserl fa l’esempio dell’incontro con un amico: il basso tono di voce e il volto arrossato sono il segnale della sua sofferenza. Vedere l’atteggiamento triste di questa persona, presente in carne ed ossa, è innanzitutto un’esperienza originaria, un «vedere in prima persona». Ma perché questo fenomeno non si limiti a un approccio, all’osservare una faccia triste e a rispondere con un sentimento analogo, occorre un passo in più: esplorare il mondo dell’altro, ricostruire la sua storia e determinare la causa del suo dolore, essere insomma “presi dentro” , trascinati non solo da ciò che si vede e si sente, ma da ciò che l’altro sta vivendo.

«L’altro – scrive Boella – è un centro di esperienza autonomo e differente rispetto al mio e come tale irrompe nella mia esperienza. L’empatia dunque è il contrario dell’identificazione o appropriazione dell’emozione o intenzione altrui. Essa consiste invece nell’ingresso nel mio orizzonte vitale, emotivo e cognitivo, di ciò che è vissuto dall’altro». Come si intuisce, non è per niente facile definire davvero l’empatia e negli ultimi tempi persino tra filosofi, psicologi e neuroscienziati non c’è consenso. Più che la scienza e la tecnologia, la letteratura e il cinema ci vengono in soccorso. Boella cita a mo’ di esempio il libro A voce alta, da cui è stato tratto il film The reader con una Kate Winslet degna vincitrice dell’Oscar nel 2009. È la storia di una kapò nazista analfabeta che nel lager obbligava le detenute a leggerle dei libri, per poi punirle spietatamente. Dopo la guerra, chiede al suo giovane amante di fare altrettanto, finché il suo passato non torna alla luce, è arrestata e condannata all’ergastolo. Dopo il processo, Hanna in galera riceve da Michael cassette che le permettono di imparare a leggere: un modo per porsi davanti alle sue colpe e finalmente riconoscerle?

Ma un’altra pellicola si può citare, Le vite degli altri, cui nel 2006 è stato attribuito l’Oscar come miglior film straniero. Racconta la reazione di una spia dei servizi segreti della Germania Est che controlla alcuni oppositori al regime comunista e a poco a poco entra in sintonia con loro, sino a condividere la loro sofferenza e ad aiutarli, senza che loro lo sappiano. Sia come sia, davanti a queste due storie scatta anche in noi spettatori un processo di empatia: ci immedesimiamo nei personaggi anche se talora ci fanno orrore. Accade più o meno in noi quanto scrive David Foster Wallace, uno dei più importanti scrittori americani del dopoguerra: «Nel mondo reale tutti soffriamo da soli. La vera empatia è impossibile. Ma se un’opera letteraria ci permette, grazie all’immaginazione, di identificarci con il dolore dei personaggi, allora, forse, sarà più facile pensare che altri possano identificarsi con il nostro».

da Avvenire