Il vescovo Massimo nelle missioni diocesane in India

E’ iniziato mercoledì 27 dicembre dalla Casa della Carità “Mariam Sneha Bhavan” in Mamangalam (Kerala) la visita del vescovo Massimo Camisasca alle missioni diocesane in India. 

Qui è stato accolto festosamente secondo le tradizioni locali; poi si è intrattenuto con le suore e con il clero locale. Lo accompagnano nel viaggio don Stefano Tenti e don Pietro Adani.

In serata il vescovo Massimo ha presieduto la celebrazione eucaristica nella Casa della carità e ha visitato la chiesa di St. George, una chiesa siro-malabarica di recente inaugurazione, edificata vicino alla Casa.

Il 29 dicembre, dopo la Messa celebrata in prima mattinata nella chiesa parrocchiale, mons. Camisasca ha visitato la città di Kochi e la Basilica di Vallarpadam, santuario mariano nazionale del Kerala, meta di tantissimi pellegrinaggi; la chiesa è intitolato a “Nostra Signora del Riscatto”, le cui origini – sec. XVI – risalgano ai missionari portoghesi. Quindi, in serata, l’incontro con l’arcivescovo metropolita di Verapoly, Joseph Kalathiparambil. 

Sabato 30 dicembre il vescovo Camisasca ha compiuto la visita alla Casa della Carità “Marian Sneha Nivas” di Verapoly, a seguire, ritiro per le suore e celebrazione eucaristica nella Casa con la partecipazione di ausiliari. Quindi incontro con il parroco, fr. Jesudassf e visita al Convento delle suore CTC e alla tomba della fondatrice Madre Elisha morta in concetto di santita’. In serata, rientro a Mamangalam.

Domenica 31 dicembre , il vescovo accompagnato da don Pietro Adani e don Stefano Tenti ha raggiunto in aereo Calcutta; alloggiando nella casa delle suore del PIME. In serata ha partecipato alla concelebrazione eucaristica di fine anno nella parrocchia locale.

Il giorno dopo, lunedì 1 gennaio, mons. Camisasca ha visitato la Casa Madre delle Missionarie della Carità fondate da Madre Teresa di Calcutta, proclamata santa da papa Francesco nel 2016. Il Vescovo si è raccolto in preghiera sulla tomba della religiosa, premio Nobel per la pace. Ha poi proseguito visitando le istituzioni fondate da madre Teresa.

Il 2 gennaio la delegazione reggiana è in viaggio per Mumbai; a Versova, dove il 24 giugno 1980 venne aperta la prima Casa della Carità in titolata al primo mistero doloroso, il vescovo celebrerà la Santa Messa nella Casa.

laliberta.info

Edith Stein, eroica e ispirata cercatrice di verità

Edith Stein, monaca cristiana dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, morì nel 1942 ad Auschwitz

Edith Stein, monaca cristiana dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, morì nel 1942 ad Auschwitz

La ricerca appassionata della verità caratterizza l’itinerario intellettuale e spirituale di Edith Stein. Nella sua stessa vicenda personale trova conferma il fatto che, «chi cerca la verità cerca Dio che lo sappia o no». L’uomo, infatti, è strutturalmente orientato alla Verità che lo trascende, è il cercatore di una Verità, Warheitssucher, che può essere riconosciuta e accolta, che è irriducibile a un concetto astratto, inafferrabile dalla sola ragione naturale. Essa, infatti, è una realtà vivente che si comunica liberamente all’uomo come amore assoluto. L’uomo si rivela così come cercatore di Dio Gottsucher, ma, soprattutto come colui che è cercato da Dio, colui che trova sé stesso e la piena verità del proprio essere in Dio. Ciò vale anche per Edith Stein: «Proprio l’analisi fenomenologica – osserva Cornelio Fabro – suscita nel suo spirito il bisogno dell’Assoluto vivo e vero». Abbandonati intorno al 1913 i pregiudizi razionalistici che l’avevano accompagnata nel periodo adolescenziale e giovanile, grazie anche al decisivo incontro con Scheler, la Stein si sforza di cogliere il significato dell’esperienza religiosa, sollecitata da eventi e letture che le aprono nuovi orizzonti. In questo contesto ella matura una propria originale considerazione della problematica antropologica, strettamente collegata alla riflessione sulla metafisica e sulla filosofia cristiana, che viene progressivamente a delinearsi soprattutto negli anni successivi alla conversione. La scoperta di un Essere che si rivela come somma bontà, in grado si raggiungere l’uomo in quelle situazioni e a quei livelli di profondità dove nessun altro può giungere, l’esperienza di una forza che protegge e custodisce, capace di provocare una rinascita spirituale che non è paragonabile a nessuna forma di relazione tra soggetti umani, ivi compresa la donazione d’amore, appare agli occhi della Stein un campo di fenomeni ineludibile anche dal punto di vista teoretico.

