Ho guardato un nazista negli occhi: il racconto della Shoah per ragazzi

La Maison des enfants de Sèvres, in Francia, è stata dal 1941 e durante la Seconda Guerra mondiale un luogo speciale: un’esperienza di scuola aperta alternativa, un’avventura pedagogica fuori dagli schemi correnti cui hanno dato vita educatori dal pensiero forte. La struttura adibita in origine a ospitare i bambini dell’area parigina vittime delle restrizioni alimentari divenne presto un luogo di accoglienza per bambini e ragazzi soli e un rifugio sicuro per piccoli ebrei orfani o affidati dai genitori che cercavano di evitare loro la deportazione. Quando l’obbligo di portare la stella gialla divenne stringente, alla scuola di Sèvres gli insegnanti decisero di aggirarlo e per proteggere gli ebrei iniziarono a cambiare loro i nomi e dotarli di nuovi documenti.

Per quei bambini non fu cosa da poco: assumere nuove identità non fu facile. Su questa storia vera si innesta il romanzo: è così che Rachel, ragazzina con la passione per la fotografia, diventa Catherine e insieme ad altri deve lasciare la Maison, fuggire e trovare rifugi altrove attraverso la rete della Resistenza. Sempre con la sua Rolleiflex al collo per catturare scatto dopo scatto la bellezza nascosta nel quotidiano che anche in tempi bui. Scritto daJulia Billet (tratto da un suo romanzo) e realizzato insieme a Claire Fauvel La guerra di Catherine pubblicato ora da Mondadori nella collana Contemporanea (18 euro) è una graphic novel avvincente. Una storia che ha a che fare con la famiglia di Julia Billet, anche se poi nella scrittura c’è un grande lavori di fantasia: sua madre è stata una bambina nascosta e salvata nella Maison e dall’Opera di soccorso dei bambini. Dai 12 anni

Jordana Lebowitz, nipote di sopravvissuti ad Auschwitz rifugiatisi in Canada, ha 19 anni quando decide dopo una visita al grande campo di sterminio nazista di partecipare a Lueneburg, in Bassa Sassonia, al processo a Oskar Gröning. Ex membro delle SS conosciuto come “il contabile di Auschwitz”, Gröning era accusato di complicità in omicidio di oltre 300 mila ebrei, quasi tutti ungheresi. Soprannomiato “contabile” perché entrava in azione in quella zona del campo in cui gli ebrei venivano separati e spogliati delle loro valigie: si occupava della raccolta deibagagli e degli effetti personali dei deportati, di recuperare banconote e monete e di inviarle negli uffici delle SS a Berlino.

Jordana ha le idee chiare e vuole assistere al processo come dovere morale nei confronti delle proprie radici e della propria famiglia ma anche come dovere di conoscere a fondo e tramandare la storia della Shoah. Quando il 21 aprile 2015 la porta del tribunale si apre Jordana con il cuore in gola sente che avrebbe guardato negli occhi uno spietato nazista; quello che si presenta ai suoi occhi è invece un vecchio che trascina i piedi, fragile, piccolo e gobbo, dall’aria affatto malvagia. Dall’incontro di Jordana con la scrittrice canadese Katy Kacer, che seguiva il processo per raccogliere testimonianze da raccontare efficacemente alle nuove generazioni, è nato questo libro, un diario del processo e insieme riflessione importante attorno a temi cruciali e attuali quali il giudizio della Storia, l’importanza della Memoria, la responsabilità individuale e la “banalità del male”. Ho guardato un nazista negli occhi è pubblicato da Sonda (14 euro). Dai 15 anni.

da Avvenire

Da Papa Francesco i bambini malati della Terra dei Fuochi

Un mercoledì speciale per i bambini dell’associazione “Angeli Guerrieri della Terra dei Fuochi“. Durante la mattinata hanno avuto la possibilità di salutare papa Francesco in Aula Paolo VI e poi sono stati al pranzo e alla festa preparati dai detenuti dell’Isola Solidale, una struttura che da 50 anni offre a chi ne ha il permesso mentre sconta la pena, di trascorrere ore all’aria aperta lavorando la terra e curando gli animali.

Come riporta Vatican News, gli ospiti speciali al pranzo sono un centinaio di persone tra piccoli pazienti oncologici, genitori e accompagnatori, in una “missione scaccia tristezza”: i detenuti hanno aperto quella che per loro è una “casa”, spiega il direttore Sergio Piredda. “È bello sapere di poter fare qualcosa per gli altri” racconta uno dei detenuti che lavora in cucina e che, nonostante il fine pena già in vigore, ha deciso di rimanere nella struttura ancora pur di servire e rendere più bella la giornata a questi bambini, lontani dalle paure e dai problemi di ogni giorno.

