Università Cattolica, le sfide di oggi e il futuro di una identità

Università Cattolica, settembre 1968. L’ateneo fondato da padre Gemelli è ancora scosso dagli avvenimenti dei mesi precedenti: contestazione, occupazioni, ritiro del rettore Ezio Franceschini. Il successore, Giuseppe Lazzati, convoca a Villa Cagnola di Gazzada un’ampia rappresentanza delle diverse componenti accademiche perelaborare un nuovo statuto dell’ateneo. Si discute dell’identità dell’Università Cattolica. Precedentemente, a ridosso della chiusura del Concilio, il rettore Franceschini ha dichiarato che se l’ateneo di padre Gemelli si era mosso nell’orizzonte di una Chiesa segnata dall’ecclesiologia del Vaticano I, dopo il Vaticano II l’Università cattolica doveva sintonizzarsi con la nuova stagione della Chiesa aperta da Giovanni XXIII e continuata da Paolo VI. Nel successivo anno accademico, lo stesso Franceschini ha respinto un’interpretazione radicale di tale rinnovamento, avanzata dal canonico Jacques Leclercq, secondo il quale le università cattoliche, nate in un contesto di contrapposizione alla cultura laica ottocentesca, hanno esaurito la loro funzione. In quest’ottica, avendo la Chiesa assunto nel tempo post-conciliare ben altro atteggiamento verso il mondo, i cattolici avrebbero dovuto inserirsi, come lievito nella massa, nelle università di tutti. Lo scoppio della contestazione studentesca riapre il dibattito sull’identità della Cattolica. Nelle discussioni di Villa Cagnola, prende posizione anche don Mario Giavazzi, assistente spirituale del collegio Augustinanum, che, pur senza assumere le tesi più radicali di Leclercq, traccia un’analisi severa della situazione in Cattolica e rilancia con forza la prospettiva di una università profondamente impegnati nel dialogo culturale tra la Chiesa e il mondo. Ma i vescovi italiani non accolgono le sue proposte.

È uno degli episodi della storia dell’Università Cattolica ricostruiti nel voluminoso libro Nicola Raponi, Per una storia dell’Università Cattolica. Origini, momenti, figure (Morcelliana, pagine 780, euro 48), curato da Luciano Pazzaglia. Raponi ha scritto molti contribuiti pregevoli sulla storia di questa università, ma purtroppo non è giunto a comporre un’opera di sintesi, pur avendo raccolto un vastissimo materiale. Curando con pazienza e intelligenza la pubblicazione unitaria di tali contributi, Luciano Pazzaglia ha riempito questo vuoto con un volume che ricostruisce molte delle vicende più importanti di questa storia, collegandole con un robusto filo interpretativo. Le radici più profonde di tale interpretazione si collocano proprio nelle vicende del 1968. Raponi – che in Cattolica aveva studiato e che qui insegnava come professore incaricato – non fu infatti indifferente al dibattito del tempo. Dalla sua simpatia per le posizioni di don Giavazzi si intuiscono i motivi biografici che hanno poi ispirato le scelte dello storico. Anche Raponi non condivideva la proposta di un radicale “scioglimento” delle università cattoliche, ma avrebbe voluto per queste un percorso meno irrigidito in una logica puramente istituzionale, più impegnato sulla frontiera del rapporto tra Chiesa e cultura moderna, più in sintonia con il rinnovamento conciliare. E un nesso profondo collega alla discussione di allora il suo interesse per una “preistoria” dell’Università cattolica attraversata anche da tendenze cattolico liberali; per una biografia spirituale e culturale di un Gemelli non riconducibile a un integrismo antiscientifico; per una storia fortemente pluralista delle “scuole” accademiche che si sono sviluppate all’interno dell’Ateneo e così via.

La figura di padre Gemelli che ne emerge può apparire per certi versi sorprendente. Molti non si ritroveranno in questo fondatore dell’Università Cattolica non superficialmente toccato dal modernismo ma al contrario seriamente interrogato dalla tempesta culturale che ha investito la Chiesa cattolica all’inizio del Novecento. Altri non condivideranno un’immagine dell’ateneo diversa da quella di nave l’ammiraglia dell’intransigentismo cattolico contro la cultura laica. Ma lo scrupolo filologico di Nicola Raponi e il suo rigore storico rendono difficile confutare le sue ricostruzioni. Il fatto è che la figura di padre Gemelli è stata più complessa di quello che si crede e la storia dell’Ateneo da lui fondato più variegata di quel che si pensa. È stata infatti la storia di una comunità, in cui si sono intrecciate tanti itinerari diversi. L’importanza di padre Gemelli è fuori discussione, come lo sono pure i tratti autoritari e accentratori della sua personalità. Ma se anch’egli non fosse stato, al fondo, più “plurale” di quel che sembrava non avrebbe potuto né gestire una difficile fondazione né guidare il suo amato Ateneo per tanti anni. Per Raponi, Gemelli è stato contemporaneamente naturaliter fascista e non totalmente estraneo all’impegno resistenziale di alcuni suoi professori, lodatore entusiasta della Conciliazione ma anche sostenitore dell’impegno cattolico nella democrazia post-bellica. Al di là del rapporto con la politica, peraltro già abbondantemente discusso, Raponi illumina in modo nuovo e con grande finezza il campo in cui Gemelli ha dato indubbiamente il meglio di sé: il progetto culturale, spirituale e formativo da lui perseguito fondando e costruendo l’Università Cattolica. Interesse rilevante presentano anche i saggi sulla storia della Cattolica dopo la morte del fondatore. Come ha superato tante sfide nuove senza Gemelli? Raponi ha scritto pagine acute su Franceschini e Lazzati, mentre minor attenzione è stata da lui dedicata a Francesco Vito, il cui rettorato gli è sembrato coincidere con una poco felice stagione di “espansione” dell’ateneo. La questione dell’identità della Cattolica, che attraversa tutti i saggi raccolti in questo volume, è aperta ancora oggi. L’ha rilanciata recentemente monsignor Mario Delpini, nell’apertura del nuovo anno accademico. L’arcivescovo di Milano ha ricordato che l’aggettivo “cattolica”, dopo un tempo in cui è stato tautologico – perché già implicito nel termine università – e dopo un altro in cui ha rappresentato un ossimoro – perché considerato inconciliabile con una libera attività di ricerca scientifica –, indica oggi una vocazione: il compito, in altre parole, che questa università è chiamata a svolgere. Delpini ha declinato tale vocazione, oltre che in ordine alla formazione degli studenti e alla promozione della persona umana, anche in rapporto al servizio della Chiesa italiana, cui questo ateneo è tenuto in modo speciale. Vengono in mente le parole di Franceschini subito dopo la chiusura del Vaticano II, quando disse che la Cattolica doveva servire la Chiesa di Giovanni XXIII e di Paolo VI. A quasi cento anni dalla sua costituzione è difficile negare che l’università fondata da padre Gemelli sia anzitutto chiamata a svolgere le funzioni proprie di un’istituzione accademica. Ma molti segni indicano che, se non si interroga a fondo sulla sua vocazione “cattolica” in un tempo fortemente segnato dalla figura di papa Francesco, ne soffrono anche queste funzioni.