Vi si annuncia, infatti, un assoluto senso di salvezza che assume un valore conoscitivo di estrema rilevanza. Si tratta di rendere ragione dell’esperienza, di ciò che accade imprevedibilmente, anche se oltrepassa la misura degli schemi abituali di conoscenza. La riflessione della Stein si muove in profonda sintonia con quanto aveva colto Adolf Reinach, soprattutto nei suoi ultimi scritti laddove analizzava l’esperienza del sentirsi dipendenti e custoditi da Dio, della gratitudine e della fiducia che ne derivano all’uomo. Occorre infatti: «Lasciare alle esperienze religiose il loro senso! – osservava Reinach – Anche se questo dovesse portare a enigmi. Proprio questi enigmi, forse, sono del massimo valore per la conoscenza». La dimensione religiosa non può ridursi a una questione del sentimento; la scienza obiettiva non può trascurare un tipo di vissuti che assumono, al contrario, un particolare rilievo proprio nell’oggi. Sulla stessa linea sembra muoversi la ricerca della Stein che non intende precludersi nessuna via, nessuna fonte di conoscenza della verità. E se questa si presenta come realtà vivente, personale, amante, capace di afferrare l’uomo, il metodo necessario per conoscerla dovrà rispettarne il carattere. In questa prospettiva la problematica metafisica assume nel pensiero della Stein un rilievo sempre maggiore, provocando conseguenze di primaria importanza anche per quanto riguarda la visione antropolo- gica. Il problema di Dio appare alla Stein come la questione decisiva, il caso serio su cui vale la pena di riflettere. Per quanto la metafisica non possa essere fatta solo di analisi rigorosa in senso fenomenologico, essa non è riducibile a favola poetica, poiché rappresenta l’aspetto essenziale della ricerca della verità.

La Stein si preoccupa allora di definire l’indole epistemologica, Wissenschafts-theoretisch, di questa scienza, facendo notare che una teoria della conoscenza che assolutizza il soggetto conoscente finito, affidandosi esclusivamente alla propria capacità autofondativa, Ergene tragfahigkeit, si basa su presupposti arbitrari e indimostrabili. Ella propone invece una metafisica costruita a partire: «Da una filosofia che deve essere tanto critica quanto è possibile critica anche contro le sue stesse possibilità e da una fede, Glaubenslehre, positiva vale a dire una fede che poggia su una rivelazione». La metafisica può offrire così una compiuta visione del mondo,geschlossene Weltanshaung, riuscendo ad operare una sintesi tra la filosofia intesa come scienza rigorosa, fondata su asserti inconfutabili, e la teologia, intesa come intelligenza della fede che si fonda sulla veracitas Dei.La metafisica viene definita, quindi, come comprensione dell’intera realtà includente anche la verità rivelata, dunque, fondata sulla filosofia e sulla teologia. L’apertura ragionevole all’autorivelarsi di Dio permette all’uomo di trovare risposta ai significati ultimi del proprio essere. Non l’orgoglioso ripiegamento sulle capacità della propria ragione naturale risulta adeguato, bensì l’umiltà e la riverenza, la consapevolezza dei limiti del proprio intelletto, anch’esso, peraltro, dono divino del quale abbiamo bisogno. Ciò permette all’uomo di aprirsi alle supreme e ultime verità, a una verità esistenziale di cui l’uomo può vivere e con cui è lecito sperare di morire.

In vari saggi composti tra il 1924 e il 1936 la Stein sviluppa i presupposti teorici della sua indagine filosofica, manifestando l’intenzione di gettare un ponte tra diverse modalità di ricerca, di armonizzare i dati provenienti da varie fonti di conoscenza. Nel saggio Che cosa è la fenomenologia? del 1924 ella spiega come la filosofia contemporanea sia suddivisa in due filoni tra loro non comunicanti: da una parte vi è la filosofia cattolica, «che prosegue la tradizione della Scolastica e soprattutto quella di San Tommaso»; dall’altra la speculazione elaborata nei tempi moderni dal Rinascimento a Kant. Agli occhi della Stein questa partita doppia, ‘doppelte Buchführung’, non si può sostenere nelle questioni filosofiche. Il metodo elaborato da Husserl che mira a cogliere l’oggettiva essenzialità dei fenomeni, proteso alla ricerca di una conoscenza oggettiva, di una verità assoluta, si oppone a ogni forma di relativismo e di scetticismo e permette di stabilire un rapporto con la filosofia cristiana. Husserl riconosce infatti che: «Lo spirito trova la verità, non la produce. Ed essa è eterna. Se la natura umana, se l’organismo psichico, se lo spirito del tempo si trasforma, allora anche l’opinione degli uomini si trasforma, ma la verità non cambia».

da Avvenire

Troppi casi di coma etilico. Giovani che bevono troppo, genitori senza risposte

A spaventare è l’età. Tutti al di sotto dei vent’anni, alcuni addirittura non arrivano ai quindici. Giovani e adolescenti, quindi. Ragazzini, verrebbe da dire. Ragazzini che la notte di San Silvestro si sono ubriacati al punto da finire in coma etilico. All’ospedale Cardarelli di Napoli ne sono giunti una ventina. Altri, in codice rosso, sono stati trasportati in altri nosocomi. Eravamo preparati, entrati nell’anno nuovo, ad ascoltare le dolorose notizie di persone rimaste ferite dai botti o da qualche colpo di pistola che qualcuno si ostina a definire “vagante”.