Tutelare l’ambiente è la prima forma d’amore verso i figli

“Nel nostro incontro con il Papa gli abbiamo affidato la preghiera per tutti i bambini malati di cancro nelle nostre terre e nel mondo. Sono sempre di più”. E’ colma di gioia e di emozione Tina Zaccaria, presidente dell’Associazione “Angeli guerrieri della Terra dei Fuochi”, mentre è ancora nell’aula Paolo VI, dove Francesco ha scelto di incontrarli. ” Non ci aspettavamo – dice – una simile ospitalità: il Papa ci ha lasciato una coroncina per ciascuno e i bambini sono stati tanto felici”.

La signora Zaccaria è mamma di Dalia una bimba morta per cancro e ora guida l’Associazione che assiste una trentina di famiglie: “Non lasciarle sole è la cosa più importante”. La situazione è ancora gravissima e non ci sono progressi sul fronte della tutela ambientale e alimentare. I bambini sono i primi a pagarne le conseguenze. Tra quelli che seguiamo l’età è compresa tra neonati e ragazzi di 17 anni: ” Tante famiglie ricevono diagnosi appena dopo il parto: non possiamo abbandonarle”.

Dimenticare il proprio dolore per abbracciare l’altrui

Come si fa a sopravvivere alla morte del proprio figlio? Credo, ci racconta Tina Zaccaria, che i nostri bambini dopo aver lottato come guerrieri fino a diventare angeli, ci hanno insegnato proprio questo: ad andare avanti. E poi il segreto credo sia dimenticare il proprio dolore e saper abbracciare il dolore degli altri, rivedendo in ciascuno la lotta per la vita che i nostri figli hanno compiuto”.

da Avvenire

Il messaggio del Papa su verità, fake news e giornalismo di pace

Il messaggio di papa Francesco per la 52ma Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali sul tema «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Fake news e giornalismo di pace.

Pubblichiamo di seguito il messaggio del Papa per la Giornata che quest’anno si celebra, in molti Paesi, domenica 13 maggio 2018, Solennità dell’Ascensione del Signore:

Cari fratelli e sorelle,
nel progetto di Dio, la comunicazione umana è una modalità essenziale per vivere la comunione. L’essere umano, immagine e somiglianza del Creatore, è capace di esprimere e condividere il vero, il buono, il bello. E’ capace di raccontare la propria esperienza e il mondo, e di costruire così la memoria e la comprensione degli eventi. Ma l’uomo, se segue il proprio orgoglioso egoismo, può fare un uso distorto anche della facoltà di comunicare, come mostrano fin dall’inizio gli episodi biblici di Caino e Abele e della Torre di Babele (cfr Gen 4,1-16; 11,1-9). L’alterazione della verità è il sintomo tipico di tale distorsione, sia sul piano individuale che su quello collettivo. Al contrario, nella fedeltà alla logica di Dio la comunicazione diventa luogo per esprimere la propria responsabilità nella ricerca della verità e nella costruzione del bene. Oggi, in un contesto di comunicazione sempre più veloce e all’interno di un sistema digitale, assistiamo al fenomeno delle “notizie false”, le cosiddette fake news: esso ci invita a riflettere e mi ha suggerito di dedicare questo messaggio al tema della verità, come già hanno fatto più volte i miei predecessori a partire da Paolo VI (cfr Messaggio 1972: “Le comunicazioni sociali al servizio della verità”). Vorrei così offrire un contributo al comune impegno per prevenire la diffusione delle notizie false e per riscoprire il valore della professione giornalistica e la responsabilità personale di ciascuno nella comunicazione della verità.