da Avvenire

La Corea del Sud ha proposto di tenere colloqui ad alti livelli con la Corea del Nord

La Corea del Sud ha proposto di tenere colloqui ad alti livelli con la Corea del Nord il 9 gennaio e, dopo l’apertura di Pyongyang sulla presenza della invernali di Pyeongchang di febbraio, si appresta ad attivare “misure rapide per un dialogo sulla partecipazione della delegazione nordcoreana”. Il ministro sudcoreano per l’Unificazione, Cho Myoung-Gyon ha “ribadito la disponibilità” di Seul “a tenere colloqui con il Nord in qualsiasi momento e luogo, in qualsiasi forma”. “Speriamo che il Sud e il Nord possano sedersi faccia a faccia e discutere della partecipazione della delegazione nordcoreana ai Giochi di Pyeongchang e di altre questioni di reciproco interesse per il miglioramento dei legami inter-coreani”, ha detto in una conferenza stampa.

Intanto il presidente sudcoreano, Moon Jae-in, ha comunicato che il governo prenderà misure rapide per favorire la partecipazione della delegazione di Pyomngyang ai Giochi invernali. In questo senso, il presidente ha esortato i “ministeri dell’Unificazione e dello Sport a presentare subito” le misure.
I segnali di distensione e gli inviti al dialogo inviati da Seul arrivano dopo il leader nordcoreano Kim Jong-Un ha detto per la prima volta che gli atleti di Pyongyang potrebbero partecipare ai Giochi olimpici invernali di Pyeongchang. “I Giochi invernali che si terranno in Corea del Sud saranno una grande opportunità per il
Paese. Speriamo sinceramente che siano un successo”, ha detto nel suo discorso per il Nuovo Anno aggiungendo che è “pronto a intraprendere diversi passi, compreso l’invio di una delegazione”.
La Corea del Sud ospita le Olimpiadi invernali 2018 a Pyeongchang dal 9 al 25 febbraio, mentre i Giochi Paralimpici iniziano il 9 marzo. Gli eventi principali della competizione si terranno a soli 80 chilometri dalla zona di confine tra le due Coree. Le Olimpiadi, ha continuato il giovane dittatore, saranno “una buona opportunità per testimoniare la grazia del popolo coreano al mondo”; e ha ricordato che “l’anno 2018 sarà un anno significativo tanto per il Nord come per il Sud, il Nord perché celebra il 70esimo anniversario della sua nascita, il Sud perché ospita le Olimpiadi Invernali”.

Kim ha avvertito, tuttavia, che la situazione di perdurante tensione nella penisola potrebbe costituire una minaccia per l’evento: “Le forti tensioni militari tra Nord e Sud devono attenuarsi e deve prevalere un clima pacifico. Finché siamo in una situazione instabile che non è né di guerra né di pace, il Nord e il Sud non possono garantire il successo delle Olimpiadi, sedersi a parlare o fare passi verso la riunificazione”.

La partecipazione (o la mancata partecipazione) di Pyongyang alle competizioni sportive organizzate nel Sud è sempre stata subordinata alla situazione politica e militare della penisola. La Corea del Nord aveva boicottato i Giochi estivi di Seul del 1988; ma aveva inviato i suoi atleti ai Giochi asiatici del 2014 a Incheon, vicino a Seul.
Gli analisti considerano la disponibilità di Kim a prendere parte ai Giochi Olimpici di Pyeongchang un passo importante. Due atleti nordcoreani, i pattinatori Ryom Tae-Ok e Kim Ju-Sikes, si sono qualificati per Pyeongchang, ma il Comitato olimpico nordcoreano ha fatto passare la scadenza del 30 ottobre senza confermare la loro partecipazione. I due atleti potrebbero ancora competere se li invitasse il Comitato
Olimpico Internazionale.

avvenire