I feriti ci sono stati anche quest’ anno. Nel Napoletano a un giovane sono stati amputate tre dita di una mano; un bambino rischia di perdere un occhio; un dodicenne è stato ferito da un colpo di pistola sul balcone di casa. Ma non è su questo dramma che vogliamo soffermare la nostra attenzione, bensì sui giovanissimi finiti in coma etilico. Come etilico vuol dire che questi ragazzi si sono ubriacati al punto che il loro organismo non ce l’ha fatta a sopportare una tale quantità di alcol e ha ceduto.

Coma etilico vuol dire che questi nostri ingenui figli non sono stati capaci di gestire l’euforia di una serata come quella di san Silvestro. Coma etilico vuol dire che essi necessitano dell’aiuto degli adulti. Adulti che in questo momento, invasi dal dolore e dai sensi di colpa, si stanno facendo mille domande cui non riescono a dare una risposta. «Dove abbiamo sbagliato? Che cosa sta accadendo e che non riusciamo a vedere? Che cosa possiamo fare? Da dove dobbiamo cominciare? Chi ci deve aiutare?» si chiedono spesso i genitori.

I ragazzi non li ascoltano, anzi, sovente, mostrano verso di loro segni di insofferenza. Occorre andarci piano, soprattutto quando minacciano di scappare via di casa o commettere qualcosa di peggio. In genere sono inseriti in qualche gruppo che detta loro le linee guida cui si adeguano volentieri. Dicono di voler andare controcorrente, di essere anticonformisti, di non tenere in alcun conto i giudizi altrui e non si accorgono di allinearsi meglio di un plotone di soldati. Così intruppati, emettono ed eseguono ordini; inventano neologismi e gesti propri, si chiamano “fratelli”, si baciano come fanno i fidanzati. Anche l’ acconciatura dei capelli, i disegni dei tatuaggi, gli orecchini, i pantaloni strappati che vorrebbero imitare quelli degli straccioni, ma che costano somme esorbitanti, servono a fare di loro un gruppo. Quel gruppo. La pena prevista per chi non si adegua è essere emarginato. E l’ emarginazione li spaventa.

Bevono i ragazzi. Tanto. Troppo. Perché? A qualcuno certamente l’ alcol piace, lo eccita, gli fa dimenticare i problemi, lo sbarazza della timidezza. E gli altri? Gli altri lo fanno perché così fan tutti. E bevono, anche controvoglia, bevono. Per darsi delle arie, per non rimanere indietro, per non essere isolati, bevono. Anche quando il loro organismo si ribella e chiede aiuto, bevono. Bere diventa un modo di essere, una sfida. A se stessi, agli altri, alla società. Una sorta di manifestazione di potenza, di forza, di grandezza, di menefreghismo. Sono caduti in trappola ma non se ne sono accorti. Hanno bisogno di essere aiutati ma non lo sanno. Occorre metterli in guardia; insegnare loro, a scuola, a casa, in chiesa, che cos’è l’ alcol, che cosa sono le varie droghe, come funzionano, quali effetti hanno sui loro organi interni. A quali danni, a volte irreparabili, può portare l’ alcolismo o l’assunzione di una droga.

Occorre convincerli che certe cattive abitudini come fumare, drogarsi, bere, giocare di azzardo, una volta radicate sono faticosissime da essere estirpate. Meglio tenersene alla larga prima. E rimanere liberi. Prevenire è meglio che curare. Aiutiamo i nostri giovani. Diamo loro testimonianza di una vita vissuta all’ insegna della serenità, della gioia, della sobrietà, della condivisione. E per chi crede, della fede. Vederli in ospedale in coma etilico, a Capodanno o ogni sabato notte, fa veramente tanto male al cuore.

da Avvenire

Incidente. Camion contro auto: 6 morti, tra cui due bambini

Le fiamme subito dopo l'incidente (Ansa)

Le fiamme subito dopo l’incidente (Ansa)

Sono quattro adulti e due bambini le vittime dell’incidente avvenuto oggi lungo l’autostrada A21 tra Brescia e Manerbio.

Secondo la ricostruzione un camion ha violentemente tamponato un auto ferma in coda per un precedente incidente, che a sua volta ha urtato un altro mezzo che trasportava liquidi infiammabili. La cisterna si è incendiata. Morti il camionista e i cinque occupanti dell’auto, tre adulti e due bambini. Dal luogo si è alzata una fitta nube di fumo, visibile a chilometri di distanza. Il tratto fra l’uscita di Brescia Centro e quella di Manerbio è stato chiuso in entrambe le direzioni. Un ponte è rimasto danneggiato dalle fiamme ed è stato chiuso.

La scena del luogo dello scontro sull'A21 (Ansa)

La scena del luogo dello scontro sull’A21 (Ansa)

da Avvenire