1. Che cosa c’è di falso nelle “notizie false”?

Fake news è un termine discusso e oggetto di dibattito. Generalmente riguarda la disinformazione diffusa online o nei media tradizionali. Con questa espressione ci si riferisce dunque a informazioni infondate, basate su dati inesistenti o distorti e mirate a ingannare e persino a manipolare il lettore. La loro diffusione può rispondere a obiettivi voluti, influenzare le scelte politiche e favorire ricavi economici.
L’efficacia delle fake news è dovuta in primo luogo alla loro natura mimetica, cioè alla capacità di apparire plausibili. In secondo luogo, queste notizie, false ma verosimili, sono capziose, nel senso che sono abili a catturare l’attenzione dei destinatari, facendo leva su stereotipi e pregiudizi diffusi all’interno di un tessuto sociale, sfruttando emozioni facili e immediate da suscitare, quali l’ansia, il disprezzo, la rabbia e la frustrazione. La loro diffusione può contare su un uso manipolatorio dei social network e delle logiche che ne garantiscono il funzionamento: in questo modo i contenuti, pur privi di fondamento, guadagnano una tale visibilità che persino le smentite autorevoli difficilmente riescono ad arginarne i danni.
La difficoltà a svelare e a sradicare le fake news è dovuta anche al fatto che le persone interagiscono spesso all’interno di ambienti digitali omogenei e impermeabili a prospettive e opinioni divergenti. L’esito di questa logica della disinformazione è che, anziché avere un sano confronto con altre fonti di informazione, la qual cosa potrebbe mettere positivamente in discussione i pregiudizi e aprire a un dialogo costruttivo, si rischia di diventare involontari attori nel diffondere opinioni faziose e infondate. Il dramma della disinformazione è lo screditamento dell’altro, la sua rappresentazione come nemico, fino a una demonizzazione che può fomentare conflitti. Le notizie false rivelano così la presenza di atteggiamenti al tempo stesso intolleranti e ipersensibili, con il solo esito che l’arroganza e l’odio rischiano di dilagare. A ciò conduce, in ultima analisi, la falsità.

2. Come possiamo riconoscerle?

Nessuno di noi può esonerarsi dalla responsabilità di contrastare queste falsità. Non è impresa facile, perché la disinformazione si basa spesso su discorsi variegati, volutamente evasivi e sottilmente ingannevoli, e si avvale talvolta di meccanismi raffinati. Sono perciò lodevoli le iniziative educative che permettono di apprendere come leggere e valutare il contesto comunicativo, insegnando a non essere divulgatori inconsapevoli di disinformazione, ma attori del suo svelamento. Sono altrettanto lodevoli le iniziative istituzionali e giuridiche impegnate nel definire normative volte ad arginare il fenomeno, come anche quelle, intraprese dalle tech e media company, atte a definire nuovi criteri per la verifica delle identità personali che si nascondono dietro ai milioni di profili digitali.
Ma la prevenzione e l’identificazione dei meccanismi della disinformazione richiedono anche un profondo e attento discernimento. Da smascherare c’è infatti quella che si potrebbe definire come “logica del serpente”, capace ovunque di camuffarsi e di mordere. Si tratta della strategia utilizzata dal «serpente astuto», di cui parla il Libro della Genesi, il quale, ai primordi dell’umanità, si rese artefice della prima “fake news” (cfr Gen 3,1-15), che portò alle tragiche conseguenze del peccato, concretizzatesi poi nel primo fratricidio (cfr Gen 4) e in altre innumerevoli forme di male contro Dio, il prossimo, la società e il creato. La strategia di questo abile «padre della menzogna» (Gv 8,44) è proprio la mimesi, una strisciante e pericolosa seduzione che si fa strada nel cuore dell’uomo con argomentazioni false e allettanti. Nel racconto del peccato originale il tentatore, infatti, si avvicina alla donna facendo finta di esserle amico, di interessarsi al suo bene, e inizia il discorso con un’affermazione vera ma solo in parte: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?”» (Gen 3,1). Ciò che Dio aveva detto ad Adamo non era in realtà di non mangiare di alcun albero, ma solo di un albero: «Dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare» (Gen 2,17). La donna, rispondendo, lo spiega al serpente, ma si fa attrarre dalla sua provocazione: «Del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”» (Gen 3,2). Questa risposta sa di legalistico e di pessimistico: avendo dato credibilità al falsario, lasciandosi attirare dalla sua impostazione dei fatti, la donna si fa sviare. Così, dapprima presta attenzione alla sua rassicurazione: «Non morirete affatto» (v. 4). Poi la decostruzione del tentatore assume una parvenza credibile: «Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male» (v. 5). Infine, si giunge a screditare la raccomandazione paterna di Dio, che era volta al bene, per seguire l’allettamento seducente del nemico: «La donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile» (v. 6). Questo episodio biblico rivela dunque un fatto essenziale per il nostro discorso: nessuna disinformazione è innocua; anzi, fidarsi di ciò che è falso, produce conseguenze nefaste. Anche una distorsione della verità in apparenza lieve può avere effetti pericolosi.
In gioco, infatti, c’è la nostra bramosia. Le fake news diventano spesso virali, ovvero si diffondono in modo veloce e difficilmente arginabile, non a causa della logica di condivisione che caratterizza i social media, quanto piuttosto per la loro presa sulla bramosia insaziabile che facilmente si accende nell’essere umano. Le stesse motivazioni economiche e opportunistiche della disinformazione hanno la loro radice nella sete di potere, avere e godere, che in ultima analisi ci rende vittime di un imbroglio molto più tragico di ogni sua singola manifestazione: quello del male, che si muove di falsità in falsità per rubarci la libertà del cuore. Ecco perché educare alla verità significa educare a discernere, a valutare e ponderare i desideri e le inclinazioni che si muovono dentro di noi, per non trovarci privi di bene “abboccando” ad ogni tentazione.

3. «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32)

La continua contaminazione con un linguaggio ingannevole finisce infatti per offuscare l’interiorità della persona. Dostoevskij scrisse qualcosa di notevole in tal senso: «Chi mente a sé stesso e ascolta le proprie menzogne arriva al punto di non poter più distinguere la verità, né dentro di sé, né intorno a sé, e così comincia a non avere più stima né di sé stesso, né degli altri. Poi, siccome non ha più stima di nessuno, cessa anche di amare, e allora, in mancanza di amore, per sentirsi occupato e per distrarsi si abbandona alle passioni e ai piaceri volgari, e per colpa dei suoi vizi diventa come una bestia; e tutto questo deriva dal continuo mentire, agli altri e a sé stesso» (I fratelli Karamazov, II, 2).
Come dunque difenderci? Il più radicale antidoto al virus della falsità è lasciarsi purificare dalla verità. Nella visione cristiana la verità non è solo una realtà concettuale, che riguarda il giudizio sulle cose, definendole vere o false. La verità non è soltanto il portare alla luce cose oscure, “svelare la realtà”, come l’antico termine greco che la designa, aletheia (da a-lethès, “non nascosto”), porta a pensare. La verità ha a che fare con la vita intera. Nella Bibbia, porta con sé i significati di sostegno, solidità, fiducia, come dà a intendere la radice ‘aman, dalla quale proviene anche l’Amen liturgico. La verità è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere. In questo senso relazionale, l’unico veramente affidabile e degno di fiducia, sul quale si può contare, ossia “vero”, è il Dio vivente. Ecco l’affermazione di Gesù: «Io sono la verità» (Gv 14,6). L’uomo, allora, scopre e riscopre la verità quando la sperimenta in sé stesso come fedeltà e affidabilità di chi lo ama. Solo questo libera l’uomo: «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32).
Liberazione dalla falsità e ricerca della relazione: ecco i due ingredienti che non possono mancare perché le nostre parole e i nostri gesti siano veri, autentici, affidabili. Per discernere la verità occorre vagliare ciò che asseconda la comunione e promuove il bene e ciò che, al contrario, tende a isolare, dividere e contrapporre. La verità, dunque, non si guadagna veramente quando è imposta come qualcosa di estrinseco e impersonale; sgorga invece da relazioni libere tra le persone, nell’ascolto reciproco. Inoltre, non si smette mai di ricercare la verità, perché qualcosa di falso può sempre insinuarsi, anche nel dire cose vere. Un’argomentazione impeccabile può infatti poggiare su fatti innegabili, ma se è utilizzata per ferire l’altro e per screditarlo agli occhi degli altri, per quanto giusta appaia, non è abitata dalla verità. Dai frutti possiamo distinguere la verità degli enunciati: se suscitano polemica, fomentano divisioni, infondono rassegnazione o se, invece, conducono ad una riflessione consapevole e matura, al dialogo costruttivo, a un’operosità proficua.

4. La pace è la vera notizia

Il miglior antidoto contro le falsità non sono le strategie, ma le persone: persone che, libere dalla bramosia, sono pronte all’ascolto e attraverso la fatica di un dialogo sincero lasciano emergere la verità; persone che, attratte dal bene, si responsabilizzano nell’uso del linguaggio. Se la via d’uscita dal dilagare della disinformazione è la responsabilità, particolarmente coinvolto è chi per ufficio è tenuto ad essere responsabile nell’informare, ovvero il giornalista, custode delle notizie. Egli, nel mondo contemporaneo, non svolge solo un mestiere, ma una vera e propria missione. Ha il compito, nella frenesia delle notizie e nel vortice degli scoop, di ricordare che al centro della notizia non ci sono la velocità nel darla e l’impatto sull’audience, ma le persone. Informare è formare, è avere a che fare con la vita delle persone. Per questo l’accuratezza delle fonti e la custodia della comunicazione sono veri e propri processi di sviluppo del bene, che generano fiducia e aprono vie di comunione e di pace.
Desidero perciò rivolgere un invito a promuovere un giornalismo di pace, non intendendo con questa espressione un giornalismo “buonista”, che neghi l’esistenza di problemi gravi e assuma toni sdolcinati. Intendo, al contrario, un giornalismo senza infingimenti, ostile alle falsità, a slogan ad effetto e a dichiarazioni roboanti; un giornalismo fatto da persone per le persone, e che si comprende come servizio a tutte le persone, specialmente a quelle – sono al mondo la maggioranza – che non hanno voce; un giornalismo che non bruci le notizie, ma che si impegni nella ricerca delle cause reali dei conflitti, per favorirne la comprensione dalle radici e il superamento attraverso l’avviamento di processi virtuosi; un giornalismo impegnato a indicare soluzioni alternative alle escalation del clamore e della violenza verbale.
Per questo, ispirandoci a una preghiera francescana, potremmo così rivolgerci alla Verità in persona:
Signore, fa’ di noi strumenti della tua pace.
Facci riconoscere il male che si insinua in una comunicazione che non crea comunione.
Rendici capaci di togliere il veleno dai nostri giudizi.
Aiutaci a parlare degli altri come di fratelli e sorelle.
Tu sei fedele e degno di fiducia; fa’ che le nostre parole siano semi di bene per il mondo:
dove c’è rumore, fa’ che pratichiamo l’ascolto;
dove c’è confusione, fa’ che ispiriamo armonia;
dove c’è ambiguità, fa’ che portiamo chiarezza;
dove c’è esclusione, fa’ che portiamo condivisione;
dove c’è sensazionalismo, fa’ che usiamo sobrietà;
dove c’è superficialità, fa’ poniamo interrogativi veri;
dove c’è pregiudizio, fa’ che suscitiamo fiducia;
dove c’è aggressività, fa’ che portiamo rispetto;
dove c’è falsità, fa’ che portiamo verità.
Amen.

Dal Vaticano, 24 gennaio 2018, memoria di san Francesco di Sales

da Avvenire

Giorno memoria: insegnare la Shoah

(ANSA) – ROMA, 24 GEN – Quando i sopravvissuti alla Shoah, i perseguitati e gli internati nei campi nazisti, che da questi uscirono vivi, non ci saranno più quella catastrofe rischia di essere sommersa e dimenticata. Per questo in occasione della giornata della memoria la Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD) ha organizzato il prossimo 26 gennaio un’iniziativa per insegnare a parlare ai ragazzi dello sterminio nazista. Il punto di partenza dell’incontro, a cui prenderanno parte oltre 200 studenti delle scuole medie e superiori di Roma, è: come si potrà parlare di Shoah alle prossime generazioni? Come lo si potrà fare nella scuola, come lo potranno fare i giornali o l’arte, che sia cinema, letteratura o altro? E ancora, lo sterminio nazista diventerà storia, la storia dei libri scolastici, spesso percepita così lontana da noi man mano che gli anni passano, o continuerà ad essere parte delle nostre radici, fattore che ha plasmato le nostre società e il nostro vivere comune?. Perchè, come ha detto, la neo senatrice a vita Liliana Segre, quando tutti i sopravvissuti saranno morti il mare non si chiuda sopra di loro nell’indifferenza e nella dimenticanza, partendo dal libro del filosofo e insegnante Carlo Scognamiglio, “Insegnare la catastrofe. Discorso sulla didattica della Shoah”, parleranno con l’autore Tommaso Dell’Era, docente dell’Università della Tuscia e del Master in “Didattica della Shoah” dell’Università Roma Tre, il regista autore di Anita B Roberto Faenza, l’avvocato Barbara Pontecorvo, presidente di Solomon, Osservatorio sulle discriminazioni, e l’attore Moni Ovadia con un suo contributo video.
L’iniziativa si terrà presso l’aula magna del Rettorato dell’Università Roma Tre) il 26 gennaio alle 10.

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Giorno della Memoria Libri, film ed eventi per non dimenticare. Tra le iniziative del Miur anche un cartone animato

Tantissimi eventi in tutta Italia e nel mondo, molti film in sala, nuove e stimolanti letture per la Giorno della Memoria. Il 27 gennaio 1945 l’esercito sovietico entrò nel campo di concentramento di Auschwitz, scoprendone e rivelandone al mondo l’orrore. Il “Giorno della Memoria”, istituito in Italia con la legge 211 del 20 luglio 2000, ricorda proprio quel giorno e soprattutto la Shoah, lo sterminio del popolo ebraico, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani deportati nei campi di concentramento, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

TUTTI GLI EVENTI IN ITALIA

AL CINEMA L’OMAGGIO IN 5 FILM

I LIBRI PER NON DIMENTICARE

LA STORIA DI SAMI MODIANO NEL DOCU DI VELTRONI

IL PRIMO CARTOON EUROPEO SULLA SHOAH

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